Lunedì, 18 agosto 2025


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domenica, 17 agosto 2025 Aggiornato alle 07:00Blog - Lo Spaccadischi

Strabilio Gran Galà 2025: così nascono le leggende

di Armando Talas

Talas: «Ho sentito una bambina, finito lo spettacolo, dire alla mamma: “Avevo paura che cadesse”. Ho pensato: “Anch’io bambina, forse anche più di te”»

 

Livemmo, principale abitato del Comune di Pertica Alta, in provincia di Brescia, è un borgo a circa 900 metri di altitudine, che ospita nelle sue antiche dimore circa 170 abitanti. Il territorio è montano, ma non troppo difficoltoso da raggiungere, e permette di ammirare panorami incantevoli, dove l’azzurro del cielo si contrappone a prati verdissimi, pettinati dal vento. 

 

Voglio premettere un aneddoto che getti un raggio di luce sulle caratteristiche socioculturali del luogo. Deciso a godere delle gioie gastronomiche locali, chiamo il ristorante dove ho saputo andranno gli artisti dopo l’esibizione, alle undici di sera. Niente da fare: non fanno cene per carenza di personale (comprensibile, ci sono 170 abitanti). Chiamo una trattoria consigliatami dal precedente interlocutore; nemmeno loro fanno cene. Al terzo tentativo mi risponde una signora molto gentile che finalmente dice di sì, ma un istante dopo si ricorda di un impegno: c’è il circo! Non può assolutamente mancare. Ristorante chiuso. 

 

In questa remota provincia montana, Strabilio Festival è un evento che coinvolge quasi l’intera popolazione. Tutti escono dalle case, affollando la piccola piazza del paese. Tuttavia, la numerosità di pubblico è molto superiore a quella dei residenti: le persone accorrono anche dai paesi vicini. Questa dimensione corale è impensabile nelle città. Il circo assume in questi luoghi una valenza sociale straordinaria. 

 

Forse il fenomeno è stato amplificato dall’eccezionalità della proposta artistica, davvero inconsueta per territori tanto isolati; anzi, per la verità un’idea simile ha qualcosa di grandioso e folle. 

Lo spettacolo ha avuto inizio con Francesca Loda, unica rappresentante del nostro paese, che si è presentata con in mano una gabbietta per usignoli, ma fiammeggiante, come custodisse al suo interno una piccola fenice infuocata, che sta per rinascere. Francesca è un’artista rara, con la vocazione per il fachirismo spettacolare, in particolare per le fiamme. Il fuoco la circonda senza bruciarla, disegnando nel buio scie incandescenti, trasformandola verso la fine del numero in una figura quasi mistica: una gran sacerdotessa del fuoco, sensuale, a tratti ieratica. Il pubblico è andato in visibilio, stregato dal fascino magnetico del fuoco.

 

Subito dopo è arrivata una voce, inizialmente difficile da identificare. Brunitus, grande artista argentino, ha iniziato a parlare con la folla dal fondo della piazza. Salito sul palcoscenico si è messo a conversare in modo esilarante con uno spettatore alla finestra, intento a godersi comodamente lo spettacolo da casa sua. Troppe volte si cita il termine poliedrico in riferimento a un artista. Spesso non è vero: retorica pubblicitaria da quattro soldi. In questo caso, invece, è proprio così. Brunitus è un ottimo artista con il diablo, tecnicamente valido, ma la sua vera grandezza sta nella complessità della sua arte, nelle sfaccettature. Racconta della sua infanzia, dando allo spettacolo una dimensione personale, molto sentita; parla di fisica, delle leggi che governano le rotazioni del diablo, ma anche la nostra vita; inscena perfino un rito collettivo, invitando ogni spettatore a pensare nel silenzio ai propri demoni per poi esorcizzarli usando il suono del diablo. 

 

Ammetto che dopo le prime due esibizioni ho pensato, testualmente: “Ne è valsa la pena, anche se il viaggio è stato lungo e in questo posto nessuno fa da mangiare”. 

La terza parte dello spettacolo mi ha lasciato esterrefatto. 

Cho Kairin non si è presentato subito. Prima è apparso in scena il suo allievo prediletto, il giovane Ma Kenlaku, che ha dato un primo assaggio delle sue capacità nell’equilibrismo. 

 

Il Maestro è entrato in scena subito dopo, con un costume tradizionale cinese di bellezza inusitata, muovendosi con grazia ferina, cambiando a più riprese, con gesti rapidissimi, il colore della sua maschera. Liberatosi dal costume tradizionale, tra gli applausi scroscianti, ha dato prova della sua abilità con la frusta, tagliando più volte, in pezzi sempre più piccoli, un foglio di giornale tenuto tra le mani tese di uno spettatore. Per il gran finale è tornato sul palco il suo allievo Ma, che ha presentato un numero di quelli che si possono vedere da Knie in Svizzera o al festival del circo di Monte-Carlo: un numero di equilibrismo su sedie, che ha superato in altezza i palazzi della piccola piazza. Il pubblico era semplicemente incredulo. 

Ho sentito una bambina, finito lo spettacolo, dire alla mamma: “Avevo paura che cadesse”. Ho pensato: “Anch’io bambina, forse anche più di te”. 

 

Subito dopo mi è sovvenuto un secondo pensiero: questa gente nella sua vita difficilmente vedrà di nuovo un spettacolo del genere, che probabilmente entrerà nella storia popolare di questi luoghi; anzi nella leggenda, diventando parte degli aneddoti che si raccontano d’inverno davanti al focolare, distorti dal tempo e dalla fantasia degli uomini. 



 



 


 

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