L’agricoltura nella bibbia
Successivamente, ai tempi della monarchia, l’agricoltura cambiò in quando i possedimenti dei terreni vennero accumulati dai nobili a danno degli agricoltori originari.
In questo periodo si sviluppò un sistema di affittuari regi dove degli incaricati erano nominati amministratori delle vigne, delle piantagioni di olive, dei granai e dell’allevamento del bestiame.
Eco di questa situazione è il primo libro di Samuele dove si chiede un re per governare al posto dei giudici, dando così inizio al periodo della monarchia in Israele.
I profeti biblici alzarono la loro voce contro tale sistema.
Ricordo tra tutti il profeta Isaia il quale paragonò Israele alla vigna del Signore, dove Dio fece tutto il necessario affinché producesse frutti ed invece Israele non ascoltò.
Ebbe a dire al capitolo 5,8 “Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nel paese”.
Le vaste proprietà terriere messe insieme nel territorio di Giuda a spese dei poveri rimarranno così deserte: le vigne produrranno poco vino e la messe sarà un decimo del grano seminato.
Isaia denuncia ancora una volta la superbia, il lusso, la ubriachezza e l’ingiustizia.
Dio darà il segnale con l’invasione nemica, l’Assiria e poi Babilonia, che verrà ad invadere il paese di Israele.
Evidentemente c’è un legame tra la terra promessa e ciò che contiene e la fedeltà del popolo verso Dio. I doni di Dio esigono dal popolo ebreo una fedeltà alla alleanza.
Esdra e Neemia hanno il compito di ricostruire la nazione dopo l’esilio di Babilonia, ricostruire Gerusalemme. Mettono al centro, in questa ricostruzione, la Parola di Jhavé.
La legge biblica diventa ancora una volta la carta costituzionale e codice civile del vivere del popolo di Israele.
In questo contesto Neemia ordinò che le proprietà fossero restituite ai possessori originari (Neemia 5): una situazione che continuò fino alla conquista del paese ad opera degli eserciti greco e romano, quando divenne nuovamente possibile accumulare possedimenti terrieri come nel vangelo di Luca ricorda nella parabole del ricco stolto (12,18-19).
La storia biblica ci ricorda che per fare agricoltura occorre anche un sistema giusto che aiuti le persone ed un popolo a vivere con serenità del proprio lavoro.
L’agricoltura non era solo un tipo di occupazione, ma anche una forma di cultura espressa nella sua importanza religiosa, politica e socio-economica.
Si pensi ad esempio al sacrificio dove si offrono i primi frutti del raccolto.
Le primizie erano considerate come testimonianza della benedizione e della fecondità che Dio ha accordato a coloro che una volta erano oppressi e che Dio aveva liberato dalla schiavitù egiziana.
Gesù stesso ha vissuto in una cultura tipicamente agraria. Perciò ricavò molte parabole dall’ambiente e dagli usi agrari (si pensi alla parabola del seminatore e del grano che cresce con la zizzania).
L’agricoltura è parte integrante di un popolo e da sempre c’è un legame con la religione: ambedue si completano a vicenda e fecondano la società dove il cibo è frutto del lavoro dell’uomo e dono di Dio.
Il pasto diventa segno di amicizia e di comunione,di ospitalità e questa ricorda a ciascuno di noi che noi siamo ospiti sulla terra, la terra ci è data in consegna.
L’agricoltore è parte integrante del progetto di amministrare con cura la terra, ciò che produce e degli animali.
Don Claudio