Per l'uscita "alpinistica" di due giorni quest'anno il gruppo di ragazzi del progetto Alpinismo giovanile si è recato in Valfurva, destinazione rifugio Brasca al ghiacciaio dei Forni
L’escursione si è svolta sabato 20 e domenica 21 agosto con 33 ragazzi partecipanti e 8 accompagnatori.
Un lungo viaggio in autobus: val Camonica, passo Aprica, Valtellina per giungere fino a Santa Caterina a quota 1738 metri slm, dove termina il tragitto in corriera per poi salire su due fuoristrada che ci risparmiano i 6 km circa di asfalto fino al parcheggio dell'albergo dei Forni 2171 m.. A lungo siamo rimasti indecisi se utilizzare un mezzo così poco "Caino" per giungere alla partenza del sentiero, ma le previsioni meteo degli ultimi giorni parevano tutte delle "Cassandre portatrici di sventura" con responsi temporaleschi a non finire. Il cielo invece è terso e poche nuvole corrono pacifiche.
La partenza sul "sentiero glaciologico" è un poco laboriosa, sbagliamo direzione!
La versione degli accompagnatori è che è una scelta consapevole per verificare l'attenzione dei ragazzi dopo la sveglia antelucana delle ore 6. Mah! Il pranzo è previsto presso i ruderi di una postazione della guerra del 15/18 che si trovano a circa 2600 Metri di quota ma, pare non arrivino mai, il sentiero è ripido e sulla nostra testa si addensano le prime nuvole scure.
Siamo finalmente alla tappa e si possono aprire gli zaini: mezz'ora per la meritata pausa pranzo. Di fronte a noi scorgiamo per la prima volta il rifugio Branca, nostra destinazione per la notte ma da esso ci separa l'ampia vallata dei Forni con le sue morene e, in fondo il fronte del ghiacciaio. Si riparte, il cielo è sempre più scuro e si alza un vento gelido che ci invita ad allungare il passo. I più piccoli in parte appesantiti dal cibo cominciano a perdere qualche colpo, mentre i più motivati mordono il freno.
Che fare, il rischio pioggia è sempre più probabile, ma il programma prevede il ghiacciaio pertanto, deviamo a destra uscendo dal sentiero per raggiungerne la saraccata. I primi arrivati rimontano la morena e risalgono il ghiacciaio utilizzando i detriti che lo ricoprono. Abbiamo negli zaini alcuni chiodi da ghiaccio e una piccozza con i quali facciamo attrezzare dai ragazzi più grandi una sosta per apprendere come si progredisce su ghiaccio, ma il temporale incombe e le prime gocce pesanti ci cadono sulla testa, dobbiamo ripartire. Fuori le mantelle, le giacche a vento e i coprizaino.
I due ponti tibetani sopra il torrente in piena, vengono superati di un balzo, la pioggia ora è tambureggiante e il rifugio ancora lontano. Il sentiero è in discesa ma le rocce della morena sono scivolose pertanto è indispensabile rallentare e attivare la testa oltre alle gambe...
Ultima salita ed eccoci al Branca. Una calda stanza per gli scarponi attende i nostri abiti bagnati. Tirati fuori i ricambi, allestiamo l'asciugatura sui numerosi "ometti" di fronte ad una grande stufa e ad un paio di termoconvettori che sparano aria calda. È un piacere trovarsi in un rifugio così ben attrezzato...
Le nostre camere sono nella parte "storica" del rifugio, ristrutturata in modo splendido con tanto legno e una buona disponibilità di servizi. La distribuzione nelle camere (da 6/8 posti) è un poco "anarchica"', ma siamo stanchi e non c'è tempo per fare una distribuzione “oculata”.
Ultime raccomandazioni e via all'occupazione degli alloggi.
Cena alle ore 19. Incredibilmente siamo gli unici ospiti del rifugio e questo ci permette anche di essere un poco rumorosi senza rischiare di disturbare nessuno. Dopo cena i ragazzi fuggono quasi tutti nelle camere e noi adulti ci attardiamo nella zona bar. Il coprifuoco è per le ore 22. Permettiamo ancora un poco di agio ai ragazzi ed un quarto d'ora prima della scadenza saliamo nelle camere per verificare lo stato delle cose.
Che troviamo? A parte un pigiama party con dei baldi giovanotti vestiti da donna con tutti gli attributi del caso e un'insurrezione dell'ISIS in atto, al grido di mantra in un arabo improbabile, per tutto il resto direi bene. Riportiamo l'ordine e per le 22 un quasi silenzio regna nei corridoi, a parte il battere della pioggia che ancora cade a scrosci sul tetto.
Nessun ferito se non qualche impiastricciato di dentifricio o crema per la pelle. Sveglia alle ore 6.30, colazione alle 7.00, fuori alle 7,30: nuvoloso, ma niente pioggia. Dobbiamo raggiungere il rifugio Pizzini a quota 2700 e, per farlo, non scegliamo la facile stradina di fondovalle ma ci inerpichiamo sui pendii alla sinistra orografica, lungo alcuni ponticelli e una fantastica vista sulle cime che ci circondano. Numerosi sono i fischi delle marmotte e molte di loro riusciamo anche a intravedere. Riusciamo anche a individuare un camoscio che però, si rivela un sasso con la forma e il colore dell’animale; appariva un po’ troppo statico… Il tempo peggiora e una fitta nebbia ci nasconde la vista del rifugio.
La fatica comincia a farsi sentire e le pause per riposare sono sempre più frequenti.
Rimane il solito gruppo dei più motivati che scalpita. Decido allora di dividere la compagnia, tolgo il freno ai primi, concedendo tempo di riposare ai più stanchi. Non l'avessi mai fatto: accompagnatore davanti e i ragazzi raggruppati dietro a spingerlo verso l'alto. A questo punto permetto loro "libero passo" e noi adulti ad arrancare dietro di loro. Infine al rifugio, i ragazzi ci danno ben 3 minuti di distacco.
La coda tarda, di sicuro non ce la farà poi a salire i 3005 metri del passo Zebrù e non sarebbe giusto "tarpare le ali" ai più forti, pertanto organizzo i ragazzi accompagnati da Marco ed Emanuele (che mi garantiscono la sicurezza) e propongo loro di salire al goletto.
Offerta accettata e partono rapidi in mezzo alla nebbia.
Alla spicciolata arriva il resto del gruppo la cui maggior parte non vede l'ora di abbandonarsi a terra per riposare. Ma c'è ancora un gruppo di giovani che ha energia pertanto organizziamo un secondo manipolo di ragazzi che affronteranno per i 350 metri che ci separano dal muro dei 3000. Con media perfetta anche il secondo gruppo, condotto da Narciso, giunge al passo dove trova i compagni partiti prima che stanno ammirando la parete dell'Ortles illuminata dal sole in un varco nelle nuvole che ci circondano e, lontano sulla cresta alcuni camosci.
E' sicuramente il gruppo dei più motivati, non per forza dei più forti. Ci tengo a rimarcare che 7 ragazzi del gruppo "Ragazzi in Montagna" hanno raggiunto il passo e dell'AG ne erano presenti solo 4.
Bravi tutti ma ci tengo a segnalare Daniele il nostro "piccolo, grande alpinista Recuperante”. La discesa ora. Snobbiamo ancora la stradina di fondovalle, di sicuro più corta ma di certo più monotona ed elementare e imbocchiamo il "sentiero panoramico" che corre alto sulla sponda destra della valle.
Inizia a piovere e il sentiero si rivela lungo anche perchè stavolta non ci saranno le jeep ad evitarci il tratto dai Forni a Santa Caterina... Disdegniamo anche la strada asfaltata e rimaniamo, salendo, ancora in quota. Il percorso è davvero infinito e alcuni mugugni serpeggiamo tra le file, ma la cosa curiosa che le voci di protesta provengono da coloro che hanno riposato al Pizzini evitando di salire al passo Zebrù.
Permettetemi ancora un pensiero in merito alla motivazione, la tecnica si può imparare, ma è solo la motivazione che ti permette di alleggerire la fatica dandole senso e, se ci riesci, scopri la bellezza di essere in un ambiente sì faticoso ma, desiderato.
Puntuali ci imbarchiamo sul pullman dopo esserci nuovamente cambiati dagli abiti fradici di pioggia sotto lo sguardo attento del nostro autista Antonio giustamente preoccupato per il suo autobus. Uscita con la presenza di parecchia pioggia. Uscita disturbata dalla pioggia abbondante? Avremmo forse dovuto rimandarla? Secondo me no e di certo non a causa del pullman e del rifugio già prenotati.
Mentre ero con i miei compagni sotto Giove Pluvio, mi è venuta in mente una frase che Giuseppe, non a caso Reggente della nostra sezione CAI aveva pronunciato alla presentazione della nuova attività dei Ragazzi in Montagna. Mentre spiegava che le date delle uscite sarebbero state mantenute anche in caso di pioggia, ci aveva esortato a “cercare la bellezza in montagna anche camminando sotto un temporale”. Certo è difficile bagnati fradici dare senso al suo dire ma c’è in esso una profonda verità. La montagna è anche cattivo tempo, pioggia e nebbia improvvisa e l’alpinista deve essere in grado di fare i conti anche con questa variabilità.
I portali meteo sono diventati il “vangelo dell’escursionista”. Prima di qualsiasi gita, viene visionato il verbo e poi si decide di partire oppure di restare (vedi il rifugio Branca deserto di sabato nel mese di Agosto).
Fino a qualche anno fa, quando l’unica voce meteorologica era il colonnello Bernacca, non avevamo attendibilità precisa in merito al tempo atmosferico. Poteva essere preannunciato bel tempo e poi prendere una grandinata, oppure partire con l’ombrello e abbrustolirci al sole. Era peggio allora? Di sicuro avevamo uno strumento in meno ma, avevamo una dose di incertezza in più. Imprevedibilità che ti costringeva a prepararti con attenzione all’uscita, ci voleva un’accortezza in più e questo rendeva sicuramente l’alpinista più capace e pronto.
Per finire una chicca per sorridere.
Durante l’escursione io scorro lungo il gruppo e questo mi permette di raccogliere alcune “perle” nei discorsi dei nostri ragazzi, ve ne offro una.
«Ciao. Come è andata al Gaver?»
«Bene»
«Ti sei divertita con tua sorella?»
«Sì»
«Cosa avete fatto?»
«Ci siamo picchiate… »
No comment…