Venerdì, 12 settembre 2025


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mercoledì, 10 settembre 2025 Aggiornato alle 08:00blog - il viaggiatore curioso

Sirmione: non solo overtourism

di Roberto Maggi

Ripenso a Sirmione e a una sera d’autunno di tanti anni fa. Così almeno libero gli spazi geografici dall’overtourism e recupero l’anima più leggendaria della penisola di Catullo

 

 

Era una sera inquieta e grigia. Il cielo senza stelle mi ricordava che in una notte come quella l’impavido Lord Byron, preferì rimandare la sua visita a Sirmione. Anche Ugo Foscolo, spaventato dalla furia delle onde del Benaco, trascorse la notte insonne tentando di placare la tempesta con la lettura dei canti di Catullo.

 

Io invece placai la tempesta della mia curiosità cullandomi tra le leggende che circondano questo borgo gardesano, che forse meriterebbe di essere visitato più per la sua storia e le sue vicende che per le sue suggestioni paesaggistiche. Mi aggiravo intorno al castello scaligero ascoltando il violento infrangersi delle acque contro la darsena interna e mi tornava alla mente la vicenda di due giovani sposi, Ebengardo e Arice che vivevano felici tra quelle mura.

 

Una notte di tempesta, un cavaliere, il marchese di Feltrino, chiese ospitalità per sé e per il suo seguito. Alloggiato con ogni onore nella stanza più bella, rimase a tal punto colpito dall’avvenenza di Arice che, durante la notte, entrò nella sua stanza. Lei si oppose alle richieste del misterioso cavaliere che, persa la pazienza, la pugnalò.

 

Quando Ebengardo, attratto dalle urla della giovane sposa, entrò nella stanza e vide l’accaduto, uccise a sua volta l’ingrato cavaliere. Arice fu accolta in Paradiso, mentre il suo sposo Ebengardo si trasformò in un fantasma e rimase tra i vivi a maledire quella notte buia e tempestosa in cui il male aveva bussato alla sua porta.

 

 

Se ci si avvicina al castello di Sirmione in una notte come quella che ricordo, con il lago in burrasca e i lampi nel cielo, si può udire un lamento che il soffio del vento ripete: “Arice”. E dopo averlo udito per ben tre volte di seguito, ecco materializzarsi tra i merli del castello, il fantasma di Ebengardo che ancora impugna il pugnale con il quale uccise il marchese di Feltrino.

 

La sua ombra – dice qualcuno – vaga anche tra le onde del lago. Così la notte portò il silenzio sulla penisola di Catullo. L’inquieto lamento del fantasma del castello scivolò rapido tra i vicoli. L’onda sulla ghiaia del lido portò con sé messaggi sottili di amanti nascosti.

 

 

Ma dire Sirmione è anche dire Catullo, il poeta veronese che qui aveva una delle sue dimore più belle. I resti di questa villa sono detti “Grotte” e c’è chi crede che da essi prendano il via cammini sotterranei e misteriosi condotti e che sia possibile partire da Sirmione e sbucare proprio nell’arena di Verona. Nel Cinquecento si raccontava di una giovane contadinella che un giorno, inseguendo una scrofa che aveva smarrito, si inoltrò in quei sotterranei e si sarebbe ritrovata appunto a Verona.

 

E c’è di più! Non credo che qualcuno lo cerchi ancora. Forse la maggior parte delle persone che oggi percorre quotidianamente le vie e i vicoli di Sirmione non ne ha mai nemmeno sentito parlare. Figuriamoci l’overtourism!!!

 

Ma, fino ai primi anni del XX secolo, gli innamorati uscivano in barca a cercarlo e qualcuno forse immaginava davvero di vederlo nelle quiete notti di luna piena. Sto parlando del mosaico sommerso. Un luogo non localizzabile geograficamente, ma affidato alla sfera dei nostri sogni, alla nostra fantasia, alla serena pace del romanticismo più vero.

 

 

Dovrebbe raffigurare il volto del poeta latino, Catullo, e dovrebbe essere formato da tessere splendenti come perle. A disegnarlo fu il dolore per un amore perduto, quello di Quinzia, una ragazza di Sirmione, per il suo Catullo.

 

Valerio Catullo, che come tutti sanno nacque a Verona, ma visse gran parte della sua breve vita nella sua villa di Sirmione, era pazzamente innamorato di una donna di nome Lesbia, alla quale dedicava dolci liriche d’amore. La giovane Quinzia vedeva quindi non ricambiato il suo amore per quel cantore di versi sublimi. E soffriva in silenzio.

 

Un giorno giunse a Sirmione la notizia che Catullo era morto a Roma. Quinzia ne soffrì talmente tanto da recarsi a piangere tutte le sue lacrime in riva al lago, nel luogo in cui era solita portarsi al largo. Le lacrime, cadendo in acqua, si trasformavano in perle e formavano sul fondo il mosaico del volto del suo amato poeta. Compiuta l’opera, lasciata ai posteri come pegno d’amore, la povera Quinzia morì di dolore.

 

Se questa storia fosse vera, il mosaico fatato potrebbe essere là, da qualche parte. 

 

Cercatelo in una notte di luna piena. Se non lo trovate, unite le tessere nel vostro cuore formando il volto di chi amate davvero!

 


 

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