In Val di Stava 40 anni dopo la catastrofe
Anch’io me lo sono chiesto: Che ci vengo a fare quassù in questa bella giornata estiva? Mi rispondo: è per un dovere di memoria. Di triste rimembranza
Ricorre, infatti, in questi giorni il quarantesimo anniversario della tragedia della Val di Stava, quando improvvisamente i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 160.000 m³ di fango sull'abitato di Stava e provocando la morte di 268 persone.
La miniera, situata alle pendici del monte Prestavel, nel massiccio di Santa e sovrastante la valle di Stava, veniva sfruttata fin dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. All’inizio degli anni Ottanta era passata in gestione alla società Prealpi mineraria.
Alle ore 12:22 del 19 luglio 1985 l’arginatura del bacino superiore cedette e crollò sul bacino inferiore che cedette a sua volta. La massa fangosa composta da sabbia, limo ed acqua, scese a valle a una velocità di quasi 90 km/h spazzando via persone, alberi, abitazioni, fino a raggiungere la confluenza con il torrente Avisio.
In 267 morirono sul colpo; solo una ragazza estratta ancora viva dalle macerie di uno degli alberghi di Stava sopravvisse per pochi giorni.
All'opera di soccorso parteciparono oltre 18.000 uomini. Presso il municipio di Tesero fu istituito un Quartier Generale della Protezione Civile dal quale coordinò i soccorsi lo stesso Ministro della protezione civile Giuseppe Zamberletti. La maggior parte delle vittime fu recuperata nelle prime ore, ma la ricerca si protrasse per tre settimane. Le salme furono composte prima nella palestra delle scuole elementari di Tesero e poi nella Pieve di Santa Maria Assunta a Cavalese, la stessa chiesa nella quale nel 1976 erano state pietosamente raccolte le salme delle quarantadue vittime dello schianto della funivia del Cermis.
Oggi, nel sole di questo caldo pomeriggio, sosto in silenzio all’esterno della chiesetta detta “La Palanca” che dista poche centinaia di metri dalla zona degli alberghi di Stava, lungo la strada che porta a Tesero. Nel piazzale, il monumento donato ai superstiti della Val di Stava dalle popolazioni del Vajont, affratellate nella sciagura. La scritta in bronzo dice: “La solidarietà dell'uomo fa tornare più forte la vita là dove più grandi furono distruzione e sofferenza”.
Entro nella raccolta chiesetta. Una lapide benedetta da Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita a Stava il 17 luglio 1988, riporta i nomi delle 268 vittime della catastrofe, raggruppati per nucleo familiare e luogo di residenza e con l'indicazione della data di nascita di ognuno. Questi nomi sono racchiusi all'interno di due materiali di grande forza e trasparenza: plexiglass e cristallo. Le vittime sono così idealmente sospese nel vuoto, lo stesso vuoto che hanno lasciato nel cuore dei loro cari e di quanti le conobbero.
Intanto fuori il cielo si è improvvisamente oscurato come spesso accade in montagna. Dopo aver acceso una candela, decido di andare in un’altra chiesa poco distante: quella di San Leonardo, a fianco della quale è stato composto il cimitero delle vittime della Val di Stava. Vista la necessità di recuperare l’antico cimitero non più utilizzato, all’indomani della tragedia qui vennero sepolte 71 salme che non poterono essere riconosciute.
Nella chiesa di San Leonardo mi colpisce particolarmente un quadro, opera di Renato Decrestina, un pittore di Soraga di Fassa. Porta il titolo emblematico di “Stava 19/7/1985”.
Chiaramente ispirato alla Deposizione del Cristo, con la presenza delle pie donne, manca però della Croce. Essa è sostituita dall’immagine della valle di Stava, distrutta e coperta di fango, così come si presentava quel giorno di luglio del 1985. Riconoscibili sono, infatti, la ringhiera del ponte sul rio Stava, così come era allora, e il campanile della chiesa di San Leonardo sulla destra. Sono riportate queste parole dell'autore: “Piango la tua infausta morte, o Stava gentile, là dove l'incauto e folle progresso dell'uomo ti chiuse gli occhi. Ti chiamo sgomento, o Stava sommersa, che l’acre ruine di fanghiglia contorta – ingrata – la vita ti tolse!”.
Il silenzio fuori e dentro di me si è fatto assordante. Varco il cancello del cimitero di San Leonardo, che è oggi la voce di un martirio che guarda al mondo. Qui le lapidi sono tutte uguali. Un monumento alle vittime, terribile nel suo tragico, convulso movimento, riapre le ferite di chi porta un fiore, ma fissa negli occhi gli istanti di quello che fu. Due croci affiancano quattro lastre di porfido con i nomi delle 268 vite spezzate quel venerdì di luglio di quarant’anni fa. Giovanni Paolo II visitò il cimitero delle vittime e rimase in ginocchio per alcuni lunghi, interminabili minuti, aggrappato ad una delle due croci in bronzo.
Scorrere con lo sguardo i nomi sulle lapidi è scorrere il triste elenco di una vacanza interrotta; vite che si spezzarono in un solo istante. E ancora una volta scoprire che non fu colpa della “natura matrigna”, ma dell’incuria dell’uomo e della sua sfrenata corsa al guadagno. La fondazione “Stava 1985”, voluta dai familiari delle vittime affinché i 268 uomini, donne e bambini uccisi il 19 luglio 1985 in Val di Stava non fossero morti invano, ha istituito il centro di documentazione sulla catastrofe, situato nella stessa Stava.
Dicevo che le lapidi sono tutte uguali. I nomi sono specchio di vite che furono. E non ci sono fotografie. O meglio, ce n’è soltanto una. La guardo. È una bella ragazza con ricci capelli al soffio di una brezza. È seduta su un pontile. Alle sue spalle quello che potrebbe essere il mare o un grande lago. È vestita di bianco con salopette e camicetta. Si chiama Enza ed è nata nel 1964. La guardo negli occhi.
Io e lei siamo coetanei. Aveva come me ventun anni in quel luglio lontano. Guardava come me al futuro e a ciò che sarebbe diventata. Alla donna che sarebbe stata. Ora anche la sua voce è nel vento di queste vallate che si fa sempre più forte man mano che le ore passano. Resterò qua ancora un po’. Rifletterò. Insieme a chi dorme su questa collina che ora si ammanta di fiori e riluce di un verde accecante anche quando il sole si nasconde dietro le nubi.
E una preghiera sgorgherà spontanea dal cuore.