I cento «in prigionia» del Remigio
di Ubaldo Vallini

Tanti auguri a Remigio Garzoni, di Lavenone, che proprio oggi, giovedì 25 giugno, ha raggiunto il secolo di vita, con una salute invidiabile


«Non me lo sarei mai aspettato: non sono riusciti a farmi prigioniero in guerra e mi tocca esserlo oggi». Vuole essere una battuta di spirito quella di Remigio Garzoni, da un paio d’anni ospite della Soggiorno Sereno di Odolo dove, diciamolo subito, si trova benissimo.
Però nella sua battuta c’è del vero.

I cent’anni dalla sua nascita, infatti,
li ha dovuti festeggiare “blindato” nella struttura della rsa, coi familiari più stretti dall’altra parte di un vetro.
E’ forse un po’ triste, ma è quanto viene richiesto dalle normative studiate per contrastare la diffusione del virus, come tutti sappiamo.

Per l’occasione Remigio ha ricevuto anche una lettera di auguri da parte del sindaco di Lavenone, Franco Delfaccio, che in attesa di poterlo fare di persona e senza nulla di mezzo, l’ha ringraziato «per averci tramandato quei valori di riferimento che sono parte del nostro patrimonio e la nostra ricchezza, quei valori che ci parlano di dovere, spirito di sacrificio, della famiglia, di altruismo e di solidarietà».

Prigioniero, dicevamo.
Di occasioni per finire dietro le sbarre, o anche peggio, in effetti ce ne sono state tante, soprattutto in guerra.
Vicissitudini che Remigio è capace di rivivere tutt’ora, con dovizia di particolari.

Soprattutto in Albania
, dove l'hanno mandato dopo che è stato sul fronte francese e dove si trovava quel fatidico 8 di settembre, senza riuscire a rientrare in patria, ritrovandosi così in balia degli eventi.
Nel Paese delle aquile, infatti, i “nostri” hanno dovuto consegnare le armi ai partigiani e sono diventati in pratica degli schiavi.

«Tutti erano nostri nemici: i fascisti italiani, i partigiani locali, gli albanesi filotedeschi, i tedeschi».
Remigio se l’è cavata elemosinando vitto e alloggio in cambio di lavori umili in campagna, da clandestino, perché tutti cercavano gli ex soldati italiani per mandarli a lavorare ai forni.

«Ne sono morti più lì che durante la guerra – ricorda -. Una volta io e il Pozzi (un compagno di Treviso Bresciano col quale ha sempre fatto coppia e che ora non c’è più ndr.) ci siamo nascosti per quattro giorni in un buco senza mangiare per evitare di essere presi.
Lui si è anche ammalato, tutto gonfio soffriva come un cane, tanto che se avessi avuto un fucile l’avrei ammazzato lì.
Poi lui è guarito e mi sono ammalato io».

Dopo più di un anno trascorso a vivere di stenti, Remigio è riuscito a guadagnare un passaggio su una navicella inglese che riforniva i partigiani sugli scogli.
A Bari e poi a Trani, in ospedale, pesava 38 chili.
Col treno raggiunse Cassino e poi se la fece tutta a piedi fino a casa, dove arrivò il 21 luglio del 1945, giusto in tempo per festeggiare il suo 25esimo compleanno.

La sua Daria l'ha reso vedovo nel 1996, dopo avergli regalato tre figli: Franco, Adriana ed Ettore. E loro una squadra di nipotiti che l'adorano.

Una tempra eccezionale quella di Remigio: tre anni fa, quando finalmente gli è stata consegnata la meritatissima “Croce di Guerra”, siamo stati a trovarlo a Lavenone e l’abbiamo sorpreso a Lavenone mentre falciava il prato con la “ranza”.

Qualche acciacco l’ha rallentato nei tempi più recenti, senza impedirgli, da ospite della rsa e prima del Covid, di trascorrere ogni tanto in compagnia del figlio qualche giorno nella sua campagna, ad occuparsi di piante e di animali, come ha fatto per tutta la vita nel rolo di allevatore e contadino.

Dai Remigio, che l’anno prossimo veniamo a trovarti e ci racconti ancora qualcosa.

.in foto: il compleanno di Remigio festeggiato oggi: Remigio tre anni fa mentre falcia l'erba.

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