Immunità a Ilaria Salis: quando la politica si protegge da sé
La decisione del Parlamento Europeo di non revocare l’immunità a Ilaria Salis solleva dubbi sulla giustizia, sull’uguaglianza davanti alla legge e sull’uso politico di una garanzia pensata per ben altri scopi
L'Immunità come Scudo Politico: La Brutta Pagina di Strasburgo su Ilaria Salis
Ho atteso alcuni giorni ma alla fine non riesco a non esprimere ciò che penso.
Il voto del Parlamento Europeo che ha confermato l'immunità all’europarlamentare Ilaria Salis, respingendo la richiesta di revoca ungherese, solleva interrogativi profondi non solo sulla giustizia, ma sul concetto stesso di rappresentanza e responsabilità politica in Europa.
Il risultato, risicato e ottenuto grazie a una maggioranza di un solo voto, non è una vittoria per la democrazia o per lo stato di diritto, come qualcuno ha frettolosamente dichiarato. È, piuttosto, l'ennesima dimostrazione di come la politica possa erigere uno scudo protettivo per i suoi membri, anche quando si tratta di accuse relative a reati gravi e, soprattutto, precedenti all'elezione.
Un Privilegio Fuori Luogo
La ratio dell’immunità parlamentare è storicamente chiara: proteggere il lavoro del rappresentante eletto da azioni legali motivate politicamente e volte a impedirne l'attività.
Ma in questo caso, la logica è stata piegata fino alla rottura. I fatti contestati a Ilaria Salis dalle autorità ungheresi, in relazione a presunte aggressioni a Budapest, sono avvenuti ben prima che la Salis ricevesse il mandato popolare.
Accettare che l’immunità copra retroattivamente condotte criminali non ha nulla a che fare con la difesa dell’attività parlamentare. Trasforma invece un'importante garanzia democratica in un vero e proprio privilegio giudiziario, un salvacondotto per sottrarsi a un processo in corso in un altro Paese membro.
Il messaggio inviato è pericoloso: l’elezione non solo lava i peccati politici, ma può anche fungere da amnistia de facto per accuse penali.
L’Europa e la Doppia Misura
Il voto di Strasburgo appare in netto contrasto con il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Perché un eurodeputato dovrebbe essere sottratto al giudizio di un tribunale di uno Stato membro per fatti privati, commessi prima del mandato, mentre qualsiasi altro cittadino europeo non godrebbe di tale protezione?
Se è legittimo sollevare dubbi sulle condizioni carcerarie o sulle garanzie processuali offerte dall’Ungheria di Viktor Orbán (che andrebbero affrontati attraverso gli strumenti di monitoraggio dello Stato di diritto), la risposta non può essere la blindatura automatica.
La scelta di non revocare l’immunità sembra sposare la tesi che l’accusa sia di per sé una "persecuzione politica" solo perché l’imputata è ora un membro del Parlamento Europeo.
Una posizione che rischia di gettare un'ombra sull’indipendenza della giustizia in generale e sulla volontà del Parlamento di far prevalere la verità dei fatti sulla convenienza politica.
Un Precedente Sbagliato
La decisione crea un precedente nefasto. L’immunità, pensata per tutelare l’istituzione, è stata usata per tutelare la persona da accuse relative a reati comuni (come tali sono stati qualificati i fatti, al di là della loro connotazione politica).
Si è preferito il conflitto politico e la difesa a oltranza di un proprio membro, piuttosto che lasciare che la giustizia facesse il suo corso, garantendo al contempo la massima vigilanza sul rispetto dei diritti processuali e umani.
Il Parlamento Europeo ha perso un’occasione per dimostrare che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno chi siede tra le sue fila.
Il voto che ha salvato Ilaria Salis, per una manciata di schede, non è una vittoria di libertà, ma una clamorosa affermazione del potere della politica di auto-assolversi.
E questo, per la credibilità delle istituzioni europee, è una sconfitta.
Marco Morandi
Vobarno
Va detto che la Salis non ha nessuna intenzione di sottrarsi ad un processo.
Ha chiesto che venga celebrato in Italia, dopo aver trascorso 15 mesi di "carcerazione preventiva" in un carcere di massima sicurezza a Budapest.
Ubaldo Vallini