19 Maggio 2023, 09.43
Blog - Filosoficherie

Il calcolatore della Mela

di Pseudosofos

Un’insegnante entra in aula e comincia la sua lezione d’informatica...


“Carə studentə, buongiorno. Prendete per favore il vostro personale calcolatore informatico portatile e accendetelo. Oggi inizieremo ad imparare l’utilizzo di un’applicazione per creare presentazioni multimediali. Mi riferisco al programma Potente Punto di Piccolomolle.
Immagino molti di voi ragazzə lo conosciate già e ne abbiate già fatto uso.
Aprite il molleprodotto schiacciando due volte il tasto sinistro del vostro topo sull’apposita icona della scrivania.

Se non avete con voi un topo usate pure il piano di tocco. Ricordo a chi avesse un calcolatore della Mela che deve usare due dita al posto del tasto destro del topo.
Appena siete nell’interfaccia della pagina Casa, alla vostra destra compare l’elenco Progettista. Come noterete, vi si trova una serie di modelli con diverse disposizioni grafiche. Scegliete pure la disposizione che più vi piace.

Ora dovete dare un titolo alla vostra presentazione.

Facciamo finta che il tema sia la differenza fra il duroprodotto e il molleprodotto in informatica. Scrivete il tema nell’area titolo.
Nell’area sottotitolo, invece, aggiungete una breve ulteriore spiegazione a piacimento. Fatto questo, va inserita un’immagine relativa al tema.
Mi raccomando ragazzə: l’immagine non deve essere a bassa definizione. Individuatene una da almeno 1280 per 900 puntini”.

Di fronte a queste spiegazioni,
uno studente trova il coraggio di alzare la mano e domandare: “Professoressa, ma che cosa sta dicendo? Non si capisce nulla. Sta bene?”.

L’insegnante con un po’ di stizza risponde
: “Carə fancillə, anzitutto da ora in poi dovrai chiamarmi professoressə per rispetto del fatto che non puoi sapere se io in questo momento mi sento femmina o maschio.
Non è educato supporre quale sia la mia attuale appartenenza di genere. Non voglio che mi diventi omofobə. Inoltre, che cosa non capisci di ciò che ho detto? A me pare tutto così evidente”.

“Vede, professoressa, ehm, scusi, professoressə, molte sono le cose che io ed altri non abbiamo compreso.
Per esempio, che programma dobbiamo usare?”.
“Potente Punto della Piccolomolle. L’avevo già detto. Non sei statə attentə?”.
“Sì, ma... che cos’è?”, le dice lo studente sogghignando.

“Insomma, è così difficile da capire?
Si tratta del programma che una volta veniva chiamato Power Point di Microsoft”.
A sentire queste parole, allo studente e alla classe si aprirono gli occhi della mente. “Quindi, mi faccia capire professoressə. Il calcolatore della Mela è il Pc della Apple, il topo è il mouse e il duroprodotto è l’hardware? Dico bene?”.
“Ma bravə, ci sei arrivatə finalmente”, risponde l’insegnante con fare seccato misto a ironia.

Tuttavia, lo studente non si ferma
e osa domandare: “Ma scusi, perché non usa le vecchie diciture in lingua inglese?”.
Non l’avesse mai detto! Diventata paonazza dallo sconcerto e sentendo in corpo quella delusione mista a rabbia, tipica di chi è stupito dall’inopportuna ignoranza e pertinacia dell‘interlocutore, l’insegnante rispose: “Senti un po’ signorinə solo tu sei così addormentə da non aver recepito le disposizioni ministeriali che vietano tassativamente l’uso di lessemi inglesi nella nostra lingua?”.

“E lei crede sia sensato seguire tali disposizioni?”, incalzò lo studente.
“Ma certo, piccolo impertinentə. Come puoi non capire che l’eliminazione delle parole inglesi, unita all’integrazione dello schwa (ə) per indicare la neutralità di genere, permette al linguaggio di essere davvero politicamente corretto: accontenta tutti i politici, sia quelli di destra, sia quelli di sinistra.
Finalmente così abbiamo superato il razzismo, salvaguardando al contempo la nostra lingua madre dalla colonizzazione linguistica anglofona”.

Nella classe si fece silenzio da parte degli studenti.
Ma le loro menti erano ancora accese, per fortuna, mentre l’insegnante continuava la sua stravagante lezione utilizzando il linguaggio che credeva perfetto. Alcuni intelletti pensavano a che fine avrebbero fatto le parolacce collegate al sesso.

Al posto di dire “cazzate”
per indicare le stupidaggini, quale altra parola scurrile più corretta si poteva utilizzare senza fare un riferimento così diretto al maschile? Forse “genitalatə”?

Altri studenti cominciarono a immaginare la trasformazione di alcune parole inglesi in italiano, non legate solo all’ambito informatico.
Per esempio, l’“hamburger” diventerebbe il “prosciuttocarne”, un “hotdog” il “canecaldo” e lo “smartphone” sarebbe lo “scaltrotelefono”.

Tutta questa interiore immaginazione, se non altro, li aiutava a sdrammatizzare la situazione surreale venutasi a creare in aula. Perché, che ci si creda oppure no, la nostra mente è libera, anche e soprattutto di sorridere di fronte alle cazz..., ehm, scusate genitalatə.

Detto questo...
Forse converrebbe pensare, come ha suggerito qualche tempo fa l’Accademia della Crusca (vedi il contributo qui riportato) che la lingua italiana ha delle sue regole, non affatto corrispondenti né ai desideri dei potenti di sinistra, né a quelli dei governanti di destra.
Le regole della grammatica e della sintassi non sono né le regole della politica, né quelle di madre natura. Il linguaggio è un universo vitale a se stante e va conosciuto ed amato prima che sbadatamente cambiato.

Se non salvaguardiamo la libertà di espressione tramite linguaggi codificati, grazie al cielo, in lingue diverse, tutelando anche le modalità comunicative che suonano alle volte volgari e maleducate, insieme alla spontanea contaminazione con altre lingue, senza imporre per forza la reintroduzione di segnali ortografici del “neutro” in una lingua, come quella italiana, che non li prevede, ecc... tutti, credo, diventiamo più stupidi, cioè più poveri nel comunicare.

Oppure, ci meritiamo di essere ridotti al silenzio da parte di chi ama imporre il proprio potere agli altri attraverso l’uso del burocratese.
Con la conseguenza, però, che al posto di crescere come uomini e donne capaci di dire ciò che pensano, ci ritroveremo fra poco in un mondo di esseri che formulano correttamente nella lingua “dura e pura” i pensieri dell’unica intelligenza ammissibile: quella artificiale.
In questo prossimo mondo “Chatgpt” regnerà sui cervelli spenti. Ops, scusate, volevo dire “Chiacchieragpt” regnerà.

Proprio così! Chi può mai regnare, se non le chiacchiere, in un contesto linguistico in cui le menti umane sono anestetizzate dal potere?
Lo aveva già compreso Martin Heidegger: il mondo della chiacchiera è quello del “si” impersonale, dove tutti sono uguali, dove tutti dicono le stesse cose, simili a cortesi automi senza coscienza e senza cuore.

Ma, ciò di cui parlano non dice nulla di sensato.
Men che meno quella verità e sapienza tanto amate da chi resiste al potere filosofando, o, almeno, cercando di farlo.

Pseudosofos.



Commenti:
ID83173 - 22/05/2023 11:14:50 - (Leretico) - La libertà e il linguaggio

la libertà è una parola difficile, non nel senso che sia oscuro il suo significato, ma nel senso che indica un valore che inserito nella realtà, necessità di una continua tensione per la sua realizzazione, poiché ogni libertà è tale in modo relativo, ossia arriva fino al confine della libertà altrui. La complicazione sta proprio nella realizzazione dell'individuale libertà in ragione della libertà altrui. Innanzi tutto è la libertà altrui che necessità di superiore considerazione, senza tuttavia negare la propria, altrimenti si perde l'equilibrio che anima il proprio desiderio di libertà. La libertà del linguaggio è dunque una figura della libertà in generale ed è per questo anche figura della sua complessità. E' evidente che molti ignorano la complessità sia della libertà che della lingua, per questo propongono il livellamento, la

ID83185 - 15/06/2023 10:21:54 - (Pseudosofos) - Libertà di espressione

La libertà di espressione si può intendere in molti modi. Significa "dire ciò che si pensa"? "Pensare ciò che si dice"? "Dire ciò che passa per la testa"? Quando il linguaggio è espressione di libertà? Il fatto che tutti possiamo esprimersi pubblicamente, indica che siamo liberi nel proporre le nostre opinioni? Personalmente, ritengo che il linguaggio esprime libertà quando si sforza di comunicare la verità e tende a mostrarla senza imporla, sviluppando l'altrui pensiero e/o facendogli fare attenzione a qualcosa che dà per scontato. Come fai tu sul tuo blog. Grazie Leretico.

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