Il sogno di una cosa

“Per me la possibilità di lotta è la cultura” Questa è una celebre frase di Pier Paolo Pasolini, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento, attivo come poeta, scrittore, regista e sceneggiatore, che nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975 fu brutalmente ucciso. Pasolini è stato uno degli intellettuali più rappresentativi e profondi, in lui il cuore vinceva, “sempre e per principio, sulla logica. Paolini trema. Secondo Goethe è nel tremare il meglio dell’uomo…” Così scriveva ne Il Corriere della Sera di mercoledì 29 dicembre 1976 Franco Ferrarotti. Alberto Moravia lo considerava come il poeta civile di sinistra dell’Italia odierna, devastata da uno sviluppo insensato e rapinata della sua identità culturale profonda. Pasolini denuncia l’ignavia dei potenti che, con il loro egoismo, dapprima emarginano i deboli, poi si permettono di accusarli di fiacchezza intellettuale e di depravazione morale. Nella sua denuncia, Pasolini tocca vertici di manzoniana eloquenza, ma vira verso un’opera documentaria, stupendamente documentaria. Si definì un manierista, come tutta la letteratura contemporanea, visto che poggiava su valori effimeri e scaduti. Di fronte ad una società in sommo grado consumistica ed edonistica, di fronte alla efferata distruzione dei valori umanistici, lo scrittore auspicava il ritorno alle virtù del mondo contadino. Questo mondo, egli lo ha ingigantito fino a farlo diventare senz’altro il terzo mondo. Ma il terzo mondo di Pasolini è propriamente un mito regressivo, il mito del “buon selvaggio.” E con gli occhi e l’intelligenza del “buon selvaggio,” tuttavia armato di affilatissimi strumenti culturali, Pasolini ha sempre interpretato i fenomeni sociali, politici, morali e culturali della nostra società. Detestava lo sviluppo (non il progresso) tecnologico, perché in esso vedeva la macchina che, invece di liberare l’uomo, lo imprigionava nel miraggio dei falsi bisogni, delle vacue parole, delle coscienze svuotate di ogni contenuto che non sia quello del godimento immediato. L’orrore per la violenza nasce dall’angosciata consapevolezza che questa società offre all’uomo solo delle forme vuote da riempire con i valori del “sistema.” Ma poiché i valori del “sistema” sono quelli della concorrenza e del profitto conseguito con ogni mezzo, ecco che tutta la società viene come immersa in un bagno di violenza, in una giungla in cui ciascuno è, insieme, vittima e carnefice dell’altro. Così era Pasolini stesso, e di queste ambivalenze soffrì fino a morirne. [img id="37454"] La sua morte è stata l’emblema delle sue contraddizioni esistenziali e persino poetiche. Nulla è casuale nel destino di un umo. È stato ucciso da uno di quei “ragazzi di vita” di cui egli stesso aveva contribuito, con complicità, a creare il mito, fino a riporre in loro la speranza del riscatto dall’affrancamento della degradazione consumistica. È stato un errore veramente tragico. Pasolini diceva che l’Italia degli anni ’70 era allora più distrutta che nel ’45, perché non c’erano solo macerie materiali, ma soprattutto spirituali, umane. La polemica di Pasolini al consumismo non era polemica regressiva di ritorno al passato. Era piuttosto lo strumento che il letterato trovava, certo ambiguo, per far capire che la distruzione di valori era fortemente agganciata al mutamento delle strutture produttive, al senso del lavoro e della produzione. Pasolini era ossessionato dal fatto che valori come umanità, solidarietà, eguaglianza, nel mondo dell’avere e del potere, stessero svanendo. La sua protesta, non solo nostalgica in modo fantasioso, si concretizzava nell’opposizione alle leggi disumane che regolano il funzionamento della società capitalistica. Anche il rinnovamento delle forme espressive del linguaggio riflette la convinzione che non è utile allontanarsi dalla realtà presente per contrastarla, ma che è necessario addentrarsi in essa per svelarne le contraddizioni. [img id="37453"] Lo strumento preferito era la “parola.” Ragazzi di vita e Una vita violenta sono i due romanzi più discussi degli anni ’50. Si conferma il suo successo con le poesie de le ceneri di Gramsci e la religione del mio tempo. Ma ogni libro è scandalo, aperta provocazione alle abitudini morali. L’affresco sui “diversi,” sui giovani sottoproletari delle borgate romane, egli lo esegue regredendo, com’egli diceva, “per simpatia” nei personaggi prescelti. Il loro linguaggio era la spia d’una situazione che lacera il paese e la divisione linguistica era indicativa di divisioni politiche, economiche e sociali. La critica di Pasolini alla società è sorprendentemente attuale, dove l’omologazione e la perdita d’identità, legate alla pervasività del modello di consumo, generano negli individui tristezza e angoscia dovute all’impossibilità di realizzare i modelli sociali proposti. È opportuno addentrarsi nella lettura dei suoi testi per trarne riflessioni e ricostruire desiderandola, prima, una dimensione di sogno in sé stessi, confabulando ognuno tra sé e sé con l’innato desiderio di imparare, per poi proseguire un percorso di conoscenza vera che, talvolta, sembra interrotto dalla costante persecuzione perpetrata con colpi di sciabola ai danni della Cultura. Una dea che non si può comprare, un bene “non consumabile.”

Il sogno di una cosa

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