15 Settembre 2016, 07.17
Valsabbia
L'opinione

Valle Sabbia: un territorio da salvaguardare

di Giuseppe Biati

Perchè la tutela possa esprimersi al meglio è indispensabile un rapporto sinergico fra associazionismo, mostre artistiche, governance territoriale


Questo preciso momento storico ci vede attori e protagonisti nella consapevolezza e nella presa in carico di un patrimonio storico-artistico esistente da preservare, da attualizzare, da tramandare.

Le radici di tutto ciò stanno nell’essere, questa terra di Valle Sabbia, ricca di storia, di tradizioni, di emozioni spontanee: “habitar in sta terra” è di un profondissimo significato che si coglie nella notte dei tempi, ma più recentemente (e si fa per dire perché ci riferiamo all’anno Mille e al dopo Mille ) negli attenti e laboriosi interventi dei monaci Benedettini di Serle, e anche degli Umiliati, dei Padri Bianchi di S. Francesca Romana, degli Olivetani, che hanno costruito, nella cultura cristiana, l’ethos e l’economia dei paesi nei quali viviamo e, nel passare dei secoli, tutto ciò si è consolidato diventando memoria, tempio e custodia di ciò che è più sacro nell’uomo.

Il Pian d’Oneda sorge così dalla palude, con piccole case contadine e con un monastero di S. Giacomo delle Caselle, piccolo centro culturale e ospizio per i pellegrini che transitavano nella Valle aperta ai passaggi, come è la Valle Sabbia: a nord il Trentino (Contea principesca del Tirolo), ad est il Garda e il Veneto di quella gloriosissima Repubblica che per 370 anni pone come inossidabile bolla di governo il suo leone marciano; a sud la pianura, estesa e fertile, e la Città, nobile e sostenuta.
Cerniera, questa del lago d’Eridio, tra territori diversi e baluardo contro le continue risse e le facili incursioni di vicini, come i Lodroni, ostinati e rapaci, furbi e violenti.

Diverse furono le deviazioni da parte degli stessi conti del fiume Caffaro, naturale confine di possedimenti diversi; conti di Lodron, sempre pronti ad indebite appropriazioni, a duri saccheggi, ad esiziali distruzioni, a violente intimidazioni.
L’astuto governo della Serenissima “si liberò” progressivamente di loro (conti nobilissimi e con una storia particolarissima che si frange con gli apparentamenti alla nobiltà bresciana e/o nella scelta dello stato monacale della figliolanza femminile), mandandoli a governare l’impervia Valvestino. 

Con furbizia diplomatica la Serenissima “invitò” sempre i Bagolinesi, armati, a presenziare alle festività del Pian d’Oneda e il “molto circospetto Consiglio” veneziano vegliava sulle zone aperte della “valle del ferro, delle lane, dei legnami, dei latticini”.

Un luogo, il nostro, strategico militarmente
e significativo politicamente: basti pensare alla Rocca d’Anfo (che qui solo citiamo come esempio di fortificazione nei tempi), ma anche sintesi di un’intera Valle, la Valle delle “chiese”, delle “rocche”, dei “castelli”.

Lo vogliamo dire: 

• la Valle del Pre-rinascimento e del Rinascimento
si presenta con i S. Rocco di Bagolino, S. Antonio di Anfo, S. Stefano di Nozza, S. Lorenzo di Odolo, S. Andrea di Barbaine, S. Martino di Levrange, S. Lorenzo di Promo, S. Lino di Binzago, ecc.; 

• la Valle delle “cattedrali” gareggia in monumentali costruzioni basilicali, quali quelle di S. Giorgio (Bagolino), dell’Assunta (Bione, Vestone, Provaglio, Mura e Vobarno), di S. Bartolomeo (Lavenone), dei SS. Pietro e Paolo (Preseglie), di S. Zenone (Ono Degno), di S. Silvestro (Comero), ecc., in un’ondata rinnovatrice settecentesca, che coglie nel cardinal Querini il magnate propulsore, non semplicemente di cristianità, ma anche di edificazioni costruttive di templi, rivelatori, materiali ed esteriori, dello spirituale e interiore “secolo d’oro” della Chiesa Bresciana, in una esplosione del “gran teatro artistico del barocco ligneo, scultoreo, plastico”;

• ma anche la Valle della “civiltà contadina” e “artigiana”, dove elementi quotidiani ed essenziali sono: il quotidiano faticar, la concretezza, la “cultura della cosa” (la pittura veneziana nasce direttamente dalla “cosa”), la supremazia dell’ “utile”, del “sapere elementare”, forte, arguto, secco, senza fronzoli. 
 
Questi ultimi concetti ci introducono nell’attualità, perché la “cultura della cosa”, dell’ “utile”, del “sapere elementare” (che non è lo scontato, il semplificatorio) non è tramontata, ma tramandata nella Valle trasformata dalla modernità. 

Questa Valle è in cerca di una sua collocazione “culturale”, di “suoi riferimenti” nella complessità della globalizzazione che l’ha investita, soppiantando una cultura semplice e lineare (come quella contadina e artigiana), che infondeva sicurezza nel presente e nel futuro, essendo ben radicata nel passato.
 
Noi, oggi, abbiamo dati di concretezza sui quali ragionare:

• una forte presenza di Associazioni culturali operante sul territorio;
• un continuo e positivo nascere di mostre, individuali e collettive, ad ampio spettro di proposte artistiche e letterarie.

Sono due segni emblematici culturali di riflessione, di ricerca e di interazione nella globalizzazione segnata da internet, dalle simultaneità e velocità, dalle notizie che si autodistruggono.
Le risorse artistiche e culturali (i frutti della riflessione) si rivelano sempre più una leva per una creazione di valore di sistema, alimentando le identità di una comunità.

La rilevanza strategica della conoscenza artistica tout-court è fonte di comportamenti (sociali e associativi) tesi al miglioramento della qualità del capitale umano e relazionale, oltre che dell’ambiente fisico, cognitivo e simbolico.
Associarsi e produrre beni culturali sono fattori co-generativi di un mondo dove, accanto ai tradizionali luoghi deputati alla fruizione e alla trasmissione dell’arte (biblioteche, musei, collezioni, gallerie, ecc.) vi sono “altri luoghi”, meno istituzionali, ma non meno importanti, capaci di sprigionare nuove idee, nuovi gusti estetici, nuove idealità.

Sono luoghi che aprono a molteplici forme di creazione dell’arte e della sua percezione, con modalità soggettive e comunitarie, relazionali con spazi individuali e collettivi, capaci di associazionismo (community) che crea ex-novo una sua spazialità, il contesto nel quale ricreare condizioni di riproduzione di fonti e oggetti per dare continuità collettiva ai processi creativi. 

Community che auto-creano e auto-organizzano una loro contestualità, un loro modo di essere, ponendo in relazione diretta artisti e fruitori verso una produzione di artefatti, manufatti reali e virtuali con fondamenti artistico-creativi tali da costituire “vere opere relazionali”.
Obiettivo dell’artista e degli artisti non è semplicemente quello di rappresentare i loro soggetti-oggetti, ma di creare con essi una relazionalità, una interazione con l’altro (il fruitore), una reciprocità.
Il territorio fisico e sociale diviene, allora, un connettore sempre più dedicato al consolidamento di queste community of art and culture (Klamer, 1996), di questo associazionismo di scopo e di finalità alte.

La governance del territorio deve prendere atto di queste forme culturali e associative, di questa nascente socialità diffusa, auto-organizzativa, capace di cultura dialogica che può divenire virtuosa spesso solo se adeguatamente supportata da azioni di continuità e di valorizzazione del loro patrimonio artistico espresso.
Necessitano, per questo, connettori che evitino dispersioni e separatezze, adeguati meta-organizzatori, reti museali territoriali, idonei spazi di creatività, dove eterogeneità e frammentazione si compongono.

Ecco allora che al potere pubblico spetta questa responsabilità di generare sociability, per superare esclusioni ed estendere condivisioni, dove deve prevalere lo scambio tra le diversità, dove si vanno ad evitare i rischi della separatezza sociale, dove all’integrazione non viene sottratta l’assimilazione e viceversa.

Le attività artistiche e culturali sul territorio e nelle comunità locali
diventano leve costruttive e attive di un tale equilibrio perché consentono quelle fusioni di “ibride identità” in formazione, che, in altro modo, diventerebbero solo individualistiche espressività.
Il gioco virtuoso consiste nel cedere parte della propria storia e contemporaneamente acquisire dalla comunità una nuova identità evolutiva, in un passaggio da un “individualismo egoistico ad un individualismo responsabile e cooperativo”, come lo chiama Ishaia Berlin.

Arte e cultura sul territorio fanno da sintesi
tra identità, coesione e diversità, fonti strutturali della creatività. 
Così si pongono le “mostre” sul territorio, così devono operare le associazioni nella comunità: essere le grandi espressioni viventi della creatività e della cultura collettiva e comunitaria, orientate all’interazione e agli apprendimenti diffusi e socialmente trasversali della scienza, dell’arte e della cultura.

L’auspicio di chi scrive (e credo di tutti) è che nella realizzazione di alleanze e cooperazioni tra pubblico e privato, tra istituzioni e associazionismo, tra sforzi congiunti in chiave di sistema integrato delle risorse artistiche e culturali, vi possa essere un segno tangibile di contribuzione a ridare (ri-creare) valore a quell’immenso e irriproducibile patrimonio artistico dei nostri centri alpini della cui unicità troppo spesso ci si dimentica, nell’illusione di una loro presunta eternità, mentre la cui conservazione richiede sistematiche azioni orientate al recupero, al restauro, alla sostenibilità.

Il messaggio è questo: le ormai ridotte “sinopie”, nei templi e fuori, devono tornare al fulgore di un tempo: è un impegno forte, una responsabilità vincolante per consegnare alle generazioni future un concluso progetto di azione artistica sostenibile.
 
Giuseppe Biati

.in foto: il Pian d'Oneda
 


Commenti:
ID68258 - 15/09/2016 11:52:58 - (Giacomino) - La conservazione richiede

sistematiche azioni orientate al recupero, al restauro, alla sostenibilità. dice molto bene l'articolista.

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