Una volta nella vita all'altare di San Valentino a Terni
Se andate a Terni potreste appurare di persona che circa mille ternani su una popolazione di circa centoundicimila abitanti portano il nome di Valentino o Valentina
La prima impressione può destare meraviglia, ma non si tratta di una stranezza e tantomeno di mancanza di fantasia; è invece espressione della fervente devozione che i ternani rivolgono al loro patrono: quel Valentino vescovo e martire, ternano di nascita e di ministero, la cui festa è occasione in più per rivivere sentimenti e gioie o purtroppo momento di divisione tra chi con semplicità festeggia un altro giorno d’amore e chi con spocchiosa supponenza si lancia in inutili moralismi di sorta.
Polemiche a parte, varrebbe la pena visitare almeno una volta nella vita (innamorati o no), la basilica di San Valentino a Terni; almeno per vivere anche da semplici spettatori un rito magico che per molti aspetti lontanamente ricorda quanto avviene nelle visite alla casa di Giulietta, nella bella Verona.
La basilica di San Valentino, splendido esempio di un’arte manierista ormai avviata al barocco, è abbellita da cappelle e dipinti a cui lavorarono importanti artisti come Lucas De La Haye e il Cavalier d’Arpino. Di particolare pregio la pala dell’altar maggiore nella quale è raffigurato San Valentino mentre invoca la protezione della Madonna su Terni.
La chiesa è stata costruita sul luogo un tempo occupato da un’area cimiteriale “in suburbano empto terrae spatio ab eadem civiltate sepolturae”, dove anche il santo martire era stato sepolto.
Valentino, ternano di nascita e primo vescovo della città sul finire del II secolo, fu martirizzato mediante decapitazione lungo la via Flaminia, il 14 febbraio del 273 mentre imperversava la persecuzione contro i cristiani voluta dall’imperatore Aureliano. Furono poi i discepoli di Valentino, Procolo, Efebo e Apollonio a traslarne il corpo a Terni e a seppellirlo nel luogo indicato.
Ma più che per la bellezza e l’arte della basilica, i numerosi turisti che affollano Terni, la “Manchester italiana”, per via delle sue note acciaierie, lo fanno per la fama che il santo vescovo ha ormai ereditato, di patrono indiscutibile dell’amore.
E questo non deriva solo dal fatto che la commemorazione di San Valentino si pone in un particolare momento dell’anno, quando cioè la natura comincia a dare i primi segni del risveglio dal letargo invernale e si annuncia la primavera imminente, ma soprattutto perché i riferimenti all’amore, nella storia e nella leggenda di Valentino, sono molti.
Per citarne alcuni: si dice che egli coltivasse un giardino per adibirlo a spazio ludico dei fanciulli e che usasse donare una rosa di questo suo podere proprio a tutti gli innamorati. Si narra anche che un giorno, sentendo due fidanzati discutere animatamente, si avvicinò offrendo loro il fiore: essi si riappacificarono e da allora quella particolare rosa si chiamò “rosa della conciliazione”.
Dopo il suo arresto, mentre si trovava in carcere in attesa del martirio, Valentino inviò con l’aiuto di un piccione viaggiatore, un cartoncino a forma di cuore con le chiavi d’ingresso della sua dimora ad alcuni ragazzi che non potevano più giocare nel suo giardino.
L’episodio forse più noto, però, è quello della contrastata storia d’amore tra Serapia, fanciulla cristiana, e il centurione pagano Sabino. Le rispettive famiglie si opponevano a questa unione e quando la giovane si ammalò di tisi, il vescovo Valentino giunse al capezzale di lei in tempo per raccogliere la sua confessione e per assisterla nel momento della morte. Sabino, disperato, scongiurò il santo vescovo che lo aiutasse a essere per sempre unito all’amata anche mediante il salto nell’aldilà. Voleva, infatti, restare per sempre con lei. Con l’intercessione del santo, i due innamorati, abbracciati, caddero in un sonno beatificante che li congiunse per l’eternità.
Tornando a quanto dicevamo più sopra, varrebbe quindi la pena, almeno una volta nella vita, visitare la basilica di San Valentino a Terni. Trovarla è facile; le indicazioni turistiche conducono alla periferia della città, dove, la chiesa domina al centro di uno spazioso ed elegante piazzale in leggera salita. Sul muro della costruzione che affianca la chiesa (un convento), una targa ricorda che in quel luogo, nel 1849, il generale Garibaldi ristorava “gli avanzi gloriosi” degli sconfitti difensori della Repubblica Romana, diretti verso Venezia.
Una volta entrati in basilica, ci si dirige verso l’altare detto della “confessione” perché costruito sulla tomba del martire. È il cosiddetto “pozzo di San Valentino”, cioè il luogo ove è usanza lasciare lettere d’amore, messaggi e bigliettini per richiedere grazie al santo. Il suo corpo, protetto da un’urna d’argento, riposa proprio sotto l’altare ed è visibile attraverso un vetro.
Qui si recano le coppie che hanno già fissato la data delle nozze entro l’anno, per la cosiddetta “festa della promessa”. In febbraio, sempre a ridosso del 14, si può unire la dolcezza dell’amore a quella del cioccolato grazie alla rassegna “Cioccolentino”.
Il rito più coinvolgente, però (quello che ognuno può provare), è portarsi al cospetto del santo in compagnia della persona amata per rinnovare la propria promessa d’amore.
Forse quella è l’occasione buona per ricordarsi che per amore s’intende qualcosa di più della semplice fedeltà fisica. Giurarsi amore vuol dire promettere d’esserci quando è giusto esserci. Sforzarsi ogni giorno di migliorare, di arricchire la vita dell’altro con la propria presenza.
E tutto questo val molto più della semplice fedeltà fisica. Anzi: la trascende.












