15 Marzo 2023, 09.05
Valsabbia Provincia
Blog - Aqua Alma

Siccità: che fare?

di Mariano Mazzacani

La situazione nella plaga padana si va facendo, giorno dopo giorno, più critica e mai ci saremmo aspettati di dover affrontare una situazione tale con una siccità strutturale che potrebbe avere effetti critici nel lungo periodo anche dal punto vista socioeconomico


Quelle che Napoleone definì le pianure più fertili d’Europa (l’avrà detto veramente?) potrebbero trasformarsi nelle aride terre di Fontamara con la differenza che i cafoni Fontamaresi erano da secoli abituati alla siccità mentre noi, seduti comodamente sui nostri SUV, non sappiamo neppure cosa potrà portarci…

Proviamo a fare una disamina orientandoci anche tra le informazioni che possiamo recuperare dalle ricche fonti online ricordando che la prossima giornata mondiale dell’acqua, che ricorre il 22 marzo, sarà dedicata appunto al necessario cambio di passo da imprimere sulle azioni necessarie per risolvere la crisi idrica a livello glocale.

Leggendo il report pubblicato da Ispra nel 2022, possiamo osservare come a livello Europeo dal 1980 siano in aumento gli eventi di siccità e della loro gravità tanto che il loro impatto economico è stato stimato in 100 miliardi di euro nel periodo 1976 e 2006. Altri studi Europei, sul periodo 1951–2015, hanno evidenziato un aumento della frequenza e della severità degli eventi siccitosi per il sud dell’Europa, specie nei mesi estivi e nell’area mediterranea. Per l’Italia l’analisi, condotta dall’ISPRA su scala annuale, stima un aumento significativo delle aree colpite da siccità estrema. (Immagine 1) https://www.isprambiente.gov.it/files2022/notizie/nota_ispra-_siccita_dispon_idrica_luglio2022.pdf

In base ai dati disponibili e ai risultati dei modelli utilizzati si evidenzia che il valore annuo medio di risorsa idrica disponibile per l’ultimo trentennio 1991–2020, corrispondente a 445,2 mm (ca. 134,5 mld m3), con una riduzione di 104,8 mm (ovvero –19%) rispetto al valore annuo medio di 550 mm (ca. 166 mld m3) del trentennio 1921–1950. In questa situazione già compromessa l’aumento della domanda di risorsa, a partire dagli anni Ottanta, innesca un meccanismo perverso che amplifica gli effetti negativi del calo della disponibilità idrica. https://www.isprambiente.gov.it/pre_meteo/idro/BIGBANG_ISPRA.html).

Per quanto riguarda le tendenze o i possibili scenari futuri per gli impatti a breve, medio e lungo termine dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, la situazione dalle valutazioni effettuate dall’ISPRA è decisamente poco rassicurante. Da una prima analisi per effetto dei cambiamenti climatici ci possa essere una riduzione della disponibilità di risorsa idrica:

• del 10% nella proiezione a breve termine, nel caso si adotti un approccio di mitigazione aggressivo nella riduzione delle emissioni di gas serra (scenario IPCC RCP2.6); Scenario che non pare realistico allo stato attuale.
• del 40% (con punte del 90% per il sud Italia) nella proiezione a lungo termine, se la crescita delle emissioni di gas serra manterrà i ritmi attuali (scenario IPCC RCP8.5 più gravoso in termini di emissioni).

(Immagine 2)

Ispra approfondisce ulteriormente l’analisi
grazie ad uno studio commissionato dalla EU nel 2007 sul potenziale risparmio idrico in Europa stimando che il consumo d’acqua per uso civile, industriale e agricolo potrebbe aumentare del 16% entro il 2030 in uno scenario «business as usual» ma che, di converso, l’utilizzo di tecnologie di risparmio idrico in ambito industriale ed una migliorata gestione dell’irrigazione in ambito agricolo potrebbero ridurre gli sprechi fino a oltre il 43%. Sulla base di queste informazioni è possibile valutare la pressione dei prelievi sulla risorsa che indica un valore dell’indice del 26,3% superiore alla soglia del 20%, limite delle situazioni di stress idrico. Superato il 40% lo stress idrico sarebbe “molto grave” e l’utilizzo della risorsa idrica non sarebbe sostenibile.

Pur con tutti limiti di valutazioni aggregate
e a grande scala, le uniche però possibili in mancanza di dati di maggior dettaglio, il quadro che ne esce è sicuramente preoccupante da affrontare però non più come emergenziale ma strutturale e pertanto con strategie di lungo periodo.

La stessa posizione è condivisa da Asvis, Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile, che ribadisce il concetto che non si possa più parlare solo di un’emergenza, ma di un problema da affrontare in modo sistemico.

Nell’articolo di Flavio Belladonna
si cita il recente film di Paolo Virzì dal nome sentenziante “Siccità”, una storia che racconta di uno scenario apocalittico in cui la vita in una Roma dove non piove da tre anni, e dove le abitudini delle cittadine e dei cittadini sono stravolte dal cambiamento. Una realtà delineata con l’immaginazione, eppure così terribilmente familiare e vicina alla nostra. (https://asvis.it/editoriali/1288-16482/allarme-siccita-non-solo-unemergenza-ma-un-problema-da-affrontare-in-modo-sistemico#).

Nell’articolo si riportano i dati forniti dal CNR che afferma come una percentuale fra il 6% e il 15% della popolazione italiana viva ormai in territori esposti a una siccità severa o estrema. Le proposte sono molteplici soprattutto in ambito agricolo dove potrebbero essere utilizzate coltivazioni più adatte a climi secchi e aridi. ( https://drought.climateservices.it/).

Non è (ancora) un incubo ma potrebbe concretizzarsi se non modificheremo al più presto i nostri comportamenti trasformando la nostra vita nel nostro personale, e più volte citato, Don't Look Up!

Ma anche qui la domanda è una sola: cosa si sta facendo e possiamo fare? A questo punto non resta che guardare al mondo degli stakeholder e dei decisori politici.

Utilitalia, la Federazione delle imprese dei servizi pubblici
che forniscono servizi idrici all’80% della popolazione italiana, ha pubblicato alcune linee guida per l’adattamento infrastrutturale al cambiamento climatico. Nonostante la buona volontà a nostro parere le indicazioni, se si eccettua l’invito a mettere in atto alcune buone pratiche come l’uso efficiente dell’acqua e la riduzione delle perdite, complessivamente siano di un profilo piuttosto basso e si concentrano soprattutto su soluzioni di tipo industriale: realizzazione di opere infrastrutturali strategiche, grandi invasi ad uso plurimo, invasi di piccole e medie dimensioni ad uso irriguo e di interconnessioni delle reti idriche, realizzazione di dissalatori, rafforzamento di gestori “industriali”.

Poco o nulla sul riconoscimento che questa crisi ambientale è soprattutto una crisi sistemica, una crisi del modello produttivo, sia industriale che agricolo, che ha spremuto le risorse come se fossero infinite! L’unica proposta che condividiamo (da ambientalisti) riguarda la possibilità di riutilizzo efficiente delle acque depurate a fini agricoli o industriali. Soprattutto la proposta di semplificazioni autorizzative sull’impiantistica ci preoccupa, visto il potenziale rischio che questo divenga un escamotage per evitare le VIA/SIA procedure che invece, ancor più in questo caso, riteniamo fondamentali per non peggiorare ulteriormente la situazione. Sottolineiamo come non si faccia assolutamente menzione delle criticità sistemiche legate all’eccessiva industrializzazione dei sistemi agricoli e manchi completamente una visione sulla rinaturalizzazione degli ambienti umidi e non si rilanci mai sulla fitodepurazione. La risposta è sempre di tipo industriale!

I decisori politici che dicono?
Al solito il mondo della politica risponde in modo emergenziale anche qui senza alcun approccio di tipo sistemico al problema. Per il ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, vi è addirittura l’ipotesi che sull’emergenza siccità “possano esserci anche più commissari” per quanto riguarda le opere mentre si scopre, grazie al ministro Lollobrigida, secondo cui “è urgente procedere alla razionalizzazione delle governance”, che vi sono fondi significativi, “quasi 8 miliardi “, mai spesi per ragioni burocratiche e normative!

La figura commissariale se da una parte gode del vantaggio di potersi concentrare sulla criticità dall’altra agendo sulla leva emergenziale non risponde mai ad una visione di lungo periodo e tende a privilegiare azioni di immediato impatto piuttosto che affrontare la questione attraverso interventi strutturali che sarebbero fondamentali per la mitigazione climatica. Ma soprattutto il rischio è che la risposta sarà guidata dai settori fortemente colpiti dall’emergenza, in gran parte, causa stessa del problema.

A livello regionale, inoltre,
le soluzioni proposte sono veramente poco incisive: si parla dei gestori dei bacini idroelettrici, compresa Terna (gestore nazionale del sistema elettrico), che hanno espresso la disponibilità a una gestione coordinata degli invasi alpini e dei laghi per fronteggiare la crisi idrica”. A questo si aggiunge la gestione ‘cautelativa’ della risorsa in vista della prossima stagione irrigua, in aggiunta saranno emanate direttive regionali per l’attivazione di licenze di attingimento da acque superficiali in condizioni di crisi idrica., nonché una disciplina specifica per concedere attingimenti di acque da cava. Sarà avviata una nuova regolamentazione delle nuove concessioni di pozzi, sulla base della risorsa effettivamente disponibile”.

Il Forum dei movimenti per l’acqua (pubblica) ha ovviamente una posizione ben diversa, diametralmente opposta determinata dal fatto che la cura deve considerare che lo stile di vita (il modello economico) è sbagliato e tende a non considerare le complessità dei sistemi ambientali. Si punta perciò alla tutela dei bacini idrologici che vanno riqualificati con riforestazioni a partire da quelli in cui insistono i punti di prelievo di acqua potabile; Ci deve essere una valutazione complessiva dei fiumi per le necessità umane che deve tenere conto dei prelievi a valle con pianificazioni effettuate su scala di bacino; Sulla diminuzione dei consumi questa deve essere ottenuta non solo eliminando le perdite di rete ma anche grazie alla realizzazione di reti duali che ottimizzino il riciclo dell’acqua piovana per gli usi meno esigenti che pesa quasi per il 50% dell’acqua distribuita.

La diminuzione dei prelievi
avrebbe come ulteriore effetto positivo anche la riduzione dei costi energetici per pompaggio, trasporto e distribuzione dell’acqua con un aumento della capacità di stoccaggio nelle falde e conseguente miglioramento della qualità dell’acqua; Un capitolo a parte meriterebbe la questione della produzione agricola che dovrebbe essere incentivata alla conversione da agricoltura industrializzata ad agricoltura biologica, anche per preservare la biodiversità e la salute del suolo; al contrario invece si spinge alla produzione industriale di cereali per la produzione di Biogas: un’aberrazione che non andrebbe certamente incentivata con denari pubblici! Rimane poi il nervo scoperto della depurazione delle acque che deve raggiungere il 100% (attualmente è al 50/60%) anche qui però andrebbero privilegiati gli impianti di piccole-medie dimensioni che pure devono potersi valere di tecnologie adeguate e quelli che si ispirano a sistemi naturali come la fito-depurazione.

Gli aspetti da affrontare sono molteplici ma vorremmo soffermarci sulla questione dei sistemi di irrigazione visto che a causa della tipologia di agricoltura diffusa nel bacino padano si usano ancora tecnologie medievali come l’irrigazione a scorrimento ma si potrebbe fare ricorso all’irrigazione a goccia che potrebbe rappresentare un ottimo alleato per conciliare la domanda di acqua riducendo al contempo l’impegno idrico. L’Italia è uno dei Paesi con una maggiore propensione all’irrigazione a livello europeo, segnala Istat, posizionandosi al quarto posto (col 20,2%), dopo Malta (31,4%), Grecia (23,6%) e Cipro (21%), ovvero tra i Paesi in cui più del 20% della superficie agricola utilizzata viene sottoposta a irrigazione.

Il settore agricolo si contraddistingue per essere il maggiore utilizzatore di acqua. Più della metà del volume idrico utilizzato in Italia è destinato a scopi irrigui. Perciò è necessario valutare sistemi irrigui con maggiore efficienza e precisione per ridurre gli sprechi: l’irrigazione a goccia promette un’efficienza superiore al 90% rispetto all’irrigazione a spruzzo, a rotore o a pioggia, che normalmente si colloca tra il 35% e il 50%. Le colture in cui la si adotta riguardano alberi da frutto e le viti: frutteti e vigneti occupano il 50% della superficie sottoposta a micro-irrigazione. In Puglia il sistema a goccia viene sistematicamente utilizzato da anni con ottimi risultati per la coltivazione dei pomodori. I dati ci confortano da questo punto di vista visto che secondo Coldiretti, a Piacenza l’80% della coltura è irrigato con il sistema a goccia, garantendo un’efficienza idrica dell’95% e un risparmio d’acqua variabile dal 35% al 55%.

Tra gli alberi, quelli da frutta a guscio possono beneficiare positivamente di questa tecnica, ma anche il riso potrebbe essere una coltura ideale: essa costituisce l’ultima frontiera esplorata tra le colture irrigate a goccia in Italia e anche nel mondo. Un ultimo aspetto riguarda anche l’utilizzo di acqua potabile per l’irrigazione dei nostri giardini. Vista la carenza idrica non è sostenibile eticamente ma anche economicamente utilizzare una risorsa preziosa come l’acqua dell’acquedotto per irrigare i nostri giardini piuttosto visto che ormai la tecnologia e la conoscenza sulla possibilità di realizzare giardini a secco è abbastanza diffusa sarebbe più saggio valorizzare la snaturale intelligenza delle piante sviluppando giardini di piante mediterranee, oltre 1500 tra specie e varietà diverse a basso fabbisogno idrico. (Immagine 3)


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