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lunedì, 2 settembre 2024 Aggiornato alle 09:59Cronache

Sharon, una morte per nulla. Aiutare i giovani a riflettere

di Giuseppe Maiolo

Non c’è follia nell’uccidere senza sapere il perché, tantomeno un raptus. Che non esiste. Nemmeno è il colore della pelle, il paese di origine o la provenienza culturale. Altrimenti che dovremmo dire dei tanti femminicidi di italiani doc? 

 

 

Nella morte di Sharon non c’è nemmeno la casualità e la sfortuna di trovarsi sulla strada dell’omicida. 

 

C’è piuttosto la povertà sociale e l’emarginazione, il degrado culturale e le illusioni di un successo che i giovani pensano di dover rincorrere a tutti i costi. 

 

Li stiamo facendo crescere così gli adolescenti con distrazione e indifferenza e li educhiamo con disattenzione senza contenere quella diffusa cultura della violenza che li fa uscire di casa armati di coltelli e, prima ancora, normalizza le offese, le prepotenze quotidiane e rende banale l’aggressione verbale e fisica. 

 

Altrimenti non sentiresti dire dai bambini della primaria che i bulli offendono per gioco e che anche la vittima si diverte. 

Il problema sta bel fatto che a molti adulti sfuggono quei piccoli capò fuori misura o i bulletti di turno dal futuro promettente.

 

Stiamo facendo crescere ragazzi incapaci di dirci cosa provano, che non hanno le parole per esprimere un sentimento, nonostante si insista nel dire che si fa educazione alle emozioni. 

Diventano invece grandi con tante aspettative illusorie e sempre meno realistiche sulla vita e sul futuro. 

 

Delusione e rabbia così covano dentro e alimentano necessità infinite di ricompense e di apprezzamenti che il popolo dei social dispensa a piene mani quando i gesti sono strabilianti e sconvolgenti. 

Oppure esplodono senza un apparente motivo.

 

Quello che conta di più e diventare Supereroi, disposti a tutto pur emergere e acquisire visibilità. 

Dall’altra poi, manca la riflessione perchè li abbiamo disabituati a fermarsi e pensare. Caso mai abbondano le prediche e le illusioni degli adulti di essere ascoltati, quando h24 sono in funzione per gli uni e per gli altri auricolari e videogiochi. In casa non c’è più spazio per fermarsi a pensare insieme senza continuamente temere il fallimento dei figli. 

 

A scuola non si commenta quello che accade nella strada vicina. 

Non arrivano i giornali o nessuno li porta, quindi non si leggono durante un’ora di lezione. Se ci sono li vedi, intonsi, nell’androne della scuola vicino alle bidellerie. Cosi la vita resta fuori dalla scuola e le coscienze rimangono inchiodate agli stereotipi del pensiero più diffuso o a quello più urlato dai tweet martellanti degli influencer da milioni di “seguaci”. 

 

Non si tratta di giustificare un assassinio né sostenere la perdita del controllo come motivazione al massacro, ma forse famiglia e scuola hanno il dovere di educare alla gestione delle emozioni e fermare quel mantra diffuso del “tutto è possibile”. Perché è un imbroglio. 

 

Voler diventare famosi non è un peccato, ma se non accade, non ci può essere solo il fallimento di una vita, la disperazione e la violenza o la pazzia. 

Rischiamo di veder crescere situazioni come questa se la famiglia e la scuola che sta per ripartire, non tornano insieme a dare confini e a educare alle relazioni.


Giuseppe Maiolo

psicoanalista

Università di Trento


 


 

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