L’innalzamento a tremila euro deciso dal Governo Meloni per i benefit che le aziende possono dare esentasse ai propri dipendenti rientra a pieno titolo nel processo – in atto da diversi anni – di espansione delle proposte di welfare aziendale nel settore privato.Un’espansione certamente favorita dai vantaggi fiscali per tutte le figure coinvolte previsti dalle ultime leggi di stabilità. Il Welfare aziendale comprende, da una parte, l’adozione di forme flessibili di lavoro con la rimodulazione degli orari (conciliazione lavoro-famiglia) e degli spazi (smart working) e dall’altra parte l’offerta al lavoratore e alla sua famiglia, tramite piattaforme digitali proprie o predisposte da provider terzi, di un insieme differenziato di servizi e/o di benefit di natura monetaria volti a migliorare il livello di assistenza e di benessere. La linea di crescita del welfare aziendale non sembra essersi interrotta con la pandemia, ma piuttosto è andata adattandosi al nuovo quadro.Il welfare aziendale si è rivelato uno strumento utile a fornire un parziale sostegno al potere di spesa dei lavoratori, soprattutto nei momenti di difficoltà economica. In questa direzione è andato l’innalzamento, operato dagli ultimi governi, del limite di acquisto per i fringe benefit (retribuzione non in denaro) che oggi (anche per attenuare gli effetti dal “caro bollette”) come detto è stato portato dal governo Meloni a 3 mila euro ed è utilizzabile anche per la copertura delle spese delle utenze domestiche (acqua, riscaldamento e corrente elettrica).In prospettiva, un importante cambiamento riguarda l’inserimento di espliciti obblighi a sostegno del welfare aziendale nei contratti nazionali di categoria che collocano tale misura tra i nuovi temi oggetto di contrattazione all’interno delle relazioni industriali.Altrettanto importante è la crescente disponibilità dei lavoratori a convertire i premi monetari, ad esempio di risultato e di produttività, in servizi e beni del welfare ricadenti in particolare nelle aree dell’assistenza, della sanità e della formazione. Di pari passo si è allargato il ventaglio di opzioni a disposizione del lavoratore che può selezionare per sé i benefit maggiormente rispondenti ai propri bisogni e quindi avvalersi di benefici che possono avere delle positive ricadute, ad esempio, sull’accesso a prestazioni sanitarie e circuiti commerciali locali oppure ad attività per i figli come asilo nido, centri estivi e doposcuola. Il recente convegno della Rete Welfare Responsabile “Il Welfare aziendale: una risorsa per il territorio”, tenutosi all’Università Cattolica di Milano, ha evidenziato il potenziale strategico del welfare aziendale che potrà essere pienamente valorizzato conseguendo gli obiettivi di estendere la platea dei beneficiari, di aumentare la consapevolezza negli stessi lavoratori del potenziale di questo strumento, e di coinvolgere anche le piccole imprese che da sole non potrebbero promuovere tali iniziative. Le testimonianze portate al convegno da grandi realtà economiche impegnate in settori molto diversi (Gruppo Mondadori, Gruppo Iren, Arvedi Group, Acciai Speciali Terni) e il racconto dell’esperienza di reti di welfare aziendale territoriale attive in diversi contesti locali (Progetto Beatrice - Val Seriana, Welfare ComeTE – Bologna e Innnova srl/Welfare Net - Veneto), confermano come il welfare aziendale costituisca un ambito di sperimentazione di percorsi per l’innovazione sociale che hanno ricadute non solo sulle imprese, sulle organizzazioni lavorative e sui lavoratori ma anche sul contesto locale nel quale questi soggetti vivono e operano. Il passo successivo sarà quello di lavorare affinché il welfare aziendale si possa positivamente intersecare con altri ambiti di welfare pubblico-privato presenti nei diversi territori, creando virtuose sinergie col welfare municipale, comunitario e familiare.