La sorgente del «Còl»

A Vallio, tra le contrade di Caschino e Somagro, c’è una polla sorgiva di acqua freschissima. Vi attingono i valligiani e i villeggianti, soprattutto d’estate. Ne scaturisce un’acqua che dà refrigerio, sorprendentemente fredda: forse esce da una profondità considerevole.
Il luogo è chiamato “Còl” ed è situato proprio sulle rive del Vrenda, all’ombra di un nascosto boschetto.

I vecchi narrano, su quel luogo e su quella sorgente, una malinconica leggenda.
In una casa di Somagro, che tuttora dà sul poggio, viveva un tempo una giovane donna, madre di un graziosissimo bimbo, biondo e roseo. La donna era rimasta vedova in seguito ad un incidente occorso al marito intento a tagliare legna sui monti. Un masso era precipitato ed aveva sepolto il pover’uomo. La donna, rimasta sola, concentrò tutto il suo amore su quell’unica creatura che il Cielo le aveva mandato; era la sua consolazione, il suo conforto.

Le famiglie vicine le affidavano i piccoli, mentre fervevano i lavori agricoli, per consentire alla vedova di mantenere in vita sé e il figlio.
Il bimbo cresceva sano e bello. Amava correre per i campi, lungo le rive del Vrenda, ma soprattutto desiderava trastullarsi con l’acqua…
La vedova temeva per quel suo unico tesoro e più volte lo ammoniva, quando il piccolo riusciva a strapparle il consenso di correre liberamente in cerca di giochi, a fuggire i pericoli.

Un giorno, il piccolo giocava sereno, fuori di casa; la madre ne udiva il lieto clamore risuonare sotto i boschetti del Vrenda. Sembrava il bimbo più felice del mondo. Non conosceva i pericoli.
Quand’ecco addensarsi neri nuvolosi, soffiare un vento umido di pioggia e apparire nel cielo il primo guizzo accecante del lampo.
La donna chiamò forte, a lungo, impensierita, il figlio.

- Torna subito a casa, bambino mio, il tempo si fa scuro.
- Vengo mamma, un minuto soltanto…
Cadevano i primi goccioloni; la donna, sempre più in apprensione per il figlio, scese di corsa la breve strada che conduce al Vrenda. Si accostò alla riva.

D’improvviso la pioggia infittì. Scrosciava sonora sulle fronde verdi e copriva la voce della donna disperata. Il figlio, tra il verde lucente d’acqua, le rispondeva con voce chiara, ma senza uscirne.
- Ma che succede? – si domandò impietrita la donna. – Perché mio figlio risponde e non accorre tra le mie braccia?
Giunta nei pressi della roccia detta della “Còl”, uno spettacolo terribile le si offrì allo sguardo: il corpo del piccino galleggiava sull’acqua del gonfio Vrenda.
Un ramo basso, quasi volesse dolcemente cullarlo, lo tratteneva, forse perché per l’ultima volta la madre potesse rivedere il figlio che, sorpreso dall’improvvisa violenza dell’uragano, era stato spinto nella corrente da una folata di vento.

La donna impazzita cacciò un urlo disumano. Un’onda più forte trascinò il corpicino dell’infelice bambino lontano, sempre più lontano. L’urlo si ripercosse nella valle.
A quell’urlo la roccia si commosse e sprigionò un’acqua freschissima, a ristoro delle gole più riarse.

Da Leggende di Vallio di Lino Monchieri

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