Una folla commossa e tanti ragazzi e ragazze questo venerdì pomeriggio ai funerali di Emanuele Ghidini. In una lunga lettera tutto il dolore e lo strazio di papà Giampietro
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Occhi lucidi, lacrime e abbracci. Il dolore per la perdita del loro giovane amico si leggeva sul volto e nei gesti dei tanti ragazzi, amici e compagni di scuola, che hanno affollato la chiesa parrocchiale di Gavardo questo venerdì pomeriggio per dare l’ultimo saluto a Emanuele Ghidini. Tanti, ancora con gli zainetti della scuola, hanno seguito la messa funebre tenendo fra le mani una rosa bianca e la foto sorridente di Ema, come loro erano soliti chiamarlo.
L’intero paese di Gavardo si è stretto in questi giorni alla famiglia Ghidini in questo tragico momento di dolore. La grande chiesa a fatica conteneva la gente accorsa per i funerali, celebrati dal parroco don Giacomo Bonetta e concelebrata da mons. Cesare Polvara, gavardese, provicario generale della diocesi di Brescia, e da don Marco Mori, responsabile diocesano degli oratori e della pastorale giovanile, insieme al curato don Fabrizio e ad altri sacerdoti della zona.
È toccato a don Giacomo nell’omelia offrire una parola di conforto e di speranza per lenire il dolore dei genitori, delle sorelle, di tutti i familiari, dei tanti amici e dell’intera comunità che è rimasta profondamente scossa dalla tragica e inspiegabile morte del giovane di 16 anni.
«La morte di Emanuele è stata una sberla che ci ha scosso e feriti profondamente», ha detto don Giacomo.
Rivolgendosi poi ai tanti ragazzi presenti, prendendo spunto dai messaggi che hanno lasciato sulla pagina Facebook di Emanuele, ha detto loro di non fermarsi ai soli sentimenti, ma di vivere la vita come un’avventura e non come un terno al lotto. «Un’avventura con una meta, un sogno da realizzare, un cammino lungo e a volte pieno di insidie, ma che ha sapore e un senso viverla; non un terno al lotto, che è un gioco, come l’isola che non c’è». Li ha poi invitati a cercare adulti che li spronino e che stiano loro vicini.
Infine, ha voluto ricordare Emanuele che all’obitorio, quando è andato per la benedizione, aveva le braccia come in un gesto di un abbraccio. «Non sappiamo cosa abbia portato quella notte Emanuele a gettarsi nel fiume, come ad abbracciare un fantasma. Invece ha trovato le braccia di Gesù. Emanuele è nelle braccia di Gesù».
Al termine della celebrazione due ragazzi, a nome degli amici e dei compagni di classe, hanno voluto dare il loro ultimo saluto: «Piangere per la morte di un amico è la cosa più spiacevole e triste», ha detto il primo. «Ema era una grande persona, non dimenticheremo mai il suo sorriso e il suo viso angelico», sono state le parole del secondo.
Papà Giampietro ha affidato alla sorella Claudia la lettura di una lunga lettera, nella quale ha espresso la lacerazione e lo strazio di questi giorni. Ha ricordato la grande complicità che aveva col figlio e per questo, a maggior ragione, non riesce ancora spiegarsi il suo gesto estremo. Ha poi espresso il desiderio di creare una fondazione per ricordare il figlio Emanuele, per offrire ai giovani un’occasione perché le loro idee possano tramutarsi in realtà e dare opportunità di lavoro.
Infine lo stesso papà ha voluto ringraziare di persona quanti sono stati vicini a lui e alla sua famiglia, incominciando dai soccorritori (Vigili del fuoco, Carabinieri, sommozzatori), ai sacerdoti, ai tanti ragazzi che ha visto in lacrime e disperati in questi giorni.
L’ultimo commosso saluto sul sagrato della chiesa, quando gli amici hanno posato sulla bara le rose bianche e una maglietta con scritto “Ciao Emaâ€.
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