20 Aprile 2023, 06.34
In famiglia

I compiti a casa

di Marzia Sellini

Il problema dei “compiti a casa”, ogni anno, da qualche anno a questa parte, torna “in auge”. La psicologa e psicoterapeuta Marzia Sellini prova ad analizzare il fenomeno da diversi punti di vista

 
Ultimamente emblematico è stato un video comparso su Tic Toc, poi passato sui social network in forma virale, girato da parte di una mamma che, esasperata per la mole di lavoro pomeridiana mista al pianto lamentoso e disperato di suo figlio, che compare alle sue spalle mentre a tarda ora fa i compiti, accusa pesantemente di quel che sta accadendo i docenti, attribuendo loro la responsabilità di assegnare troppe attività pomeridiane.    

Non volendo ridurre il tutto ad una debacle della famiglia, da confinare all’incombenza giuridica o ad un’arringa giocata a suon di video nei social network, proviamo a considerare meglio la complessità del tema, e come insegna anche Morin, vagliamo la cosa considerando diversi punti di vista, tutti quelli che li vi compaiono, e che vengono promossi dagli osservatori che in tale scenario si trovano coinvolti.

Innanzitutto consideriamo un dato statistico, apparso sulla rivista “Orizzonte scuola”  effettivamente i docenti italiani assegnano più compiti a casa, o da svolgere in proprio, ai propri alunni rispetto a quanto non avvenga per esempio all’estero.
“In particolare, il Timss 2919, che indaga sulle competenze in Matematica e Scienze degli alunni di quarta elementare e terza media di 39 paesi, ha evidenziato che gli insegnanti italiani assegnano in media più compiti a settimana rispetto ai loro colleghi stranieri.”

Per quali ragioni accade ciò?

Io mi sono fatta alcune idee che vi propongo:

a) La prima, ogni insegnante, soprattutto quanto più è appassionato alla sua materia, quanto più la ritiene importante fondamentale per la vita e la formazione del fanciullo, quindi assegna del lavoro da svolgere in modo autonomo, a casa, talvolta senza valutare quanto tempo mediamente effettivamente serve per il completamento dello stesso.

b) La seconda,
indicata in un’intervista anche dalla mamma che ha dato avvio al dibattito nella comunità scolastica, rispetto agli anni ’90, oggi non abbiamo più un solo maestro per classe, nella primaria, ma ci sono maestri diversi per materie diverse, e si arriva ad averne anche nove nella scuola secondaria di primo grado, quindi, ciascun docente assegna i compiti da svolgere, non sempre tenendo conto del lavoro assegnato dagli altri colleghi, allo stesso gruppo di ragazzi/ragazze, per lo stesso giorno o considerando il tempo necessario per il completamento di tutte le attività.

c) La terza, si ritiene che lavorare in proprio sia importante, per lo sviluppo ed il potenziamento delle abilità individuali; soprattutto in certe materie si ritiene che la mente coincida col cervello, pertanto, l’esercizio del pensiero in proprio, indica l’esercizio di funzioni del proprio cervello.

d) La quarta è di carattere ideologico, nella cultura occidentale, ed in Italia in special modo, “Paese di santi, poeti e navigatori”, i singoli sono importanti per contribuire allo sviluppo delle diverse discipline e fare la storia.

Assumiamo ora la posizione dei docenti.
Possiamo dire che le indicazioni a procedere, in vista della risoluzione di questo problema, vanno essenzialmente per loro, ovvero coloro che si interessano in special modo alla didattica ed alla valutazione degli apprendimenti, in due direzioni: c’è chi spinge per eliminarli del tutto o ridurli fortemente, come hanno fatto per esempio in Francia con la riforma nel 2018, e c’è chi invece ritiene fondamentale mantenerli.

Approfondiamo, considerando gli assunti e gli impliciti di queste due strategie.

Coloro che ritengono che debbano essere ridotti o eliminati, potremmo dire che assumono, una filosofia del vivere Heideggeriana, per cui “Essere e tempo”, il tempo non torna indietro, io sono il mio tempo, e quel che posso ascoltare, capire, fare ed imparare adesso, con altri, non può ripetersi, allo stesso modo, in altro momento, dopo, in un altro contesto, da solo.

La conoscenza viene intesa come processo e non come raccolta di contenuti recuperabile in qualsiasi momento.
Per usare una metafora potremmo dire “il treno passa ora o mai più …” 
Certamente ci sarà anche chi non filosofeggia e magari trova conveniente non avere compiti da correggere in aula, per non perder tempo utile e portare avanti il programma.

Coloro che invece pensano che sono fondamentali i compiti, solitamente assumono la teoria che a maggior esercizio corrisponda un aumento dell’apprendimento; ritiene che l’esercizio in autonomia, a casa, possa permettere al singolo di sviluppare maggiori capacità ed abilità.  

Se assumiamo il punto di vista del ragazzo, vediamo che ci possono essere differenze significative in relazione al diverso stile cognitivo, alle differenze di status sociale e appartenenza culturale, autonomia sviluppata nel fare i compiti, metodologie e strategie di studio acquisite.
Spesso il senso del fare esercizi o di studiare non viene spiegato ai ragazzi, i quali non capiscono la valenza di quelle ripetizioni.

Detto ciò possiamo fare alcune considerazioni di carattere sociologico e psicologico in relazione all’attività dei compiti a casa.
In primis, il diverso contesto, quello dell’abitazione, prescrivere attività diverse da quelle dello svolgimento dei compiti solitamente, almeno per i componenti della famiglia adulti, la casa è luogo dell’espressione emotiva ed affettiva, è luogo di giochi e divertimento, del riposo, delle attività della cura dei bisogni del corpo e dello spirito, e così via … in relazione alle diverse culture dell’abitare o del dimorare.

I ragazzi possono percepire tale differenza e vivere con una certa insofferenza questa assegnazione di “doppio o dopo lavoro”. 
E’ pur vero che in questi anni, molti hanno iniziato a praticare lo smart working, cosi il lavoro interminabile ha iniziato a occupare anche lo spazio della casa, sempre monitorato e tracciato dai pc perennemente accesi.

Se puntiamo ora l’obiettivo sull’esperienza dei compiti, possiamo riconoscere legata ad essa dei possibili rischi, uno di questi è quello di sviluppare come strategia di pensiero quello della procastinazione: perché impegnarsi per ascoltare, capire, fare una mappa concettuale o prendere appunti adesso, se puoi il pomeriggio devo studiare?
Oppure, perché apprendere ora se poi devo riprendere il tutto nel pomeriggio?

Altro rischio, quello di non seguire bene il processo conoscitivo, e soffermarsi solo sulle nozioni ed il contenuto, quindi sviluppare una percezione che si focalizza sul particolare anziché allargare alla comprensione, alla forma, al genere del discorso, alla procedura proposta in quella lezione per quella materia.
Certamente, tali livelli sono raggiungibili una volta che il processo dell’istruzione, che si compie nella scuola dell’obbligo, si sia completato.

Ci sono allora compiti giusti e compiti sbagliati da assegnare ai ragazzi?
L’ex provveditore degli Studi di Brescia ritiene inutili gli esercizi da svolgere a casa o le serie di dati da imparare a memoria, ed invita piuttosto a considerare il senso di quelli che si presentano come “compiti di realtà, come ad esempio elaborare delle proposte per risolvere un determinato problema di cui si è discusso a scuola, oppure preparare una presentazione di un libro letto, o informarsi su un determinato fatto o evento da illustrare ai compagni; insomma se contribuiscono a porre gli alunni in situazioni di problem solving e di pensiero divergente.”

Aggiungerei a questo suggerimento, alcune considerazioni al fine di aprire ulteriormente la riflessione: di quale realtà parliamo quando parliamo di “compiti di realtà”, sappiamo che anche l’astrazione è una realtà, che ci porta ad una configurazione concettuale, accessibile a coloro che apprendono quel particolare linguaggio o codice, ad esempio quello matematico, quello musicale, quello grafico etc.. in questo caso l’esercitazione e al ripetizione sono fondamentali, per la generazione di automatismi.

Lo stesso apprendimento della matematica, pensiamo alle tabelline, può richiedere l’apprendimento a memoria, quale euristica del pensiero che facilita la rievocazione. Certamente, apprendere a memoria non basta ad alcuni, coloro che per esempio si chiedono perché di quella metodologia, possono comprendere meglio la moltiplicazione se si passa dall’addizione oppure dalla dimostrazione logica di quell’operazione aritmetica.
Pertanto il lavoro volto a costruire senso è solo una forma di pensiero, tipica dell’intelligenza logico-argomentativa, di cui posso favorire lo sviluppo o il potenziamento nei ragazzi e nelle ragazze.

Che fare dunque?  

Proporrei anche per i docenti l’uso intelligente del registro elettronico
per poter assegnare compiti, da parte di coloro che ritengono importanti tali attività, ai propri studenti, indicando, anche il tempo medio di svolgimento di quell’attività proposta ed un tempo limite giornaliero per lo svolgimento dei compiti, raggiunto il quale, gli insegnanti non possono chiedere ai loro allievi di fare di più.

Inviterei coloro che fanno il tempo prolungato o pieno, a svolgere le attività pomeridiane a scuola, lasciando semmai esclusa la ripetizione orale degli apprendimenti. In tal modo le famiglie meno attrezzate per seguire i figli, a casa, possono giovare di tali supporti.

Andrebbero fatti corsi di formazione, nella scuola, sulle metodologie di studio e fornito un adeguato sostegno agli studenti da parte degli esperti che conducono lo spazio dello sportello d’ascolto che possono anche informare e formare i docenti, in merito agli assunti dei loro saperi, trovando quindi con gli studenti più “difficili” soluzioni creative.

dott.ssa Marzia Sellini
psicologa psicoterapeuta
cell. 338/4581605
mail: marziasellini@gmail.com



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