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venerdì, 27 gennaio 2023 Aggiornato alle 09:20Blog - Aqua Alma

Acqua: la faccia oscura della plastica

di Mariano Mazzacani
Dell’invasività della plastica per l’acqua in bottiglia, nello specifico nella fase produttiva delle bottiglie di Pet, abbiamo già detto. Rimane però il nervo scoperto riguardante l’impatto della plastica a valle del consumo dell’acqua

L'invasività della plastica ha ormai raggiunto livelli tali e, purtroppo, ci consegna uno scenario preoccupante sui livelli di inquinamento complessivo ed in particolare sull’inquinamento del mare.

I dati costantemente aggiornati si riferiscono a tutti i rifiuti presenti nell’acqua, sui fondali, sulla superficie e sui litorali. Quelli mostrati nel grafico (immagine1) si basano sui risultati di 621 diverse pubblicazioni riguardanti 4447 territori.

Per plastica intendiamo
tutta una serie di materiali compresi anche: plastica da pesca, polistirolo, pellicole, pellet e fibre di plastica. La quantità di rifiuti plastici, come è evidente nel grafico a torta che segue, sono la maggior parte ed ammontano al 74,85% rispetto alla totalità dei rifiuti riversati in mare (Openpolis su Dati Awi-Litterbase al Novembre 2020). Plastiche e microplastiche sono i rifiuti maggiormente presenti in mari e oceani.

Non dobbiamo solo pensare alle buste o alla plastica monouso, ma anche a tutti quei materiali più piccoli, le microplastiche, che possono essere ingerite ancora più facilmente dagli animali che popolano l'ecosistema marino.

Il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa), che ha un ruolo chiave in Italia nella tutela del mare, afferma che la plastica attualmente presente nell'ecosistema marino vi resterà per molto tempo, danneggiandolo gravemente.

L'impegno deve però essere quello di ridurre il fenomeno per il futuro, a partire dallo stop alla produzione di plastica monouso e da una migliore gestione dei rifiuti e del loro riciclo. La tutela della vita nei mari e negli oceani è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile promosso dalle Nazioni Unite che sottolinea la necessità di gestire attentamente questa fondamentale risorsa globale.

In Europa, la strategia marina dell'Unione europea è lo strumento comunitario messo in atto per "la prevenzione, la protezione e la conservazione dell’ambiente marino contro le attività umane dannose". Sempre la UE invita gli stati membri a sviluppare strategie che garantiscano il raggiungimento di un buono stato ecologico delle acque. Ciò significa preservare la vitalità, la pulizia e la diversità ecologica di mari e oceani.

Nel nostro paese, la direttiva Ue è stata recepita attraverso il decreto legislativo 190/2010, che ne riprende i punti fondamentali e affida la competenza sul tema al ministero dell'ambiente.

Ma qual è la situazione nel Mar Mediterraneo?
Sergio Costa, ministro italiano dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2020), affermava che nel Mar Mediterraneo finiscono ogni anno 570 mila tonnellate di plastica e sono 134 le specie animali vittime dell'ingestione di questi rifiuti.

Situazione negativa anche quella dei litorali e dei fondali marini, come rivelano i dati raccolti nel triennio 2015-2017 da Snpa, insieme alle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa) e ad Ispra.

Per quanto riguarda i primi, sulle 64 spiagge monitorate sono stati trovati in media più di 700 rifiuti ogni 100 metri di litorale. Sui fondali sono stati rilevati in media tra i 66 e i 99 oggetti ogni chilometro quadrato, risultati dal monitoraggio di 289 stazioni. In entrambi i casi, la plastica si conferma preponderante tra i rifiuti marini.

Nella tabella sottostante (immagine2) si evidenzia il numero di rifiuti rilevati ogni 100 metri di spiaggia, nelle tre sottoregioni del Mar Mediterraneo nel periodo 2015-2017.

Il problema è il mancato recupero della plastica visto che, per parlare dell’Italia, va al recupero solamente il 45,5% degli imballaggi di plastica che è stato riciclato nel 2019. Per la UE per il 2025 si stabilisce un obiettivo del 50%. La Ue stabilisce ulteriori obiettivi su precise tipologie di plastica nei prossimi anni come è evidenziato nel grafico successivo. (immagine3)

Il deludente dato
delle plastiche recuperate esplicita in maniera drammatica il fenomeno: quasi il 55% della plastica non viene recuperata e potenzialmente viene dispersa nell’ambiente o tel quel o sotto forma di fumi inquinanti prodotti dall’incenerimento di una potenziale materia prima-seconda.

L’Ocse ci fa sapere che gli imballaggi rappresentano il 31% della domanda globale di plastica. L’UNEP, prende ad esempio il mercato nordamericano dove gli imballaggi in plastica coprono il 43% della quota di mercato dei contenitori rigidi (vaschette, vassoi, barattoli, bottiglie non per bevande, fusti ecc.), il 67% degli imballaggi flessibili (buste, involucri, sacchetti, teli, ecc.), 72% di tappi e chiusure e 100% di film (dati Franklin Associates).

La stragrande maggioranza degli imballaggi in plastica è monouso, con il 40% dei rifiuti di plastica globali costituiti proprio da imballaggi (OCSE). Restando ai rifiuti, UNEP ricorda anche che le plastiche flessibili e multistrato rappresentano una “quota sproporzionata” di inquinamento da plastica, pari all’80% della plastica dispersa negli oceani (The Pew Charitable Trusts e Systemiq).

Secondo World Forum economico e Fondazione Ellen MacArthur,
mantenendo l’attuale tendenza sull'approccio di design degli imballaggi, il 30% della plastica da imballaggio non sarà mai riutilizzato o riciclato.

E' perciò lecito aspettarsi
passaggi normativi fondamentali per limitare od azzerare il problema della plastica negli imballaggi diversamente il problema non potrà essere risolto da coloro che sono parte del problema!

 

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