Quel cielo di Lombardia...
Sono arrivati i favolosi Sessanta e il boom economico dà alla testa a molti. Un po’ quello che succede al conte Mario Bagno di Valle dell’Olmo che nel 1962 scopre Consonno, una piccola frazione del comune di Olginate, in provincia di Lecco, e pensa sia quello il luogo giusto per dare vita a un’idea che da tempo gli frulla in testa: creare “il paese con il cielo più azzurro che ci sia”. Sogna di cambiare il volto di quella zona costruendo un grande parco dello svago: la “Las Vegas lombarda” che assomiglierà a un incrocio tra Disneyland e una “Cortina brianzola”, inserita nella splendida cornice delle Prealpi lecchesi. Qui, secondo le sue intenzioni, converranno uomini di spettacolo, facoltosi industriali della zona, ma anche famiglie, per trascorrere una domenica diversa dalle altre o beneficiare della salubrità di un luogo ameno, panoramico e sicuramente indimenticabile.
L’idea di un centro spensierato e azzurro simile a “quel cielo di Lombardia così bello quand’è bello”, come direbbe il Manzoni, spinge Mario Bagno ad acquistare la società immobiliare Consonno Brianza che detiene la proprietà di tutte le abitazioni della frazione. Per permettere il transito dei mezzi pesanti che provvederanno ai lavori, fa costruire una nuova strada che collega la frazione di Consonno con il comune di Olginate, e fa sloggiare i quasi trecento abitanti, dando loro alloggi ai margini dei cantieri. La grande opera creativa ne prevede inizialmente una distruttiva. La “vecchia Consonno” viene, infatti, rasa al suolo (si salvano solo l’antica chiesa di San Maurizio e il cimitero) e si cambia l’assetto naturale del luogo. Vengono sradicate piante, aperte strade e addirittura viene fatta saltare con la dinamite una collina per permettere ai futuri visitatori di godere del panorama del Resegone, il monte di Lecco. Non vi sono limiti al paese che si sta formando.
La nuova Consonno, nata dalla dinamite, sarà esplosiva in tutti i sensi. Sarà sportiva, giovane, bizzarra, musicale, danzante, colorata. E godrà dell’azzurra visione del lago e della tranquillità delle colline brianzole. La seconda vita di Consonno, infatti, inizia sul finire dei favolosi anni 60. E il successo le arride. Miriadi di visitatori vi convengono per ammirare le costruzioni che - a metà tra Cinecittà e un immenso teatro scenografico della fantasia - colpisocno per la creatività e per gli stili cui i creatori hanno dato vita: si vedono sfingi, pagode cinesi, un grande centro commerciale con tanto di minareto, zoo, ristoranti, casinò, laghetti, campi da gioco e impianti sportivi. All’ingresso un castello medievale con tanto di armigeri (alcuni simili alle guardie svizzere vaticane) accoglie il visitore e lo introduce in un’atmosfera di fiaba su cui dominano i negozi arabeggianti e la grande discoteca (o balera, come si diceva allora) che ricalca nello stile l’Alhambra di Granada.
La Las Vegas lombarda chiama anche nomi influenti del mondo dello spettacolo. A Consonno hanno presenziato per serate musicali i divi del momento: da Celentano a Rita Pavone; da Milva ai Dik Dik e altri famosi cantanti. Pippo Baudo vi è venuto in veste di presentatore.
Il cielo azzurro di Consonno presto comincia però a rannuvolarsi. Giungono gli anni 70. Il piombo, le bombe, la crisi petrolifera seguita da quella economica, cominciano a pesare. Inoltre, il nuovo interesse per le problematiche ambientali, spinge alcuni gruppi e associazioni a segnalare al comune di Lecco i pericoli derivanti dal dissesto idrogeogologico creatosi nella zona, che porta anche a una prima denuncia da parte di Italia Nostra. Il turismo cala e Consonno registra i primi fallimenti. Alcuni negozi e ristoranti cominciano a chiudere. Nel 1976, quasi a confermare quanto più volte segnalato, una frana spazza via trecento metri della strada che porta al parco. Consonno inizia lentamente a morire. Il cielo azzurro del fantasioso luna park diventa il grigio cielo di una città fantasma. Consonno langue nell’abbandono per anni finché a darle il colpo di grazia un partecipatissimo rave party che nel 2007 vede presenti a Consonno più di mille persone che la devastano, la riempiono di disegni street-art e se ne vanno lasciandola nello stato in cui è ancora possibile vederla oggi. L’oblio piomba su Consonno con una velocità quasi fulminea così come velocemente erano state prese tutte le decisioni all’atto della sua costruzione. Il conte Bagno era infatti stato soprannominato “conte Amen” per la rapidità con la quale decideva e agiva, spinto solo dall’ambizione di creare quel suo sogno.
Consonno, però, non è stata completamente abbandonata. In questi ultimi anni è nata un’associazione di “Amici di Consonno” i cui componenti si rendono disponibili a farla conoscere, accompagnando appassionati di luoghi deserti e inquietanti, di città fantasma o di scenari di abbandono. Questi possono, nei fine settimana, beneficiare di visite guidate. Passeggiare nei luoghi che un tempo furono palpitanti di vita, fa sempre una strana sensazione: quella di trovarsi all’interno di un film post-apocalittico o all’indomani di un’esplosione atomica. Tutto parla di morte e di triste epilogo. Lo svanire di un sogno. Un sogno che era stato realizzato ed aveva generato vita, affari, guadagni. Un sogno che però durò molto poco. Come rapidamente era stato creato, così rapidamente si dissolse.
Di quel paese con il cielo più azzurro oggi rimangono i tristi resti sferzati dal vento e spaventosamente spettrali. Poco distante, il silenzioso cimitero e la bella chiesetta di san Maurizio stanno a ricordare il passato di Consonno. Quello fatto di stalle e cascine che dovette piegarsi all’avanzare del progresso. Un progresso fittizio come dimostra la triste conclusione di quel sogno azzurro.












