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lunedì, 3 febbraio 2025 Aggiornato alle 12:15Blog - Eppur si muove

Vota Antonio!

di Leretico

“Vota Antonio, Vota Antonio La Trippa!” Così urlava attraverso un megafono Totò in un famoso film del 1963 intitolato “Gli onorevoli”, regia di Sergio Corbucci

 

 

Antonio La Trippa, 17 anni dopo il referendum Monarchia-Repubblica del 1946 in cui il modello repubblicano vinse di stretta misura, era ancora monarchico e pronunciava i suoi slogan elettorali con un megafono dalla finestra del bagno, svegliando quotidianamente i propri condomini con modi ironicamente mussoliniani. 

Ovviamente Totò voleva far emergere il lato comico del potere e poteva contare su un pubblico molto numeroso, che avrebbe riso di sé tanto quanto sarebbe poi andato in massa a votare.

 

In quegli anni l’affluenza alle urne era in Italia tra le più elevate al mondo e toccava quasi il 93% degli elettori. 

Non si può dire che la partecipazione si sia mantenuta nel tempo a quel livello; infatti, le elezioni politiche del 2022 hanno visto andare al voto solo il 63% degli aventi diritto, per scendere ad un drammatico 49% alle europee nel 2024.

 

Certo, anche l’occasione fa il risultato

L’Europa e le sue istituzioni sono sentite ormai come lontane e influenti su cose secondarie della vita del paese. Rimane il fatto, tuttavia, che in quasi tutti i paesi democratici, l’affluenza al voto si sia ridotta molto, soprattutto negli ultimi vent’anni.

 

In questa situazione i primi a evidenziare la crisi sono stati quelli che hanno sempre visto la democrazia come fumo negli occhi, come espressione del potere degli Stati Uniti. 

In pratica sostengono che la democrazia è stata “esportata” con la forza dai conquistatori del suolo patrio italiano e non sarebbe quindi un regime adatto all’Italia uscita dal fascismo nel 1945.

 

Non lo dicono apertamente, ma avrebbero voluto un altro regime per l’Italia, ad imitazione di quello sovietico. 

Vedono dunque la democrazia come l’ignobile sostituta di una rivoluzione mancata, sempre sognata. Sono quindi i primi a puntare il dito contro la diminuzione dell’affluenza che interpretano come segno del fallimento tout court del sistema pluralista.

 

Nemmeno la morte di Stalin nel 1955 e la denuncia di Chruscev del 1956, nel suo famoso “Rapporto segreto” intitolato “Sul culto della personalità e le sue conseguenze”, sono valsi allora, né tantomeno oggi, a persuadere i detrattori della moderna democrazia sulle contraddizioni delle proprie posizioni. 

Il discorso alla Harvard University dell’8 giugno del 1978 di Aleksandr Solzenicyn non ha minimamente intaccato la loro fede tetragona.

 

Non si può negare che il successo della democrazia in Occidente sia legato a doppio filo con il miglioramento delle condizioni economiche avvenuto dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e proseguito per più di settant’anni. 

Tuttavia oggi la fede nella indissolubilità di questo legame è venuta meno con l’apparire sulla scena mondiale di nuove potenze economiche come la Russia e la Cina, nazioni in cui della democrazia non sanno assolutamente nulla.

 

Il successo economico di queste nuove realtà, che le ha spinte ultimamente a cercare di insidiare e far crollare il dominio americano nel mondo attraverso interventi armati controversi, è visto dalla parte più attiva delle società occidentali come incapacità del vecchio mondo, imbrigliato dai “lacci e lacciuoli” delle burocrazie democratiche, di rispondere adeguatamente alle veloci e snelle autocrazie anti-occidentali, libere di muoversi e di prosperare, là dove il vecchio mondo, tutto concentrato nel rispetto delle regole, non è più in grado di competere.

 

Costoro sognano la liberazione dalle costrizioni burocratiche a cui la democrazia li avrebbe costretti. 

Sognano di ridurre o eliminare il potere di queste strutture giudicate inutili e parassite, prospettano tagli o almeno drastici ridimensionamenti per colpirle una volta conquistato il potere.

 

Anche qui siamo di fronte ad una visione semplificatrice del mondo, che purtroppo fa molta presa, soprattutto in quegli strati delle società occidentali dove grande è la frustrazione di non poter emergere e arricchirsi come un tempo. 

Cercano un capro espiatorio che possa assorbire il loro malessere, lo trovano anche troppo facilmente nella democrazia.

 

Se questo è lo scenario su cui dobbiamo ragionare, ci domandiamo concretamente quali siano le ragioni principali per cui l'affluenza alle urne è calata drasticamente negli ultimi anni. 

Possiamo abbozzare alcune risposte, almeno riguardo alla situazione italiana.

 

Innanzitutto, gli anni di “Mani pulite” (1992-1994) hanno prodotto una disaffezione generale per la politica da cui quest’ultima non si è ancora ripresa. 

Come minimo si dice del politico che sia disonesto, come massimo non dico nulla, vi lascio immaginare gli aggettivi.

Nonostante la falsa rivoluzione di “Mani pulite” abbia avuto la sua influenza, sono altre le cause che hanno allontanato gli elettori dalle urne, alcune più profonde: è cambiata la società, è cambiato il modo di vedere il mondo.

 

Se si pensa che alle ultime elezioni europee il 32% dei consensi degli operai è andato a Fratelli d'Italia, possiamo capire la distanza abissale che c'è tra quanto accade oggi rispetto agli anni ‘60 del film di Corbucci. 

In quegli anni c’era il boom del numero dei giovani che pretendevano insieme al cambiamento economico anche un cambiamento sociale. 

Oggi di giovani ce ne sono pochi e gli investimenti pubblici e privati sono dedicati a costruire residenze per anziani piuttosto che nuove scuole.

 

La prima illusione che cade, nei giovani costretti a vivere in una società gerontocratica, è quella di poter cambiare le cose attraverso il voto, perché esso è legato alle dimensioni dei gruppi in competizione, scenario perdente per chi parte da una posizione intrinsecamente debole e per giunta è in decadenza con i numeri.

 

Negli anni ‘70 essere giovani voleva prevalentemente dire essere in diversi modi di sinistra, per opporsi ad una società patriarcale e conservatrice.

 Ma oggi che gli operai votano per la maggior parte per un partito conservatore, i vecchi schemi di analisi politica e sociale, soprattutto quelli che cercano sempre e soltanto nell’economia la madre di tutte le risposte, vanno rifiutati.

 

Non può essere solo e comunque un problema relegabile alla concentrazione della ricchezza, da cui muove originariamente la critica al capitalismo, il motivo per cui il 32% degli operai vota a destra in Italia. 

Questa risposta è un altro tentativo riduzionista, che porta con sé solo una parte di verità. Siamo di fronte ad una vera e propria rinuncia a cambiare il mondo, e la società; abbiamo un cambio radicale dell’orizzonte e degli obiettivi delle persone, le quali non vedono più nell’agire collettivo il modo per migliorare le proprie condizioni. 

Ciò non è accaduto solo perché le crescenti disparità sociali ed economiche avrebbero alimentato la sfiducia nelle istituzioni democratiche, tanto che le fasce economicamente più deboli si sarebbero autoescluse dal voto. Le persone, e soprattutto i giovani, si accontentano oggi di vivere nel presente perché non conoscono il loro passato – né gli interessa conoscerlo – e non hanno speranza nel futuro.

 

La politica non è più in grado di suscitare emozioni riguardo tale speranza, cuore pulsante di ogni movimento politico.

La frustrazione, che deriva dal sentirsi impotenti rispetto al cambiamento, influisce in modo determinante sulla decisione di andare a votare. 

 

Inoltre, l'atomizzazione della società, la riduzione delle relazioni sociali determinata dall'uso smodato dei social, il cambiamento delle aspettative generato dalla tecnologia, ha provocato una disaffezione verso il funzionamento delle istituzioni. 

La politica non è più lo strumento per cambiare il mondo o per guidarlo, al suo posto si è messa la Tecnica, con la sua declinazione scientifica che si manifesta sotto forma di tecnologia.

 

Non contano le emozioni, i sentimenti di appartenenza, i valori connessi con l’azione politica. Tutta roba vecchia. 

Conta la promessa alternativa offerta dalla tecnologia, che ci possa sgravare dal lavoro e dalla sofferenza “hic et nunc”, qui e ora, senza riguardo per la metafisica del passato e del futuro. 

Non abbiamo più bisogno nemmeno della vecchia intelligenza umana, avendo ormai pronto il suo surrogato artificiale, che intende mantenere tutte le promesse eluse dalla politica.

 

Muore il vecchio mondo e nella tomba porta con sé tutte le vecchie idee, compresa quella del suffragio universale che aveva raccolto le più grandi speranze. 

Dalla schiavitù al suffragio universale sono passati secoli di lotte e di maturazione culturale da cui sono nate le moderne democrazie. Oggi stiamo tornando alla schiavitù, e alle guerre per imporla, perché la società non ha più speranza in un mondo migliore, e non crede più che il suffragio universale e la democrazia siano il modo per ottenerlo.

 

Il narcisismo è il nuovo che avanza, conta sempre di più l’“io” rispetto al “noi”, perché il “noi” non dà più alcuna fiducia. Il leader potente e ricco è rimasto l’unico modello da imitare, l’eroe che ce l’ha fatta e in cui immedesimarsi. Il resto non conta. Antonio La Trippa non ha più speranze di essere votato, nemmeno di farci (sor)ridere.


Leretico

 


 

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