12 Ottobre 2022, 06.38
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La messa per un ebreo

di Pseudosofos

Circa una settimana fa, mi trovavo presso un’osteria a cena con un collega ebreo. Le cene sono un’ottima occasione di confronto intellettuale e i discorsi sono scivolati sulla messa estiva celebrata all'aperto in tenuta da ciclista


...Ebbene, mentre gustavamo degli ottimi cappelletti in brodo di gallina, sapendo che io provengo dalla provincia di Brescia, il mio collega mi domanda che cosa ne pensavo degli episodi collegati alla messa estiva celebrata all’aperto in tenuta da ciclista e in diretta Facebook.

Prima di offrirgli una serie di opinioni in merito, il mio saggio amico condivise subito l’idea secondo cui il vescovo aveva fatto bene ad apostrofare tali comportamenti, irrispettosi della sacralità del rito eucaristico, sebbene sarebbe stato meglio farlo in forma privata.
Questo suo giudizio, lì per lì, mi meravigliò, visto che egli, da ebreo, non crede nel Sacramento dell’altare.

La motivazione addotta a questo suo giudizio suonava più o meno così: i momenti rituali di ogni religione non comunicano solo qualcosa che riguarda il divino e il modo in cui lo pensiamo. Soprattutto, sono momenti che testimoniano in che modo noi uomini possiamo avere riverenza verso ciò che consideriamo per fede sacro e santo.
Te lo immagini - continuò - se dovessi vedere un gruppo di ebrei in costume prendere fra le mani la Torah e proclamarla in spiaggia?”.
In sostanza, a suo giudizio, la banalizzazione di un rito comunica irriverenza umana verso ciò che si propone come oggetto di fede.  

Di fronte a queste sue affermazioni, non ebbi nulla da obiettare.
Gli dissi che mi trovavo d’accordo e in sintonia con lui. Gli dissi anche che la mia meravigliava nel sentire le sue opinioni dipendeva dal fatto che questo stesso modo di pensare non lo avessi facilmente riscontrato in molti fedeli cristiani cattolici con cui mi sono trovato a discutere dell’evento.

Proprio per questo, conoscendo un poco come funziona la dialettica di conversazione dei “farisei” (questa parola è tra virgolette perché non intendo usarla nel consueto significato di “ipocriti”, ma nel suo originario senso di “pensatori ebrei”), gli proposi le contro-argomentazioni che avevo letto sui giornali in merito a queste vicende, per appurare come vi avrebbe fatto fronte.

Cominciai con il fargli notare che, per chi ha la fede teologale, la transustanziazione avviene “ex opere operato”, cioè indipendentemente dalla statura etica di chi celebra.
Di conseguenza, non conta nemmeno in che modo il presbitero fa ciò che fa, dove lo fa e come si veste perché il sacramento sia celebrato. “Anche le messe all’aperto in montagna con gli adolescenti sono considerate valide. Perché in montagna sì e al mare no?”, gli dissi.

E continuai: “Ci sono preti eticamente molto peggiori di questi due (dissi “due” perché nel frattempo si era aggiunto alla conversazione anche il racconto del prete che aveva celebrato sul materassino gonfiabile in riva al mare), i quali celebrano pontificali in stupende cattedrali. Il formalismo rituale non si addice alla fede cristiana”.

Gli feci presente anche che Dio non è rinchiudibile in quattro mura, ma che tutto l’universo è cattedrale di Dio.
Non esiste luogo alcuno che sfugga alla Sua Immensa Presenza. Confinare Dio nello spazio di una Chiesa sminuisce la sua maestosità.

Dopo che mi ebbe ascoltato con attenzione e avendo compreso le mie intenzioni comunicative, il mio amico mi rispose così.
Il principio “ex opere operato” vale se chi celebra fa ciò che la Chiesa intende fare nel modo in cui deve essere fatto.
"Se non sbaglio, voi cattolici credete che la messa non sia un incantesimo, dico bene. Non basta la pura recita di formule decontestualizzata. Perciò - continuò - la forma del contesto rituale del sacramento comunica la verità simbolica che connette la fede di crede all’evento che sta celebrando.
Se tale contesto viene banalizzato, Dio stesso viene banalizzato e insieme con Lui la fede di chi Lo adora”.


Rispetto a dove Dio si trovi la sua risposta mi lasciò davvero di sasso, data la sua apparente scontentezza.
Mi disse che se Dio ha fatto l’universo intero e non c’è nulla che sfugga alla Sua Immensità, non è così arduo immaginare che Egli possa modificare la sostanza di un corpo per renderla simbolo speciale della Sua Presenza.
Ciò che per voi è l’Eucarestia, per noi Ebrei è la Torah!”, concluse.

Fu così che, quando ormai i cappelletti erano spariti delle nostre fondine, con essi sparirono anche alcune mie perplessità introno a queste discusse vicende.
Certo, è curioso il fatto che un non cattolico sia riuscito a cogliere alcuni elementi essenziali della fede teologale riferita all’Eucarestia, in un mondo ignoto a molti di coloro che si dicono cristiani. Accade così a chi conosce qualcosa, sebbene non lo creda, rispetto a chi dichiara di credere in ciò che non conosce con accuratezza.

Ripensando a questa conversazione, la mia memoria è tronata a quando da piccolo il prete della mia Parrocchia mi ha insegnato a fare la genuflessione al Tabernacolo, perché lì c’era la presenza “specialissima” di Dio.
Poi, crescendo, ho compreso che Egli, sebbene abbia una Casa Speciale in cui risiede, viaggia al contempo per tutto l'universo a una velocità superiore a quella della luce, Sua prima meravigliosa creatura.

È esistito un tempo in cui il futuro sovrano di Francia, Enrico di Navarra, dichiarò che “Parigi la vale bene una messa”, espressione che stava ad indicare che per qualcosa che si ritiene importante (diventare re di una grande nazione) vale la pena fare qualche sacrificio (convertirsi al Cattolicesimo dal Calvinismo).
Forse, ai giorni nostri, non sarà più Parigi che vale una messa, ma una messa che non vale più molto sacrificio per esser effettivamente celebrata.

.foto fb/Percorri la pace




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