Giovedì, 22 maggio 2025


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mercoledì, 21 maggio 2025 Aggiornato alle 06:21Blog - Il viaggiatore curioso

Tornare alle origini, al Ponte di Veja

di Roberto Maggi

Un viaggio nel cuore della Lessinia, tra natura, storia e mito. Il racconto di un’escursione emozionante in un luogo che ha ispirato poeti, pittori e leggende

 

 

Il risotto con i funghi accompagnato dal fresco vino dell’anno, mi ha davvero ristorato. Il gentilissimo personale della Trattoria Ponte di Veja, all’atto di salutarmi, mi fa dono di cartine e poster del luogo. 

Ho camminato parecchio su e giù per l’alta Lessinia, in questo che è definito “Parco della Preistoria”. E devo dire che ne è valsa la pena! 


 

L’uomo, sazio di voci

arcane e di silenzi,

sente sul sentiero

brividi di storia

e di mistero.

 

Queste le parole riportate nei pressi di una vasca in marmo rosso di Verona, all’esterno della trattoria. Questa zona, infatti, ha fornito numerose testimonianze di carattere paleontologico. 

Il museo di Sant’Anna d’Alfaedo offre una panoramica completa della flora e soprattutto della fauna di periodi remoti, quando qui dominava un mare nel quale si aggiravano squali di diverse specie e dimensioni, rettili grandi fino a 10 metri (i mosasauri), a loro agio in sterminati spazi.

 

Ed è proprio qua, in questa suggestiva valle ammantata di castagni, che la natura, i fenomeni atmosferici e i millenni, ci hanno lasciato una testimonianza che stupisce e lascia letteralmente a bocca aperta e dinanzi alla quale, parafrasando Ungaretti, ci si riconosce fragili fibre dell’universo. 

 

Qui, infatti, s’innalza il ponte di Veja, un vero e proprio ponte di roccia alto circa 30 metri, sotto il quale scorre tra grandi massi di crollo, un torrente, alimentato da una sorgente che sgorga da una grotta detta “dell’Acqua”. Questa anticamente costituiva l’apertura di un’immensa caverna crollata per l’azione erosiva dell’acqua. 

 


Il massiccio ponte di roccia ad un’arcata, ha uno spessore di circa 9 metri ed è lungo 50. 

C’è chi scrisse di aver scorto nel masso che sporge sulla cima, il muso di una rana. Affascina il contrasto tra il colore rosato del rosso ammonitico della grandiosa arcata ed il grigio delle formazioni inferiori.

 

Alla base si scorgono grotte e ripari naturali. 

Vicino al ponte, la ricostruzione di una capanna neolitica genera un’emozione che fa provare un’atmosfera di sospensione. Come se avvicinarsi a quel ponte fosse un po’ come avvicinarsi alla nostra primordialità. 

Qua si possono sentire i silenzi delle migliaia di anni che ci separano dall’esistenza dei nostri lontanissimi antenati. Sembra quasi di riviverne le paure, mentre si percorrono i sentieri di roccia in cui solo scrosciano le acque e dove si rifugiavano pericolosi animali feroci.

 

 

 

Il ponte di Veja ispirò poeti come Dante Alighieri, al quale avrebbe suggerito la visione delle Malebolge infernali. 

 

La presenza di Dante in questa zona è testimoniata da un plurisecolare castagno “de maronar” che si trova accanto alla trattoria “Ponte di Veja”. Meglio conosciuto come “Castagno di Dante”, si dice che alla sua ombra si riposasse il divino poeta in visita - come me oggi - al ponte di Veja. 

 

Quest’albero esisteva già quando Dante, ospite degli Scaligeri a Verona, venne da queste parti. 

Presenta una circonferenza alla base di m. 12,4 che poi si restringe a 7,5 a due metri dal suolo. La secolare pianta è solo una delle tante specie di castagno che frondeggiano in questa zona.


Ma il ponte di Veja ha ispirato anche artisti come Andrea Mantegna che lo richiama in modo evidente in un suo affresco del 1474.

Spostandoci per le vicine località, si può raggiungere il Covolo di Camposilvano, all’ingresso del quale una meridiana sui muri vecchi delle case avverte:

 

Chissà se il sol benigno

al suo ritorno

segnerà di tua vita

un nuovo giorno”.

 

E anche qua il divino poeta trasse ispirazione (si dice) per creare il suo Inferno.

 Il Covolo è infatti una voragine carsica profonda oltre 70 metri. In passato lo si credeva dimora di fate e di orchi.


 

Poco più a nord si apre una valletta lungo la quale si innalzano, distanziati fra loro, alcuni monoliti dalla forma di fungo, che ricordano le sfingi egizie. 

La valletta di cui questi preistorici fenomeni è disseminata è detta “Valle delle Sfingi” ed ha le misteriose caratteristiche di una città di roccia. L’azione erosiva di vento e pioggia ha modellato le rocce isolate nel prato. È facile scorgervi profili, posizioni, espressioni e magari volti. Allora non si può non sprofondare nella magia o nella leggenda. 

 

Ma ormai s’è fatta sera. 

Ripenso e progetto. Guardo dalla sommità di un colle l'orizzonte e avverto un fremito di solitudine. 

Ecco che subito penso alla parentesi della vita. A questi silenzi che ci vengono da ere lontane. Le sfingi di roccia arrossiscono nel calar del sole. E mi è pare di sentire un lamento lontano. Che siano uomini imprigionati nella roccia?...

 

Roberto Maggi

 


 

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