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domenica, 13 luglio 2025 Aggiornato alle 08:00blog - glocal

Giovani e lavoro nella società dell’incertezza

di Valerio Corradi

Come sta cambiando il valore del lavoro nei giovani? Quali sfide genera questo cambiamento nelle scuole e nelle aziende? Ne abbiamo parlato con Dario Nicoli, esperto di processi formativi

Dalle scuole, dalle imprese e dal Terzo settore arrivano segnali di un cambiamento nel modo di concepire il lavoro e di vivere l’esperienza lavorativa da parte dei giovani. Questa transizione pone delle sfide inedite ai diversi contesti, ma apre anche a nuove opportunità. 

Ne abbiamo parlato con Dario Nicoli, già docente di Sociologia economica, dell’organizzazione e del lavoro presso l'Università Cattolica di Brescia, che proprio su questo tema, nei mesi scorsi, ha partecipato a un evento in Valle Sabbia. Il professor Nicoli è un esperto di sistemi formativi, svolge attività di ricerca, consulenza e formazione per enti, scuole e aziende in tutta Italia. È membro della rete Welfare responsabile, autore di numerose pubblicazioni tra le quali un manuale sull’educazione al lavoro e di un importante volume pubblicato da Erickson sulla Scuola viva. Inoltre, è uno degli animatori di Pensare Bene, una “comunità culturale in rete”.

 

Professor Nicoli, anche da recenti progetti e analisi che hanno riguardato la Valle Sabbia è emerso che c’è una parte del mondo giovanile che sembra voler rifiutare le logiche del lavoro tradizionale. È un segno di rifiuto immaturo o un tentativo legittimo di cercare nuovi modelli di realizzazione personale e professionale?

 

Il fenomeno più rilevante che sta accadendo è l’aumento del potere dei candidati di fronte alle aziende provocato soprattutto dal declino demografico. Ciò porta alla luce le preferenze individuali riguardanti – oltre allo stipendio - la ridotta distanza da casa, un orario di lavoro che preservi gli spazi di vita personale, il clima sereno e collaborativo, la possibilità di imparare e di vedere riconosciute le proprie capacità. Si nota inoltre un forte turnover specie all’inizio della carriera, di fronte alla inevitabile crisi di primo inserimento. Emerge qui un aspetto dell’individualismo odierno: la fragilità nel saper fronteggiare le situazioni problematiche e la sofferenza. Ma una componente dei giovani presenta un più chiaro desiderio di realizzazione ed una maggiore volontà di mettersi in gioco nel lavoro. 

 

Nel suo lavoro di ricerca e di formazione lei parla spesso della “crisi di senso” che vivono molti giovani: come questa crisi incide sulla loro motivazione a entrare nel mondo del lavoro?

 

Penso che i giovani soffrano in modo più accentuato di un “male di vivere” tipico del nostro tempo, di cui tutti in modo differente fanno esperienza. È uno spaesamento esistenziale che va oltre gli aspetti materiali, ma che rivela la sofferenza dell’anima intorno a questioni di fondo: l’identità, le relazioni, il futuro. È il lato oscuro dell’individualismo contemporaneo, segnato dall’illusione di poter dominare la realtà, ma che fa continua, e dolorosa, esperienza dell’incapacità dell’io nel perseguire da solo la propria felicità. Si tratta di una solitudine cosmica, mancante di una compagnia con Dio e di un’esperienza di fraternità con gli altri ed il creato. 

 

Quanto pesa, secondo lei, l’orientamento scolastico nella scelta del percorso lavorativo? Le scuole italiane preparano davvero i giovani alle sfide del mondo del lavoro?

 

L’orientamento scolastico, nella versione oggi più diffusa, cerca di aiutare i ragazzi a scegliere in modo consapevole, e fondato, la loro strada. Ma lo fa con un eccesso di cognitivismo, adottando inoltre una procedura tecnica per fasi (cosa desideri, quale lavoro ti esprime, in quale percorso di studi) e soffocando i ragazzi sotto una montagna di informazioni che creano solo rumore. Le scuole, anche quelle tecniche e professionali, tendono inoltre ad evitare il tema del valore lavoro come componente fondamentale dell’esistenza, concentrandosi esclusivamente sugli aspetti tecnici. Oggi la sfida sta nel proteggere i ragazzi dallo stress della decisione e nell’offrire loro occasioni di risonanza, tramite incontri, esperienze concrete, momenti di confronto tra pari e colloqui personali. 

 

Che ruolo dovrebbero avere le aziende e le istituzioni per rendere il lavoro più attrattivo e significativo per le nuove generazioni?

 

Le aziende più sensibili stanno già modificando il modo di gestione del rapporto di lavoro, puntando sul valore sociale del proprio scopo, sul clima collaborativo di neo-comunità e sulla valorizzazione dei talenti e delle competenze. Esse riducono in modo deciso la burocrazia e si affidano maggiormente all’intelligenza naturale del gruppo, combattendo nel contempo l’ego individuale. 

Ma vi sono aziende ed istituzioni che faticano a comprendere il nuovo contesto del lavoro, soffrono della mancanza di figure educative per l’affiancamento e di volontà di delega ai gruppi di lavoro.

 

Infine, una battuta su un fatto di cronaca che sta facendo discutere: secondo lei perché alcuni giovani oggi mostrano difficoltà o rifiutano di affrontare un colloquio di maturità? Si tratta solo di insicurezza personale o ci sono anche cause sociali più profonde?

 

Si tratta di casi molto isolati per poterli considerare fenomeni significativi. Credo che vi sia il giusto desiderio di poter esprimere pienamente se stessi in un esame che non sia solo formale. Ma l’esame ha un valore giuridico, quindi queste formalità sono indispensabili per l’ottenimento del diploma. 


 

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