Un ricordo della mia infanzia

In quegli anni il freddo era molto più intenso: alcuni indossavano il “tabarro”, ma i più avevano dei giubbotti leggeri in finta pelle sotto i quali si imbottivano di giornali per ripararsi dal freddo pungente.

In quella occasione i componenti ufficiali del coro venivano sostenuti nel canto dalle voci calde e melodiose delle famiglie: I “Noi”, i “Pau”, i “Vedovei”, i "Barber”, i “Suniciu”.

Nel gruppo c’era un volontario che con una corda alla spalla trainava un carrettino cigolante su cui era sistemata alla bene meglio una damigiana.

Terminato il canto era usanza che ogni famiglia offrisse un fiasco di vino e lo versava nella damigiana per i coristi.
Io stesso per diversi anni sotto la guida del papà eseguivo questa operazione.

Il giro del Paese terminava sul sagrato della chiesa e suscitava la meraviglia del Parroco sorpreso vedendo dei componenti del coro che della chiesa non erano certamente dei frequentatori.

Dopo la messa solenne di Natale, il coro si ricomponeva sul sagrato per l’ultimo canto.
Qui finiva ufficialmente il momento sacro della “Stella” e iniziava il momento profano.

Se all’inizio il carretto con damigiana era in coda, ora era in testa e partiva indirizzato verso un’osteria: dal Polocano, al Vino Cattivo, al Sole, oppure al Catani.
I canti cambiavano e sulla tavola c’erano salami offerti da alcuni generosi.

Ora l’impegno di tutti i partecipanti era uno solo: svuotare la damigiana in allegria continuando a cantare fino a…

Mario Pavoni

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