Mercoledì, 14 maggio 2025


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mercoledì, 14 maggio 2025 Aggiornato alle 12:27Blog - Il viaggiatore curioso

“Eran Trecento…”

di Roberto Maggi

A Sapri e a Padula portando con me la poesia di Mercantini

 

 

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”


Quando in quinta elementare studiai sul libro di lettura la poesia “La spigolatrice di Sapri”, la trovai facile da memorizzare e da capire. Unico punto oscuro: l’argomento. 

A che fatto storico si riferiva? Chi erano la bella spigolatrice e il capitano dagli occhi azzurri? E chi erano quei trecento giovani e forti che venivano continuamente ricordati nel ritornello?

 

Cercai sul sussidiario, e quando trovai il paragrafo intitolato “Carlo Pisacane e la spedizione di Sapri”, capii che lì stavano le risposte alle mie domande. 

Questo Pisacane (era lui il capitano dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro), duca di San Giovanni, possidente napoletano, aveva studiato al Collegio Militare della Nunziatella di Napoli ed era diventato ufficiale del Genio. 

Combatté nella sfortunata difesa della Repubblica Romana nel 1849 e, alla caduta della stessa, decise di prendere la via dell’esilio. 

 

Nel frattempo, molti evidenti segnali spingevano a credere che fosse giunto il momento di tentare la sollevazione della parte continentale del Reame Borbonico. A Genova si tenne una riunione segreta nel corso della quale si decise che Pisacane con alcuni compagni si sarebbe dovuto imbarcare come normale passeggero su un piroscafo della linea Genova-Cagliari-Tunisi. Una volta impadronitosi del natante, avrebbe ricevuto durante il viaggio le armi necessarie fornitegli dai patrioti siciliani mandati da Rosolino Pilo. Con quelle avrebbe liberato i detenuti delle isole di Ponza e Ventotene e sarebbe sbarcato a Sapri dove avrebbe preso il via, con gli insorti campani e lucani, una marcia vittoriosa verso Napoli. 

 

Il piano sembrava perfetto, ma purtroppo le cose non andarono proprio così. 

 

Quando, il 28 giugno, Pisacane con i suoi trecento giunse a Sapri, nessun patriota lo attendeva e tantomeno la popolazione in appoggio. Inoltre le autorità locali avevano messo in guardia gli abitanti da un previsto sbarco di detenuti evasi e pronti al saccheggio. L’esercito borbonico lo accerchiò dai monti circostanti e diede battaglia. Duramente sconfitta, la schiera dei ribelli fu massacrata. 

 

I cadaveri, per divieto borbonico, rimasero insepolti. Solo la pietà popolare, contravvenendo al decreto imposto, provvide a dare degna sepoltura a quei poveri corpi che furono inumati in un’unica fossa, davanti alla chiesa della SS. Annunziata. La leggenda vuole che la notte da quella fossa si levasse un prolungato lamento e che questo improvvisamente cessasse qualche anno dopo, al compimento dell’Unità d’Italia.

 

Pisacane tentò un inutile ripiegamento verso il mare. Il 2 luglio giunse in vista di Sanza. Qui fu circondato dalle guardie e dalla popolazione stessa. Ferito e vistosi perduto, si uccise con un colpo di pistola.


 Il racconto di quella sfortunata spedizione è oggi consegnato alla memoria dei luoghi e ai versi immortali della lirica di Luigi Mercantini “La spigolatrice di Sapri”, che si deve necessariamente portare con sé se si viene in visita da queste parti. E così ho fatto io. L’ho portata con me e in ogni luogo dove sono stato ne ho letto alcuni frammenti.

 


Il monumento a Carlo Pisacane a Sapri, sulla piazza del Municipio, volge le spalle al mare e guarda fiero verso i monti, da dove giunsero i nemici.

 Entrato a far parte del tessuto cittadino, è come se dal momento in cui “s’inchinò per baciar la terra” lo sfortunato protagonista di quella spedizione fosse da sempre appartenuto a Sapri.

 

Il monumento sta a indicare quella libertà che il popolo italiano si è conquistato anche a prezzo del sacrificio degli eroici trecento giovani e forti e del loro “bel capitano”. Il luogo dello sbarco è, invece, ricordato da un obelisco.



 

A Sanza, dove Pisacane si uccise, è affidata alle parole incise su un cippo la narrazione del triste epilogo della vicenda. 

Raccolto e di forte impatto emotivo è sicuramente l’Ossario dei Trecento a Padula, un edificio a pianta circolare dove, lungo la parete della cappella, sono raccolti in devota e rispettosa mescolanza, entro teche di vetro, i resti dei Caduti della sfortunata spedizione.

 

 “Due volte si scontrar con li gendarmi,/ e l'una e l'altra li spogliar dell'armi;/
ma quando fur della Certosa ai muri,/ s'udirono a suonar trombe e tamburi;/
e tra 'l fumo e gli spari e le scintille/ piombaro loro addosso più di mille./

Dal 2021, Sapri si è arricchita anche di una statua dedicata alla spigolatrice. 

Una statua che fin dalla sua inaugurazione ha scatenato polemiche a mio parere sterili ed inutili. Annotavo, infatti, nel mio diario alla data del 28 settembre 2021: 

 

“Alla televisione parlano della polemica sorta intorno al nuovo monumento alla Spigolatrice di Sapri. 

Accuse di sessismo, di vilipendio al pudore, e tante di queste baggianate. 

La bella spigolatrice è una giovane ragazza del popolo, sana e con tratti fisici femminili ben definiti. 

Non ci vedo nulla di volgare né tantomeno di sessista. Lascio quindi i commenti e le polemiche ai soliti moralisti da strapazzo, ai soliti puritani che misurano ogni cosa con il “metro dell’angelismo”, e guardo a te, dolce spigolatrice, che volgi lo sguardo al mare in attesa di una barca a vapore che alzava la bandiera tricolore”.


 

Ma un’altra statua, precedente a questa, rappresenta per me il luogo che forse più di tutti riassume la musicalità della poesia di Mercantini. La bella figura della spigolatrice, personaggio eternamente immortalato in quella lirica, è ispirata a un quadro del pittore Filippo Palizzi ed è ritratta nel momento in cui, dimenticatasi di spigolare, se ne sta sdraiata sulla nuda roccia, a piedi nudi, con lo sguardo che scruta il mare. 

 


 

Me ne andavo al mattino a spigolare,/ quando ho visto una barca in mezzo al mare:/
era una barca che andava a vapore;/ e alzava una bandiera tricolore;/ 
all'isola di Ponza s'è fermata,/ è stata un poco e poi si è ritornata;/
s'è ritornata ed è venuta a terra;/ sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra”


E in quell’attesa liberatrice e incerta allo stesso tempo, palpita il sospiro di una ragazza che, intravisto tra le fila dei patrioti, il bel capitano dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro, sta già morendo nell’animo per quando i suoi occhi smarriti di fanciulla lo cercheranno invano. 


fin che pugnar vid'io per lor pregai;/ ma un tratto venni men, né più guardai;/
io non vedeva più fra mezzo a loro/ quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro.”

Roberto Maggi


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LA SPIGOLATRICE DI SAPRI


Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!/

Me ne andavo al mattino a spigolare,/ quando ho visto una barca in mezzo al mare:/
era una barca che andava a vapore;/ e alzava una bandiera tricolore;/ 
all'isola di Ponza s'è fermata,/ è stata un poco e poi si è ritornata;/
s'è ritornata ed è venuta a terra;/ sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra./

Sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra,/ ma s'inchinaron per baciar la terra,/
ad uno ad uno li guardai nel viso;/ tutti aveano una lagrima e un sorriso./
Li disser ladri usciti dalle tane,/ ma non portaron via nemmeno un pane;/
e li sentii mandare un solo grido:/ «Siam venuti a morir pel nostro lido»./

Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro/ un giovin camminava innanzi a loro./
Mi feci ardita, e, presol per la mano,/ gli chiesi: «Dove vai, bel capitano?»/
Guardommi e mi rispose: «O mia sorella,/ vado a morir per la mia patria bella»./
Io mi sentii tremare tutto il core,/ né potei dirgli: «V'aiuti 'l Signore!»/

Quel giorno mi scordai di spigolare,/ e dietro a loro mi misi ad andare./
Due volte si scontrar con li gendarmi,/ e l'una e l'altra li spogliar dell'armi;/
ma quando fur della Certosa ai muri,/ s'udirono a suonar trombe e tamburi;/
e tra 'l fumo e gli spari e le scintille/ piombaro loro addosso più di mille./

Eran trecento, e non voller fuggire;/ parean tremila e vollero morire;/
ma vollero morir col ferro in mano,/ e avanti a lor correa sangue il piano:/
fin che pugnar vid'io per lor pregai;/ ma un tratto venni men, né più guardai;/
io non vedeva più fra mezzo a loro/ quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro./

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!/

 

Luigi Mercantini

 


 

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