Che rischio corro correndo rischi?
Il fenomeno delle "challenge" tra i giovani, atti pericolosi come il "train surfing" che rappresentano una rielaborazione moderna di antichi riti di passaggio all'età adulta
Da sempre, nel corso della storia, i giovani si mettono alla prova nei gruppi. Alcune di tali condotte allarmano per la pericolosità e, agli occhi dell’adulto, appaiono come una sfida alla vita. Di questi tempi, in cui la percezione dei confini della propria identità si estende oltre il confine nazionale italiano, i ragazzi hanno dato un nome a tali giochi pericolosi, ovviamente la derivazione è anglofona, chiamano questi atti challenge. Tra queste, uno dei fenomeni più recenti è il train surfing.
Di che si tratta? È una prova estrema, ideata da uno sparuto gruppo di giovini, che prevede di riprendersi con il video, sul tetto di un treno in corsa, mentre devono stare in equilibrio o distendersi quando passano sotto un ponte. Ogni generazione, se guardiamo bene, ne inventa una. Ricordo che quando ero giovane, una volta raggiunta la maggiore età, si usava fare Bungee Jumping, il lancio nel vuoto, da ponti sperduti tra monti e valli, da altitudini improbabili, con un elastico legato alla caviglia. Il messaggio era: se lo fai e sopravvivi a quella botta d'adrenalina, se non muori di paura, sei coraggioso/a, sei grande e sei uno/a di noi!
In Amazzonia abbiamo rituali simili, i ragazzi fanno un volo con la liana legata alla caviglia, si lanciano dall'albero da 20, 30 metri e se sopravvivono, in quel momento sono diventati grandi. In questo modo decretano la fine dell'adolescenza, tempo di anomia e anonimato e l’inizio dell’età adulta. Riti antropologici che cambiano nei tempi e nelle subculture ma il senso è il medesimo, sfidare la paura agendo per propria volontà percependosi, così facendo, grandi, cioè adulti (non immortali, non ci sono in tali gruppi queste nozioni). Perché l'adulto, per il giovane, è colui che fa (credono) ciò che vuole.
Certo qui la cosa è più grave rispetto al Bungee Jumping che indicavo prima, perché c’è un’infrazione di varie normative. Questi ragazzi, che non si debba o non si può fare quel che fanno, lo sanno bene, non sono ingenui, ed è sfidandole che avvertono la potenza verso il mondo adulto. Ovviamente l’adulto sanziona, tuttavia la mera sanzione potrebbe non bastare a generare reali cambiamenti in quei ragazzi e si corre il rischio che gli studiosi di devianza minorile chiamano “costruzione della carriera deviante”, ovvero si attribuisce un’etichetta sociale che pregiudica i percorsi che seguono. Anziché dire che hanno commesso un atto grave, pericoloso, si comincia a formulare un giudizio allargato alla persona.
L'adulto può sanzionare, ma non è in questo modo che acquista credibilità e fiducia agli occhi dei ragazzi, che queste cose già le sanno. È quando l'adulto aggiunge quel che non sanno, quando permette loro di capirsi, capendoli, che i ragazzi, questi ragazzi, gli accreditano stima, fiducia e lo seguono in un percorso volto ad approfondire quel che credono o pensano.
E perché pensano che sia proprio quello il modo per diventare o mostrarsi grandi? Non serve l'imposizione del potere, occorre la condivisione di saperi. I saggi sanno che è intrinseco al sapere il potere, non è vero il contrario, il mero esercizio di potere per ragioni di status o di ruolo, non solo non garantisce obbedienza, ma viene percepito da taluni come mera dichiarazione della gerarchia.
Qui giace la differenza tra autorevolezza ed autorità. Essere autorità in materia di fenomeni giovanili e vissuti psicologici degli adolescenti più difficili, non visibili e riconoscibili dal senso comune è altro rispetto alla dichiarazione, da parte dell'adulto, della propria autorità dettata dal ruolo che ricopre. Diciamo che la seconda è più debole. Perciò serve affiancare all’intervento normativo il dialogo educativo; si badi bene, non l’uno o l’altro ma entrambe. La difesa e tutela della norma e la comprensione delle ragioni private, soggettive, particolari di quell’individuo.
Ma possiamo leggere anche dell'altro in questo nuovo rito, di cui circolano video in rete, poiché viviamo nell'epoca dell'homo videns (e che da esperta di fenomeni giovanili suggerisco di togliere per non alimentare l'emulazione e quello che in gergo definiamo fenomeno Werther).
I ragazzi tentano filmandosi di sentirsi finalmente protagonisti fino in fondo delle storie della loro vita, la videoregistrazione consente loro di percepirsi attori sulla scena ma al tempo stesso registi della stessa, quindi possono “vedere da fuori”, ovvero con gli occhi del pubblico che immaginano li guarderà. Dunque anticipano che ci sarà qualcuno che poi vedrà quel che stanno facendo ed è per loro, anche, che lo fanno, nell’implicita attesa che il giudizio sarà. Se poi a tutto ciò seguono, come stiamo facendo in questo caso, articoli, testi, video in cui “si parla di loro”, ecco che il gioco di costruzione relazionale dell’identità dello “spericolato/disgraziato” si compie. In questo modo tentano anche di uscire dall’anonimato, dalla subalternità al mondo degli adulti, soprattutto in alcuni contesti dove vige la regola che il più forte vince e domina opprimendo i più deboli.
Altra ragione può esser quella di alterare il proprio stato psicofisico mediante la botta di adrenalina, l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, l’attivazione del sistema nervoso simpatico, con il rilascio di adrenalina ed altri ormoni che contribuiscono alla sensazione di eccitazione e al piacere provato durante esperienze intense, qualche anno fa fu coniato il termine “sensation seeking" per definire gli atteggiamenti di alcuni in questa società del benessere.
Che fare? Come educare? Il primo passaggio fondamentale è approfondire con coloro che hanno accettato di correre certi rischi, intenzionalmente, ma probabilmente inconsapevolmente di una parte di questi, che giustificazione offrono a quel che hanno già fatto? Certamente una carenza del correr rischi nella vita può esser vista altrettanto come rischio, ovvero della scelta di stati d’animo, sentimenti ed atteggiamenti eccessivamente miti, d’altra parte trovare la giusta misura e l’equilibrio individuale, egosintonico è forse l’esercizio di tutta una vita. Dopodiché occorrerebbe approfondire che consapevolezza hanno delle loro esperienze di loro stessi, in gruppo e psicofisiche.
A che cosa stanno tentando di offrir soluzione comportandosi cosi? Che idee hanno gli altri di loro attorno a loro. Come si comportano gli adulti di riferimento e significativi per loro con i mezzi tecnologici? Che uso ne fanno? Per cosa? In vista di che …?
Ecco da qui si potrebbe partire, e chiaramente la riflessione compete poi a tutti noi adulti che ci occupiamo, direttamente ed indirettamente, di minori, educazione e genitorialità.