Le pietre di Gerusalemme
Un panorama di pietre
Se ripenso al mio viaggio in Terra Santa del mese scorso con il Rotary Club Vallesabbia, mi accorgo che è stato caratterizzato dalla presenza costante della pietra. È la pietra che caratterizza luoghi, gesti e simboli dell’itinerario a Gerusalemme e dintorni.
Pietra è ciò che resta del Muro del Pianto, è ciò che è conservato nella moschea dorata della Cupola della Roccia, è quella della lastra dove fu posto Gesù, nella Basilica del Santo Sepolcro.
La stessa pietra biancastra e calcarea delle mura della città e delle sue abitazioni.
La pietra è simbolo dai molti significati: rigidità e chiusura, ma anche solidità e stabilità. Questa duplice valenza è racchiusa anche nelle spiegazioni date all’usanza degli Ebrei di porre dei sassi sulle tombe dei defunti, come si vede nel cimitero di roccia color panna sul Monte degli Ulivi.
La pietra può rappresentare l’indurimento irreversibile del lutto, ma anche eterna fedeltà, un legame che non si corrode col tempo. L’immagine è suggestiva e guida a pensare a tutte le pietre della città, qui da centinaia di anni, raggiunte dagli sguardi di milioni di persone che compiono questo viaggio.
Pietra e ritualità
Dinnanzi a queste pietre, chi giunge a Gerusalemme – per devozione, curiosità storica o interesse geopolitico – compie gesti esemplari e pieni di significato. Si accosta la mano: lo si fa al Muro del Pianto o a Betlemme, alla Basilica della Natività, quando, dopo provanti code, si giunge al simulacro.
Con la mano si cerca di stabilire una connessione, quasi un dialogo, con la pietra, con quello che ricorda, con le persone che l’hanno sfiorata prima di noi. Si prova ad attingere ispirazione spirituale e si riflette: tanto chi crede quanto chi è in ricerca si ripropone le fondamentali domande senza risposta sull’esistenza.
Spunti e incertezze
Il rischio, però, è correre per spuntare la lista delle cose da fare, senza portare a casa nulla, se non qualche sacro souvenir. Volendo invece provare a raccogliere qualcosa dall’esperienza in Terra Santa, si può riflettere su quanto visto e toccato distinguendo il piano sociale da quello introspettivo.
Da un punto di vista politico, si può dire che la situazione è, al contempo, più e meno rosea di quanto si immagini.
Da un lato la città è sicura, al riparo da conflitti diretti stante la sua sacralità; dall’altro la convivenza tra più gruppi etnico-religiosi è resa sempre più complessa dalle radicalizzazioni in rapida diffusione.
Si teme che la soluzione della questione palestinese resti ideale irraggiungibile, nonostante gli sforzi della diplomazia, come con disillusione ci ha testimoniato il nostro Console Giovanni Fedele.
Sul piano spirituale, il lascito di questo viaggio è però, se non ottimistico, almeno propositivo. Si ritorna all’immagine della pietra: segno apparentemente statico, testimone del passato. Fuori dai muri dei santuari, però, il significato di queste pietre è ancora dinamico, nel dramma e nella speranza di chi vive a Gerusalemme.
Terra e pietre paradigma dell’umanità
Abbiamo toccato la pietra del Calvario, ma abbiamo anche visto il lacerante muro di separazione tra Israele e Palestina. Abbiamo sentito battere il cuore al cospetto del Muro del Pianto, ma abbiamo anche riflettuto sulla persecuzione contro gli Ebrei al memoriale dello Yad Vashem.
Abbiamo toccato la pietra della Resurrezione, ma abbiamo anche visto le proficue esperienze di ecumenismo tra le confessioni cristiane, testimoniateci dal Patriarca mons. Pierbattista Pizzaballa.
Ci siamo prostrati davanti alla roccia della Natività, ma abbiamo anche visto nascere speranza nell’umile lavoro dei Francescani, guidati dal Custode di Terra Santa padre Francesco Patton, conterraneo trentino.
Le loro secolari attività – di gestione di santuari e di promozione di istruzione e pluralismo religioso – suscitano ammirazione: la loro forza è come quella di un fiume carsico, che scava in profondità; un’azione invisibile, lenta, eppure feconda.
Pietre vive
Abbiamo sperimentato una realtà forte e contraddittoria, rappresentazione esponenziale delle tendenze comuni a tutta l’umanità. Abbiamo messo le mani nelle piaghe e nel segno dei chiodi che trafiggono la Terra Santa.
Morte e rinascita si scontrano quotidianamente nelle storie di tanti uomini, tutti figli di Abramo, che animano le pietre di Gerusalemme.
E allora queste pietre, che caratterizzano la città e per me racchiudono il viaggio, sono “pietre vive”, che raccontano di noi e racchiudono il senso della nostra ricerca.
Gianmarco Donati