Camminando in una poesia
La pensavo diversa, e invece Pescara mi riceve con il suo abbraccio di mare e l’aspetto prevalentemente moderno. Con i suoi centoventimila abitanti, è la città più popolosa dell'Abruzzo e ha dato i natali a personalità come Gabriele D'Annunzio ed Ennio Flaiano...
I violentissimi bombardamenti della tarda estate del 1943, che causarono la morte di almeno tremila persone, l’hanno trasformata a tal punto che oggi conserva ben poche tracce del suo passato.
La Cattedrale di San Cetteo, costruita tra il 1933 e il 1938 sui resti dell'antica chiesa di Santa Gerusalemme, fu fortemente voluta da Gabriele D'Annunzio.
Essa ospita, infatti, la tomba della madre del poeta, Luisa D'Annunzio, ed è possibile ammirarvi un dipinto del Guercino – il “San Francesco” – che lo stesso Vate donò alla chiesa.
Per raggiungere la parte storica della città percorro il Ponte del Mare, che con i suoi 465 metri, è il ponte ciclo-pedonale più grande d'Europa.
È una spettacolare opera a forma di vela che contraddistingue il paesaggio della città e che unisce le due riviere a nord e a sud del fiume Pescara.
La parte sospesa si regge su un pilastro d'acciaio ancorato sulla sponda Nord del fiume in posizione obliqua rispetto alla sua traiettoria.
Ed eccomi a Pescara Vecchia, il nucleo più antico della città, ridotto quasi unicamente a Corso Manthonè.
Qui vi è la casa natale dello scrittore Ennio Flaiano e quella di Gabriele D’Annunzio.
Quest’ultima – un edificio settecentesco, proprietà della famiglia del poeta a partire dall'Ottocento – è ora trasformata in un museo composto da nove sale. Vi si conservano arredi, mobili d'epoca e oggetti dello scrittore e della sua famiglia.
Ciò che però fa vibrare veramente l’animo poetico è passeggiare – anche se in un giorno di sole come è capitato a me – nella pineta dannunziana che, con i dovuti cambiamenti dei decenni trascorsi, è ancora la stessa in cui il Vate si inoltrò in un giorno di pioggia in compagnia di una certa Ermione e gustò la musicalità dei pini bagnati dalle gocce cadute dal cielo.
L’impasto fangoso dei viali e il canto delle rane dagli stagni furono elementi vivi, musicali, di quella giornata. Per questo, essere lì, permette di udire tra le fronde e i rami dei pini, i versi della poesia; è esserne circondato.
Val la pena tentare di fare quel che ho fatto io: portare con sé la poesia “La pioggia nel pineto” e impararne lunghe parti a memoria.
Così, passeggiando in solitaria per i viali della pineta, si può dare lettura anche ad alta voce, come decantandone i versi, o semplicemente chiudere gli occhi e recitarne mentalmente alcuni passi.
Quando riaprirete gli occhi, vi sembrerà per un istante di aver sognato, così come forse vi era capitato nell’adolescenza sui banchi delle scuole superiori, quando la poesia poteva trasformarsi in un’arma per catturare le emozioni e i sentimenti della compagna per cui si spasimava.
O vi sembrerà di rivivere la favola bella che ieri ci illuse, che oggi ci illude. Poiché sulle soglie del bosco non odo parole che dici umane ma solo l’accordo delle aeree cicale che a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce.
Lasciando poi i sentieri e inoltrandosi nella boscaglia, può davvero accadere di sentire il verde vigor rude che allaccia i malleoli intrica i ginocchi là dove le fronde son più rade, men rade.
E l’incanto della poesia aiuta a scoprire come ogni albero ha veramente il suo suono. Così il mirto, così il ginepro, d’arborea vita viventi.
Alla fine, quasi disorientato, tornando in direzione di Roseto, mi son fermato a Montepagano; ho guardato dall’alto delle mura medievali il mare, laggiù; il tremolar della marina. E ancora una volta ho pensato che la poesia dà più vita alla vita stessa.
Citando Franco Arminio:
“Si può girare intorno a tutto ma alla fine la poesia è il bene che racconta la sua difficile vita in mezzo alla confusione. La poesia ci invita a guardare. Ci ricorda come si fa a essere vivi”.