02 Aprile 2022, 08.00
Blog - Genitori e figli

Gli adolescenti, la scuola e la guerra

di Giuseppe Maiolo

“A scuola non parliamo di guerra perché ci hanno detto che non vogliono traumatizzarci”. “Non è il massimo parlare della sofferenza che vediamo, ma è impossibile star lontani dall’informazione”...


Sono due frasi che mi sono sentito dire in questi giorni dagli adolescenti di una scuola che incontro per un laboratorio sulla comunicazione.

Devo dire che queste loro parole mi hanno colpito perché dicono la necessità di capire quello che sta accadendo e dire ciò che sentono. E poi sorprende l’evidente scollatura che segnalano tra la vita che accade negli immediati dintorni e la scuola che invece tace. Si studiano più facilmente le guerre puniche e in parte si affronta la seconda guerra mondiale, ma si tace su questa di oggi che potrebbe diventare la terza.

Tacciono gli adulti che hanno paura di affrontare la sofferenza, quando invece è fondamentale dare spazio ai pensieri difficili e alle emozioni forti che produce una guerra così vicina e piena di incognite.

Se li lasci parlare, invece, gli adolescenti ti dicono che tra di loro si confrontano, per fortuna, ma anche che hanno bisogno di conoscere la verità dagli adulti significativi e non avere da loro menzogne o silenzi, perché questo genera maggiore ansia. Vogliono parlarne, non insistere sulla morte in diretta o sulle atrocità della guerra che i media documentano copiosamente, per dare spazio ai dubbi, alle loro paure e avere qualcuno che sappia accogliere e contenere senza giudicare questo sentire.

Capita allora che si richiudano nelle loro difese intellettuali oppure nel mondo virtuale. Non serve obbligarli a parlare della guerra, ma gli adolescenti vano inseguiti dagli adulti e, ora più che mai, coinvolti nelle riflessioni sulle origini dei conflitti e sulla loro natura, aiutati a riconoscerli e gestirli.

Serve promuovere una cultura della pace ma soprattutto affrontare la conflittualità quotidiana più che avere parole per spiegare guerra. In ogni caso anche a scuola conta la relazione affettiva ed emotiva ed è fondamentale la capacità di ascolto dell’adulto per sostare nella riflessione comune.

La scuola è di per sé il luogo in cui il gruppo può esprimere e condividere stati d’animo e vissuti, anche difficili e ingombranti. Il gruppo che rappresenta la dimensione del “NOI” da far crescere per superare l’IO dell’individualismo e della competizione così dominante e favorire la cooperazione.

Allora penso ad una scuola che educhi precocemente all’ascolto reciproco con insegnanti in grado di contenere angoscia e gestire la rabbia dei pensieri. Una scuola che aiuta preadolescenti e adolescenti al confronto col dolore interno e non lo faccia tracimare e trasformarsi in azioni autolesive. Una scuola che dia un tempo ai loro sentimenti senza censura e giudizio.

Il silenzio invece va evitato perché non aiuta, né la rimozione della paura serve a vincere l’angoscia per il futuro. C’è bisogno di una scuola che sappia sostare sul dolore e aiuti a rivedere la “filosofia del fare” senza sosta con cui, per paura della noia, ormai da anni organizziamo il loro tempo.

Facciamo in modo che la scuola di oggi sappia trasformare la negatività di questo periodo difficile e dia spazio ai laboratori del pensiero e delle emozioni con cui promuovere la generatività che serve nelle situazioni quotidiane di conflitto.

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
www.iovivobene.it 



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