15 Dicembre 2011, 10.00
Bagolino
Musica

«La musica che fa muovere le gambe»

di red.

Lo scorso fine settimana Ponte Caffaro ha ospitato un Convegno Internazionale sulla Musica Popolare. Gli appassionati apprezzeranno questo appassionato resoconto di uno spettatore.

 
A Ponte Caffaro, il 9 – 10 – 11 dicembre si è svolta la 5° edizione del Convegno Internazionale sulla Musica Popolare.
Come nelle altre occasioni, anche quest’anno il programma è stato ricco di proposte musicali e di contributi di importanti relatori che hanno affrontato i diversi aspetti della musica folkloristica.
Ho personalmente assistito, domenica 11, ai due concerti pomeridiano e serale. 
Chiedo subito scusa ai due gruppi musicali se, parlando di loro, non utilizzerò la terminologia specializzata per i generi che hanno suonato.
Non sono un recensore professionista e non ascolto generalmente le proposte musicali loro.
 
Pomeriggio
Ero particolarmente incuriosito dalla novità dell’inserimento, nella proposta colta e “universitaria” che fa parte del taglio voluto per il convegno dal realizzatore e direttore artistico Luigi (Gigi) Bonomelli, di un gruppo folk metal quali, appunto, gli Elvenking, provenente da Sacile (PN).
Il menestrello Gigi, presentando il gruppo sul palco, spiegava che la scelta di quest’anno per un gruppo che “spaccasse” equlibri consolidati nelle precedenti rassegne, per vocazione dedicate a un pubblico musicalmente più tranquillo, trovava una logica nell’avvicinare i giovani al contesto di una proposta musicale che vuole essere eclettica.
 
Personalmente, apprezzo l’ecletticità.
Mi accomodo sul “loggione” della bellissima e intima location, la Sala Polifunzionale Santa Croce di Lodrone (TN), e appena comincia il concerto mi accorgo di aver sbagliato qualcosa.
La posizione sopraelevata fa pervenire un suono abbastanza cupo, dove non si distinguono bene gli strumenti e dove la voce del cantante, Damna, perviene soffocata.
Ciò nonostante, da fruitore di musica, vado oltre all’esperienza immediata e mi concentro sulla costruzione delle armonie.
 
Innanzitutto il gruppo propone sue originali composizioni.
Introducono il concerto con Red Silent Tides, che è il titolo dell’ultimo lavoro discografico (2010 AFM REcords), per poi lanciare il brano Your Heroes Are Dead.
Mi accorgo subito che, rispetto a quanto mi aspettavo, dietro al “muro elettrico”, tanto per citare il Rovescio della Medaglia, gruppo seventies italiano che ha lasciato dei brani storici per gli amanti del rock, c’è un’anima progressive che pulsa.
Non è solamente il violino elettrico a connotare tale predisposizione, ma è proprio una liricità che probabilmente fa parte del background dei compositori. 
 
In effetti Lethien, accarezzando con l’archetto le corde del suo strumento, apporta, più che l’elemento progressive, quella caratteristica che li classifica, oltre che metal, anche folk.
I momenti “quieti” sono impreziositi da arie medievali, che ricordano i Carmina Burana, ma attenzione: sempre di rock si sta parlando! 
Ascolto la terza proposta, The Divided Heart, e veramente mi diverto.
Resto anche perplesso: l’intro è ancora medievale e si respira aria di corte inglese, ma quando la potenza musicale esplode…beh! Mi sembra che dietro il pretesto musicale duro ci si scorga la classica ballata che ci si aspetta da De Andrè.
 
Direte:”ma è pazzo questo che scrive?” Giandomenico “Canterbury”, spesso al mio fianco quando vado a concerti, mi urla alle orecchie:”Mi sembra di ascoltare la PFM con De Andrè, in chiave più hard”.
Ok. Divido con lui la pazzia.
Anche il quarto brano To Oak Woods Betowed , sempre tratto dal loro ultimo lavoro, mi da ottime sensazioni. 
Una batteria esplosiva, aggressiva, in realtĂ  prelude a cambi di ritmo continui, splendida caratteristica dei brani sixties e seventies e che oggi, purtroppo, non viene riproposta dai giovani gruppi.
Gli Elvenking lo fanno, e hanno ancora altre frecce da scoccare nella faretra. Saranno scoccate a breve. 
 
Continuano gli “equivoci” tra hard e prog, e se tutto il metal fosse così, probabilmente comincerei ad ascoltarlo con più attenzione.
Il violino elettrico, forse lo strumento che per personale attitudine più mi coinvolge, non fatica a imporsi e non pretende d’obbligare il ritmo ai brani, ma ci si mette a cavallo integrandosi senza difficoltà. 
A quel punto…mi dico: ”ma perché questa proposta così interessante la devo ascoltare così male?”.
Allora prendo “armi e bagagli” e mi sposto alla sala sottostante.
Mi perdo, per questo, il piacere del brano susseguente, ma arrivo in tempo per ascoltare la parte del concerto che piĂą mi ha coinvolto: la parte acustica.
 
Finalmente la qualità del suono è migliorata e riesco anche a percepire bene il cantato, il suono del basso elettrico e distinguo bene gli apporti di tutti gli strumentisti. 
Faccio bene a dire che la sequela di brani che fanno parte dell’acoustic set sono stati i migliori? Non so…sono probabilmente condizionato dalla musica che ascolto più frequentemente e Michele, al settimo cielo per vedere la sua musica suonata al suo paese, forse avrebbe una “lettura” diversa.
Tant’è…io me la sono goduta veramente questa parte! 
Damna invita tutti a battere le mani nel corso della suite che propone brani da più album, con prevalenza del primo, Heathenreel (2008 AFM Records), e dell’ultimo già citato.
 
La voce ricorda il cantato di marca Yes e il violino fa emergere alcune sensazioni dell’airone Jan Anderson.
La costruzione musicale è tipicamente british, e ricorda alcuni gruppi Hippie folk quali i Dr. Strangely Strange o i Trees del primo album.
Nella session ci sono vari cambi di melodie e mi colpisce molto l’approccio musicale simile alle migliori interpretazioni degli  statunitensi Pavlov’s Dog, che mai avrei pensato di “trovare” nelle arie di un gruppo folk metal. 
Grazie, ragazzi, per averci regalato queste sensazioni! 
 
Il concerto è proseguito con altri tre brani che, probabilmente per colpa dell’appagamento nella parte acustica, non mi hanno convinto appieno perché forse i più “commerciali” della loro proposta.
Ricordo volentieri il “gran finale”, con reminiscenze epiche, che mi hanno riportato alle buone sensazioni dei primi brani.
Ma anche per questa mia ultima disanima, faccio presente che non ascolto regolarmente questo genere musicale e Michele (con gli occhi spiritati e lo sguardo sognante per l’occasione) non sarà d’accordo con me.
 
Giandomenico “Canterbury” e Fabio “Crispian Mills”, malati come me d’altra musica, hanno condiviso le mie impressioni sul finale.
Gli Elvenking e Gigi ci hanno deliziato il pomeriggio della rassegna musicale, e per questo gliene sono grato.
Chiedo ancora scusa al gruppo se non dovessi avere colto quelle caratteristiche più tipiche del loro sound, ma si devono accontentare, per questa occasione, di un appassionato di musica che comunque, nell’approccio differente, ha colto baleni interessantissimi.
Consiglio l’ascolto del secondo CD del loro ultimo lavoro del 2010, già citato, che piacerà certamente sia agli amanti del metal che agli appassionati di rock progressive.

Sera
Non è molto diverso il discorso, per quanto riguarda il background musicale che mi appartiene, nel merito di quanto vado a riportare sul secondo gruppo che ha suonato alla sera.
Il “panorama”, coi Tango Tinto, torna all’originale dimensione e taglio della rassegna musicale caffarese.
Chi va a assistere al convegno coglie il piacere di ascoltare buona musica, anche se la varietà di generi  può spiazzare i “puristi”.
Ho la fortuna di riuscire a cogliere la buona musica da qualsiasi genere o sottogenere provenga.
Il tango argentino non è propriamente un ambito musicale su cui possa dare giudizi di valore tecnico, quindi parlerò di sensazioni.
 
Innanzitutto, preciso che per una serie di circostanze sono arrivato in ritardo e ho potuto ascoltare, con profondo rammarico, solamente gli ultimi cinque brani di una scaletta musicale di ben 17 proposte. 
Il gruppo italo argentino (www.tangotinto.com)  propone una musica molto raffinata ed elegante. Gli arrangiamenti dei brani, assolutamente originali e rivisitati dai Tango Tinto (gli artisti ci tengono a sottolinearlo…ed è giusto), non tolgono nulla alla caratteristica tipica del famoso ballo argentino, ma li sottopongono a un taglio artistico più completo e colto, più adatto alla rappresentazione di arte e musica che prende il nome di tanguera.
 
Barbara Varassi Pega, al pianoforte, Virgilio Monti, al contrabbasso, e Vincenzo Albini, al violino, danno una connotazione alla musica a volte classica, altre volte di un soffuso e dotto jazz.
Ruben Peloni, voce, e Gerardo Agnese, all’organetto, “tengono” le redini del vero tango, inteso come “strumento” adatto al ballo, ma contribuiscono all’eleganza di una proposta che tende a nobilitare e a interpretare il genere musicale in un ambito artistico più elevato, perfettamente a proprio agio in un consesso cameristico piuttosto che in una fumosa balera di periferia. 
 
Lo spettacolo d’arte a cui assisto coinvolge molti sensi.
Il tango, per antonomasia, è sensuale. A ballare, non potendo e non volendo farlo l’interessato pubblico comodamente seduto, ci pensano due interpreti da palco che volteggiano al ritmo della musica dei Tango Tinto e che ne interpretano, coi gesti e le movenze, l’essenza e lo scopo dell’abbraccio sensuale e ballerino. 
I brani proposti sono di artisti celebri, e tutti conoscono il re degli autori, Astor Piazzolla, ma il piacere di scoprire, per un profano come sono, le arie di A. Pontier, di L. Federico e di A. Gomez, dei brani che ho ascoltato, mi induce ancora una volta a voler approfondire nuovi aspetti musicali, che si traduce in nuovi piaceri, anche da ambiti particolari che non avevo mai preso in considerazione prima. 
 


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