Vittorio Gassman, il divo serio della «commedia all’italiana»

Son trascorsi 25 anni dalla morte del grande Mattatore (dall’omonimo film di Dino Risi del 1960), così definito per la sua straordinaria capacità di far convergere su di sé l’attenzione del pubblico, a teatro come al cinema. Dotato di grandissima volontà nell’imparare a memoria pagine e pagine di sceneggiature e di testi letterari di cui era avidamente colto, esercitava per ore e ore la voce, come lo strumento musicale che gli permetteva di accedere al palco per comunicare al pubblico con una mimica e una gestualità studiate fino al minimo dettaglio. Il teatro però non lo sentiva una propria scelta di vita, fu più imposto dalla madre. La grandezza di Gassman, ad ogni modo, stava nel fatto che sapeva conquistare il pubblico non solo attraverso la recitazione, ma anche grazie alla sua incredibile presenza scenica. Due metri di uomo. Naso aquilino, presenza seria. Che fosse al cinema o a teatro, l'attore sapeva stabilire una connessione immediata con chi lo guardava, come se il personaggio che stava interpretando fosse reale e in grado di parlare direttamente alla realtà di chi lo stava osservando. È piacevole ricordare il periodo in cui la commedia all’italiana ha visto brillare i suoi grandi protagonisti, i maschi-divi. Essi hanno rappresentato trame, eventi, vicende e figure sociali che riguardano il tema dell’ingresso dell’individuo nella società, la sua installazione nel mondo della norma, la sua sopravvivenza problematica in un mondo che prevede un’alternanza indissolubile tra lecito e illecito, tra norma e infrazione…nella commedia all’italiana spesso gli elementi comici convivono con quelli drammatici, ma anche grotteschi. Siamo nel periodo successivo al boom economico e, all’inizio degli anni Sessanta, le commedie rileggono il recente passato del Paese con una particolare attenzione rivolta anche al periodo del fascismo e della Resistenza. Col passare degli anni, poi, il genere tende a raccontare la dimensione privata di personaggi inseriti in un contesto sociale di difficile lettura. Basti pensare a Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi, da cui prende il nome, appunto il genere “commedia all’italiana”. [img id="34583"] Quando il punto d’irradiazione divistica diventa la televisione, dopo l’esaltazione del corpo femminile delle dive maggiorate degli anni sessanta, si assiste ad un passaggio di poteri al sesso maschile. Il fenomeno divistico, infatti, da questo momento comincia a spostarsi verso altri soggetti. La TV promuove a dive le presentatrici dei programmi o i conduttori o i partecipanti ai concorsi a quiz. Anche i cantanti, Luciano Tajoli e Claudio Villa, danno vita, a partire da Domenico Modugno, a film costruiti sulle loro canzoni e il loro diventa un successo che percorre l’universo dei media. In questa trasformazione mediatica, un piccolo gruppo di attori riesce a monopolizzare la scena per almeno un quindicennio rivestendo tutti i ruoli possibili e riuscendo ad acquisire l’aura divistica grazie alle proprie doti attoriali nella commedia tipica italiana. Marcello Mastroianni è la nuova icona dell’italian lover, salutato come la reincarnazione di Rodolfo Valentino. Insieme, i quattro mostri della commedia: Vittorio Gassmann, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi. Un esercito vero e proprio di figure che, accanto agli ideali di bellezza e virilità, hanno incarnato quelli dell’ambiguità sessuale, della crisi d’identità, e hanno indossato con nonchalance gli abiti dei proletari o piccolo-borghesi, la tonaca da prete e i costumi settecenteschi, hanno dato vita a figure di violinisti zoppi e di registi in crisi, di muratori in preda a crisi di gelosia folli… Vittorio Gassmann, dei quattro moschettieri avrebbe il ruolo di D’Artagnan per l’impeto guascone con cui irrompe sulla scena della commedia dopo una carriera da attore. Come interprete teatrale, ha saputo esplorare ruoli classici e contemporanei con una versatilità che pochi attori sono riusciti a eguagliare. La sua carriera teatrale è stata costruita fin dagli esordi, con un legame profondo con il teatro classico (Shakespeare, Pirandello, Molière). Di colpo decide di indossare gli abiti della commedia, contribuendo in modo sostanziale al suo decollo, interpretando in successione il ruolo di Peppe, il pugile suonato di Soliti ignoti, e di Busacca in La grande guerra. [img id="34585"] I Soliti ignoti, il primo capolavoro di Mario Monicelli (1958) è considerato la prima commedia all’italiana e qui Vittorio Gassman ricopre il primo ruolo comico. E’ il pugile Peppe che guida la banda che elabora un piano “sc-sc-scientifico” (Peppe è balbuziente) insieme a Tiberio (Marcello Mastroianni), un giovane padre alle prese con un neonato perché la moglie è in prigione, al sempre affamato Capannelle e al giovane Mario. Essi mettono a punto un piano perfetto per scassinare la cassaforte del Banco dei Pegni. La situazione si complica, perché l’esplosione di un tubo di gas della stanza attigua al luogo della cassaforte li fa battere in ritirata. Il giorno dopo, un trafiletto di cronaca su un quotidiano riferisce delle gesta dei “soliti ignoti,” il cui misero bottino rimane un piatto di pasta e ceci. La grande guerra dello stesso regista (1959) racconta la Prima Guerra Mondiale attraverso le disavventure di due soldati italiani. Seppur uscito alla fine degli anni '50, è un film che affronta le contraddizioni e le tragedie della Prima Guerra Mondiale, ma che, nel suo contesto, offre una lettura critica anche della società italiana degli anni '60, ormai in piena trasformazione. Gassman interpreta Raffaele, un soldato che, pur essendo un uomo furbo, ma anche ingenuo, si trova ad affrontare le difficoltà della guerra e a confrontarsi con la sua paura e la sua impotenza. La sua recitazione è un perfetto esempio di come riusciva a portare sulla scena un'umanità che non perdeva mai il suo senso dell'ironia, anche nei momenti più tragici. Tra le battute da ricordare: "Cosa vuoi che faccia? Io sono un povero uomo, come tutti gli altri."Questa frase riflette la triste verità che il personaggio si rende conto di essere piccolo e insignificante di fronte all'ineluttabilità della guerra e della vita. Gassman, con la sua interpretazione, mette in luce la fragilità umana in un contesto di guerra, ma anche la vanità del patriottismo e il paradosso della lotta per una causa che non ha portato a nessuna vera vittoria. [img id="34581"] Il sorpasso del 1962 di Dino Risi è diventato un manifesto della commedia all’italiana, con Gassman nel ruolo del superficiale Bruno che intraprende un viaggio con un giovane introverso, il timido Roberto. L’attore diventa il simbolo di un’Italia smargiassa, votata all’autodistruzione. Tra le battute memorabili: "La vita è un sorpasso continuo, e chi non riesce a farlo è destinato a rimanere indietro." Così Bruno è un uomo che cerca sempre di superare gli altri, ma che alla fine si trova intrappolato in un'esistenza vuota e priva di significato. Il film si conclude con un tragico incidente. L’auto, una lancia Aurelia, esce di strada e precipita in mare. Bruno riesce a salvarsi, aggrappandosi a un pezzo della macchina che si stacca, ma Roberto, purtroppo, muore. La sua morte segna la fine del viaggio e delle illusioni create dalla figura carismatica di Bruno, lasciando un senso di amarezza e di perdita. Ne Il giovedì di Dino Risi (1964), un altro capolavoro della commedia all'italiana, Gassman recita insieme a una splendida Sandra Milo. È un film che mette in scena le ipocrisie e le contraddizioni della società italiana dell'epoca. "La vita è un insieme di convenzioni, ma basta non prendersi troppo sul serio" è un perfetto esempio dello stile comico di Gassman, perché stabilisce un equilibrio tra dramma e ironia, racchiudendo anche una critica alla società. [img id="34582"] In Amici miei del 1975 di Mario Monicelli l’attore interpreta il ruolo di un uomo che, insieme ai suoi amici, si rifugia nella follia delle marachelle giovanili per non affrontare la dura realtà della vita adulta. "La vita è un gioco, bisogna solo saperla prendere con ironia" è la battuta che sintetizza il significato di questo film grottesco, che fa pensare in modo serio. Al termine della giornata della zingarata, il Perozzi, uno degli amici, torna a casa, felice di aver passato una bella giornata, ma deluso dal dover ricominciare la sua noiosa vita di sempre al giornale. Giornata che non ci sarà, perché sarà colto da un infarto. Ormai moribondo, al suo capezzale arrivano i suoi amici, che lo assistono impotenti. Neppure il corteo del funerale fermerà i quattro amici dalla loro indissolubile allegria: faranno credere che il Perozzi è stato ucciso perché considerato traditore. Lo scherzo, perpetrato ad un credulone, scatena una risata che si maschera di pianto durante la celebrazione funebre e omaggia il feretro dell’amico con l’ultima, grande risata. Negli anni Sessanta, il cinema italiano, influenzato dalle profonde trasformazioni politiche, sociali e culturali dell'epoca, si caratterizzò per un atteggiamento di critica verso la società. Vittorio Gassman, con la sua straordinaria versatilità, in tutti questi film, ha saputo interpretare con maestria i temi della crisi sociale e esistenziale. Dalla critica alla corsa al consumismo, alla denuncia delle ipocrisie della classe media, alla riflessione sul ruolo dell'individuo in un mondo in cambiamento, Gassman ha mostrato, attraverso il suo talento, quanto il cinema potesse essere una potente arma di riflessione e di critica sociale. Il suo stile recitativo divenne il mezzo ideale per esplorare e smascherare le contraddizioni della società del dopoguerra. I suoi personaggi, complessi e sfaccettati, sono diventati simboli di una società in evoluzione, sospesa tra il passato e il futuro, tra la speranza e la delusione del vuoto esistenziale, ammantato dall’idea di un progresso e di un benessere a tutti i costi ostentato.

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