Da quattro anni il presidente del Museo archeologico di Gavardo Gianni Vezzoni, un tipo cortese dall’eloquio fine e dal porgere gentile. Qui racconta la sua grande passione, nata nel corso delle campagne di scavo.
Da quattro anni il presidente del Museo archeologico di Gavardo è Gianni Vezzoni, un tipo cortese dall’eloquio fine e dal porgere gentile.
«L’archeologia è sempre stata la mia passione - esordisce il presidente - ed io devo moltissimo a Piero Simoni, che è stato un maestro vero, una persona che ha lasciato il segno perché ha lavorato in maniera splendida ed ha avuto una tenacia e una costanza unite ad una dimensione culturale di primissimo livello. Nella mia vita ho incontrato molti maestri e Simoni, in questo settore, è uno di quelli; una persona che mi ha condizionato in positivo e che mi ha fatto amare ancora di più l’archeologia. Quindi devo a lui, in fondo, questo interesse. Prima di diventare presidente ho fatto un’esperienza ventennale. Ho partecipato ad attività di formazione, ho partecipato a molte campagne di scavo archeologico».
L’istituzione museale gavardese si chiama, in realtà, Museo Civico archeologico della Valle Sabbia ed è situato nel prestigioso palazzo quattrocentesco di piazzetta San Bernardino.
Vezzoni ci accompagna nella visita, a cominciare dalla sala del piano terra. Questa sala con reperti esclusivamente paleontologici si stacca un poco dal resto dell’esposizione perché ha una sua storia e contiene quella che è una delle perle dei rinvenimenti, lo scheletro dell’Ursus Spelaeus.
Come è organizzata l’esposizione?
«Le altre sale, e cioè la parte più specificamente archeologica di tutto il nostro patrimonio, è il risultato delle ricerche sul territorio. Il nostro museo, infatti, ha a che fare con il territorio circostante e tutti i reperti presenti vengono da campagne di scavo e ritrovamenti fatti in loco. La disposizione è di tipo cronologico. Abbiamo altre collezioni già pronte per essere inserite nel percorso espositivo che dovrebbe, in tal modo, raddoppiare. Quanto è esposto è una minima parte di quanto abbiamo a disposizione».
Lungo il percorso sapientemente curato passiamo davanti ad una biblioteca.
«Abbiamo anche una fornitissima biblioteca specialistica, aperta al pubblico, con circa settemila titoli sull’archeologia: riviste specializzate e pubblicazioni di settore».
Alcune stanze del museo sono piene di cassette ricolme di materiali. Da dove provengono?
«E’ materiale proveniente dalle campagne di scavo. Il materiale viene normalmente conservato e ripulito qui, nelle nostre sale; l’attività post-scavo è molto più lunga di quella dello scavo. Durante l’inverno, nel laboratorio si trovano soci che passano giornate intere a pulire, a segnare, a numerare e catalogare. Questi materiali, in forme e con contributi diversi, vengono poi studiati. Sui nostri notiziari pubblichiamo tipo e modalità dei rinvenimenti, oltre che i primi studi. Molti dei nostri studi vengono presentati ai convegni».
Chi finanzia le campagne di scavo?
«Le campagne di scavo sono decise dal direttore Marco Baioni in accordo con l’Istituzione e l’Associazione Gruppo Grotte. Le campagne non sono finanziate, ma gravano totalmente sui soci che danno la loro opera gratuita. Non c’è un euro di rimborso. L’Associazione e l’Istituzione si fanno carico delle spese vive, tipo le attrezzature. L’Associazione assicura chi lavora sul cantiere e, al massimo, offre il panino... Abbiamo, però, finanziamenti dalla Comunità Montana e dalla Regione in base ai progetti presentati e realizzati».
I soci che partecipano agli scavi, oltre alla passione, hanno anche una debita preparazione?
«I nostri soci normalmente sono studenti universitari, oppure sono soci del Gruppo Grotte che svolge da sempre, in accordo con l’Istituzione, corsi di aggiornamento sia sullo scavo archeologico sia sulle discipline connesse: nozioni di geologia, di ceramica, di dendrocronologia. Noi facciamo attività formativa sistematica».
Svolgete anche un’attività didattica?
«L’attività didattica l’abbiamo data in gestione alla cooperativa "La Melagrana". La nostra responsabile in questo settore è un’insegnante esperta di didattica museale, esperta d’arte, che lavora in Valsabbia; progetta l’attività didattica secondo dei percorsi da concordare con le scuole. Siamo tra i musei più importanti del Bresciano, dopo Santa Giulia e Manerbio. Oltre ad avere delle collezioni di primissimo ordine, posso dire che siamo un museo vivo non solo perché aperti al pubblico, ma perché abbiamo un’Associazione che con passione continua il lavoro di scavo».
Com’è giunto al Museo archeologico di Gavardo?
«Non sono stato catapultato in questo ruolo e in questo ambiente come un marziano. Già da vent’anni mi occupavo di archeologia e facevo parte del Gruppo Grotte. Quattro anni fa arrivò la presidenza. Ma è solamente un fatto occasionale...».
di Gian Battista Muzzi da Bresciaoggi
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