La sobria eleganza di Macerata
La prima volta fu più di trent’anni fa. Vi capitai casualmente. In compagnia di alcuni amici, ero partito da Nocera Umbra con l’intenzione di andare a Macerata per salutare padre Gino, un simpaticissimo frate carmelitano, arguto e scattante, la cui battuta più frequente era: “e beccate sto’ cefalo!”.
Viveva in un convento, oltre le mura della città, su un’altura dove campeggia in bella vista, enorme e solitario, il tempio della Madonna delle Vergini.
Oggi, invece, guardandola da lontano, Macerata la vedo lassù, malinconica ed aristocratica. L’amena posizione, dall’alto del colle tra le valli dei fiumi Chienti e Potenza, la rendono ancor più antica e religiosissima. Ne distinguo le chiese, il silenzio, la musicalità.
E quando giungo in città ne percepisco la fattura, il colore, il suo nobile e dignitoso provincialismo. Macerata è tutto questo: un ondulato e tortuoso percorso di silenzio lungo le sue mura. Un’omogeneità cromatica rosso mattone, a tratti rosa, che la rende piacevolissima. Più di quaranta palazzi nobiliari, tra le sue strette vie, spiano, quasi sdegnosi, l’ignoto visitatore. Una romantica passeggiata in cui la perfetta geometria è spezzata solo dalla mole immensa dello Sferisterio, che, quasi adagiato a Porta Picena, si stende con la sua strana forma come a voler delimitare la città della musica da quella della preghiera e della vita quotidiana.
Il solenne edificio, simile a un’arena, ora vivace motore del turismo musicale e culturale maceratese, era in origine utilizzato per un gioco qui anticamente popolarissimo, quello della palla con il bracciale. Ne è testimonianza il grande “muro battipalla”, che sembra quasi spezzare il disegno neoclassico delle colonne e delle loggette. Lo strano nome dell’edificio non si riferisce, come qualcuno potrebbe pensare, a una forma geometrica particolare. No! Richiama, invece, lo stile di fondo: l’antica Grecia. “Sphaira” vuol infatti dire “palla”. Se per decenni ha risuonato di urla di tifosi e di giocatori accaniti, lo sferisterio si è successivamente convertito alla musica, divenendo arena del bel canto e avvolgendo la “sua” Macerata in un’aura di festival e di musica. Illustri compositori e grandi artisti hanno cantato tra quelle mura. Non dimentichiamoci, infatti, del quasi concittadino, Beniamino Gigli, di Recanati.
Accanto allo sferisterio, passati sotto l’ombroso arco di Porta Picena, si stende lunga e meravigliosa, piazza Mazzini, con i suoi palazzi, la casa del Podestà e tutta la storia che vi palpita. L’ampiezza e la pendenza di quella piazza inondata dal sole non è nulla in bellezza al confronto dell’altro cuore antico e palpitante della città, la trapezoidale Piazza della Libertà con la sua torre civica alta sessantadue metri, la leggiadra Loggia dei Mercanti, gli edifici nobiliari che la circondano, il Municipio, la facciata incompiuta della bella chiesa di San Paolo e il Duomo, all’interno del quale è esposto all’adorazione dei fedeli il corpo di san Vincenzo Strambi (1745-1824), vescovo di Macerata e Tolentino dal 1800 al 1823. Il santo è in abiti vescovili.
La settecentesca cattedrale sembra quasi scomparire a paragone dell’elegante esterno del Santuario della Madonna della Divina Misericordia, che gli sta accanto. Forse la più bella chiesa maceratese, il santuario ha una facciata barocca e gli interni realizzati dal Vanvitelli.
La primitiva chiesa sorse in questo luogo come voto cittadino alla Vergine per l’imperversare di una feroce pestilenza. Il fatto curioso e straordinario è che l’originaria cappelletta fu eretta in un solo giorno, il 17 agosto del 1447.
Con ancora nel cuore e negli occhi la visione dell’elegante centro cittadino, esco dalle mura senza dimenticare una rapida visita al Monumento dei Caduti, che occupa un’intera ala di Piazza della Vittoria.
Macerata insegna ad apprezzare piccoli squarci di storia, di vita provinciale improvvisamente ed inconsapevolmente divenuta capoluogo. Ti accoglie in un abbraccio di sole e di mestizia e ti coccola, mentre con calma, senza alcuna premura, te ne vai solitario nell’abbraccio delle sue antiche mura e guardi laggiù lontano un profilarsi di monti, un confine brullo e sereno.
Magia delle Marche. Bellezza dell’oriente d’Italia.