Educazione
Un insegnante, educatore, coordinatore didattico di un’importante scuola di musica cittadina, genitore ed amico, mi gira l’intervento pubblico di un noto psicoanalista, effettuato poche settimane prima, a Milano, durante un convegno che ha per titolo “Educazione”
Sa che il tema mi appassiona da sempre e che me ne occupo professionalmente. Ascolto con interesse il discorso formulato dal popolare personaggio pubblico. Quel che dice, di primo acchito, mi pare condivisibile, anche perché tocca il senso comune ed i suoi miti, dopodiché la mente inizia a vagare e vagliare le conclusioni avanzate e prende posto il pensiero critico. Mando quindi all’amico un commento e l’occasione mi risulta buona per rimettere mano ad alcuni appunti sparsi, raccolti in tutti questi anni di consulenze e formazioni.
Condivido qui con voi parte della sintesi di quanto emerso.
Innanzitutto il noto professore parte da due premesse, per ragioni di spazio espositivo riporto qui di seguito solo la prima: ‘Fare bene i genitori, cioè educare, è un mestiere impossibile.’ La frase che ispira il primo punto è stata espressa, nel 1937, dal neurologo, capostipite e fondatore, tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX sec. della Psicoanalisi, Sigmund Freud, il quale poi continua: ‘il mestiere del genitore, dell’educatore, è destinato ad essere un mestiere incompiuto, ad andare incontro a fallimenti scacchi e difficoltà (...) è un mestiere impossibile perché è impossibile non sbagliare.”
Riflettiamo, in primis, sulle parole utilizzate, poiché talvolta, con le parole, si passano metafore ormai morte oppure concezioni del vivere valide solo entro alcune culture, luoghi, tempi, momenti storici e situazioni particolari dell’educare, che non riguardano propriamente tutti e tutte.
Dopodiché, potremo passare a considerare l’insieme e il senso di quanto formulato dallo psicoanalista.
Partiamo quindi dal termine che da titolo all’incontro: “educazione”. Che s’intende? Un tempo, era tipico dire che s’insegnava la “buona creanza”, ovvero si abituavano i giovani a comportarsi, in ogni occasione pubblica e privata, con modi gentili e cortesi. Oggi noi, quando parliamo di educazione, pensiamo perlopiù ad un grande contenitore di saperi che ha a che vedere con tutto quel che si fa al fine di favorire lo sviluppo di facoltà ed attitudini, affinare sensibilità, correggere comportamenti, trasmettere ed acquisire elementi culturali, estetici e morali, inerenti bisogni primari (respirare, mangiare, bere, dormire, la sessualità), secondari (di sicurezza, appartenenza, stima), terziari (autorealizzazione, spiritualità).
Continuiamo quindi con quell’altra parolina, “mestiere”. È davvero un mestiere quello del genitore? Ovvero il genitore fa qualcosa per i figli in cambio di qualcosa d’altro? Cosa si aspetta da loro? Denaro? Beni materiali? Un guadagno? Capite bene che se è questo il modo di concepire tale termine allora alcuni guai derivano proprio da questa assunzione, da questa qualificazione del ruolo genitoriale.
Se il figlio coglie che state facendo qualcosa su di lui, o per lui, in cambio di qualcosa d’altro, di non ben definito, ad una certa età in special modo, e penso per esempio all’adolescenza ma anche alla giovinezza, potrebbe sentirsi, usato, ingannato, strumentalizzato, manipolato, etc. a seconda del contenuto di questo implicito, di come viene comunicato e di quanto è realmente condiviso.
Detto altrimenti se le vostre aspettative di guadagno non corrispondono alle sue, quanto più la sua filosofia di vita non coincide con la vostra, i gruppi che frequenta non sono simili ai vostri, il mondo che lui abita non è uguale al vostro, quanto più si può acuire il conflitto all’interno di questa relazione.
Certamente possiamo pensare a quel termine “mestiere”, anche con un altro valore, concependolo, semmai, come un lavoro da svolgere, non meramente manuale ma che richiede una certa dose di sapere e preparazione. Il perché è facilmente detto, nel corso dei tempi, ci siamo sempre più screditati, allontanati da idee naturalistiche della genitorialità, per cui bastava mettere al mondo ed esser ritenuti madri e padri, non ci si interrogava troppo sul cosa sapere e come fare per crescere bene i propri figli, insomma era sufficiente riprodursi.
Nel corso dei secoli si sono approfondite sempre più le conoscenze e raffinati linguaggi, metodi, tecniche e strumenti volti ad ottenere particolari esiti coi figli ed il mero atto biologico non bastava più per decretare di essere dei “genitori”. Origina cosi il nuovo termine, genitore appunto, per riferirsi non solo all’atto del generare un figlio ma anche, o in alternativa, a quello del crescere la propria progenie e specie.
Ma andiamo avanti, nel corso della storia viene istituito un nuovo lavoro, quello dell’educatore, figura professionale che si occupa della crescita umana delle persone, il quale viene pagato per svolgere quello che fa. Inizialmente tali figure si occupavano di fanciulli che si trovavano a vivere negli orfanotrofi, successivamente vennero inseriti nei riformatori, nei luoghi deputati alla detenzione ed anche nelle case borghesi impiegati per accudire ed educare i bambini delle famiglie più abbienti, i quali per impegni lavorativi o sociali non potevano occuparsene e negli asili. I saperi in tale campo aumentano e si arriva alla fondazione di discipline come la pedagogia che volgono il loro sguardo ed interesse allo sviluppo biologico, morale, cognitivo, sociale delle persone, in ogni ciclo della loro vita.
Con la scolarizzazione di massa tali conoscenze vengono divulgate anche ai genitori, i quali trasformano quello che inizialmente era pensato come un semplice decorso della vita, prodotto dell’evoluzione naturale o anche dono di un Dio, o degli dei, in un mestiere, da qui l’accostamento dei due nomi. Oggi genitore si diventa e per diventarlo occorrono competenze. In tutto questo, ovviamente molto dobbiamo alla psicologia. Ed il relatore questo lo sa bene, poiché quando parla in veste di genitore, dichiara di poter affermare, con un certo ed ampio grado di certezza, che alcuni insegnamenti sono passati ai suoi figli e che alcuni rischi sono stati ormai scongiurati.
Perché lo dice? Perché dispone di un sapere (che non rivela in quella sede) che gli consente di attestare tutto ciò. Quel sapere oggi lo chiamiamo scienza. Dunque, la scienza serve. Ma occorre dirlo, per onestà intellettuale, la scienza ragiona in termini di probabilità, non di certezze assolute. Perciò quel che si può affermare lo si afferma con gradienti, vari, di probabilità. Occorre aggiungere che la scienza non è tutta uguale, tanto più quella che si occupa dell’umano. Ha delle peculiarità e strumenti particolari, rispetto alla cosiddetta scienza dura (fisica, chimica, matematica) per esempio. Detto altrimenti non possiamo trattare l’essere umano alla stregua di una pianta, un metallo, un tondino, un’arma da fuoco, o anche un animale selvatico...
Per le stesse ragioni anche l’affascinante letterato viennese, nomina l’impossibilità di svolgere tale ruolo, in quanto, diremmo noi oggi, non possiamo prevedere il comportamento umano. Da qui la domanda del succitato professore, se non possiamo prevedere con certezza assoluta il comportamento umano, cosi come facciamo quando lanciamo un pendolo nell’aria, allora: “Chi sarebbero i genitori migliori?” a cui fa seguire l’immediata risposta: “I genitori migliori sarebbero quelli consapevoli dell’impossibilità di educare. Consapevoli dell’impossibilità di educare senza sbagliare.” E poi prosegue: “Dunque, di conseguenza, chi sarebbero i peggiori? I genitori peggiori. Coloro che si propongono ai figli come educatori esemplari.” E chiude, questa prima assunzione con questa deduzione: “I cocci, come terapeuti, li raccogliamo in genitori che si pongono come infallibili. Vogliono sempre aver ragione, l’ultima parola, …giusto sbagliato, bene e male, …”.
Ed io qui mi sento chiamata in causa, tenuta a replicare, sperando di non sconvolgere troppo il lettore, condivido qui alcuni saperi. Stiamo dicendo che la scienza non riesce a prevedere il comportamento umano, tuttavia, va detto, possiamo fare delle anticipazioni dei comportamenti umani, questo sì; possiamo analizzare prima, le possibili conseguenze di una certa condotta. Quando, per esempio, chiedete ai figli di pensare bene alle conseguenze del loro agire, prima di passare all’azione, cosa state facendo? State aiutando vostro figlio, vostra figlia ad anticipare gli accadimenti e scegliere come regolarsi. Questo possiamo farlo, come esseri umani, perché, ad una certa età abbiamo già fatta esperienza di situazioni simili a quella che stiamo valutando, in parte perché grazie alle facoltà di pensiero possiamo immaginare gli scenari possibili.
Mi avvio quindi alla conclusione di questo primo articolo, cui certamente ne seguiranno altri. Possiamo replicare a queste interpellanze del noto accademico domandando a nostra volta: “E chi non sbaglia?” Viviamo nell’errore, la verità è un mezzo, per correggere errori, ci ricorda la filosofia più alta. Vivendo andiamo incontro, normalmente, a mancanze, fallimenti, abbagli, sviste e sbagli. Questo vuol forse dire che è impossibile cambiare? È destinato a ripetersi perché non può prevedere del tutto che accadrà? Ascoltando il professore si ha quasi questa impressione.
Dato che sappiamo che si può cambiare e questo ce lo hanno insegnato, già molti secoli fa, già gli storici. Il singolo, l’individuo, una volta che è conscio di quel che avviene, può scegliere e decidere che fare, come agire o non agire. In altre parole come soggetti coscienti possiamo controllare e modificare la nostra azione individuale, tutto ciò è sotto il nostro stretto potere. Il cristianesimo aggiunge il concetto di libero arbitrio, per aiutare a far comprendere bene questa libertà che l’essere umano ha. Da quel soggetto iniziale “i genitori” io passerei al singolo “il genitore”. Ora è chiaro l’intento di non colpevolizzare i genitori, come invece fanno alcuni personaggi pubblici che a suon di grandi discorsi moralistici pare che tirino schiaffi agli adulti di oggi, comprensibile anche il perdonarli un po', ma d’altro canto occorre non scadere in un eccesso di bonismo e permissivismo, il che è proprio quel che si rischia se dichiarando l’impossibilità, non tanto di fare bene questo ruolo, ma bensì di svolgerlo.
Non vogliamo legittimare gli errori, le cattive azioni di alcuni, se non addirittura le azioni devianti di altri. Tanto più perché oggi sappiamo non solo che cambiare è possibile ma anche come farlo e farlo bene. Chiudo a tal proposito ricordando un motto antico che dice: “il bene è nemico del meglio”, quindi forse è proprio la cultura del migliore che pare promuovere anche il professore che ci porta a scadere in certi guai … A questo punto educare non è quindi una questione legata al rispetto delle regole quanto piuttosto al rispetto delle persone.
Marzia Sellini è psicologa, psicologa scolastica nei licei, formatrice di docenti in ambito scolastico e psicoterapeuta nel contesto privato. E’ stata membro del gruppo Studio & Formazione – Laboratorio di Psicologia del dott. Marco Vinicio Masoni di Milano. È socia della Sipi (Società Italiana Psicoterapeuti Interazionisti), scrive per la rivista scientifica “Scienze dell’Interazione” rivista della Scuola di Specializzazione Cognitivo-Interazionista di Padova e Milano. Le sue ultime pubblicazioni sono: La scuola che ascolta (Milano, 2024), Dad (Milano, 2023), Volontà (Milano, 2022), Insegnamenti straordinari (Milano, 2020).