14 Marzo 2023, 11.00
Val del Chiese
Tradizioni

Il «poiat» ritorna a fumare a Plos di Bondone

di Gianpaolo Capelli

Da questo lunedì due carbonai sono al lavoro sui monti di Bondone per realizzare il carbone secondo tradizione
VIDEO


Questo lunedì mattina, 13 marzo,  ancora alle sei gli ultimi cantori della saga del “Poiat”, Dario e Mansueto Scalmazzi, hanno acceso il primo dei tre “Poiat” annuali, concessi dalle autorità competenti per continuare e ricordare la trazione degli abitanti di Bondone, che li hanno visti per secoli sui monti del Trentino e del Bresciano a fare legna e carbone portando con loro tutta la famiglia.

Il posto dove i nostri due carbonai lavorano è in località “Plòs”, a un tiro di schioppo da Bondone, in cima alla salita della strada vecchia che porta al paese dei carbonai.
Vicino si trova la chiesetta omonima, dentro la quale in piccolo ci sta la Madonna con Bimbo in braccio come quella in grande nella chiesa patronale di Bondone.

Lì, sotto il terreno, durante la peste del Manzoni del 1600, furono seppelliti gli abitanti di Bondone che a causa della loro decimazione non trovavano più posto nel cimitero di fianco alla chiesa.
Diversa fu la cosa per il colera che nel 1830 imperversò nel Trentino.
Pochi furono gli abitanti colpiti dal flagello a Bondone grazie alla intercezione e protezione dei suoi abitanti alla Vergine Maria, che furono miracolati.
Gli abitanti di Bondone, in ringraziamento, nel 1855 istituirono la festa del “Voto”, rispettato anche ai giorni nostri.
Il giorno 9 settembre con Maria in spalla tutti in processione alla “Santela di Plòs” in ringraziamento.

Ritornando ai carbonai va ricordato il lavoro duro dove tutti davano una mano, anche i giovani figli per riuscire a guadagnare quella “polenta e lat” che era l’alimento che si potevano permettere allora e poco più di altro.
Nove mesi in montagna con un breve ritorno in paese ai primi di settembre per pregare, onorare, ringraziare la loro Protettrice la “Madono dal Bambì en bròs”, la Vergine con Bimbo in braccio.
Sono tre le “F” che contraddistinguono il lavoro del carbonaio di Bondone di una volta: “Fame, Fumo, Freddo”.
Lavoro svolto in paese fino agli anni Settanta, cessato con l’arrivo delle industrie, dei lavori edili in valle: i giovani volevano una vita meno dura di quella dei loro padri.

Anche se il lavoro del “carboner” è scomparso negli anni a seguire alcune persone hanno continuato a ricordare il lavoro atavico dei loro avi.
Tra questi Pietro Salvotelli e Dario Scalmazzi e verso la fine del 2020 a dar manforte ai due “senior” è arrivato il più giovane e volenteroso Mansueto Scalmazzi.
Nell’autunno scorso il più anziano oltre che carboner, alpino verace,  Pietro Salvotelli è “andato avanti” salutato da tanti amici presenti al suo funerale.
La tradizione continua con Dario e Mansueto.

Come abbiamo spesso raccontato su Vallesabbianews, i preliminari per costruire il “poiat” consistono nel preparare la “jal” uno spiazzo abbastanza capiente per alloggiare e costruire la catasta di legna.
La legna tagliata nel bosco e preparata lì vicino è di varie lunghezze per costruire con essa la forma circolare della catasta.
Non deve mancare la coibentazione della catasta dove servono foglie secche, ora si usa il fieno, la terra per coprire tutto il “poiat”, le “dase” rami di abete per formare una diga alla base della catasta perché rimanga ben fissa.
Si inizia piantando il palo per terra che forma un vuoto, un camino al centro della catasta e quando viene estratto a “poiat” finito nel foro vi si introducono le brace per la sua accensione.

Attorno al palo si costruisce il “castello”, una specie di puzzle di legni corti accatastati e intrecciati che raggiungono la sommità del palo.
Ultimata questa fase, si comincia ad accatastare i pezzi di legna in senso verticale attorno al castello.
Legna che si andrà mano a mano allungando in conformità della circonferenza della catasta e della sua relativa altezza.
Quando a discrezione dei carbonai la catasta è pronta, si procede alla copertura della legna con la guaina ecologica formata una volta dalle foglie che si rimediavano nei boschi dove i carbonai lavoravano, ora Dario e Mansueto usano il fieno che non sfalcia più nessuno.
Finita questa operazione si procede all’interramento del tutto sistemando e comprimendo a dovere la terra sulle foglie e fare in modo che non entri aria nella catasta approntata.
Ultima operazione, la sistemazione della diga di contenimento con rami di abete fissati con paletti di legno per terra, il tutto legato in modo che ora il “poiat” stabile e finito sia pronto per l’accensione.

Con la scala a pioli appoggiata alla catasta interrata il più giovane carbonaio Mansueto sale sulla cima del “poiat” a introdurre le braci che Dario ha preparato per la sua accensione.
Dopo la sua accensione in breve tempo comincia a uscire dalla sommità del “poiat” un pennacchio di fumo dall’odore acre che avvolge l’aria e in base a come soffia il vento si percepisce a distanza che i carbonai hanno dato inizio all’antico rito della cottura del “poiat”.

La combustione della catasta per trasformare la legna in carbone avviene in quasi totale assenza di ossigeno, deve “magotar” come si dice in dialetto, andare a combustione molto lenta.
A questo punto arriva la bravura e la costanza dei carbonai, che devono controllare la catasta giorno e notte: se ci sono falle o cedimenti strutturali del poiat bisogna intervenire subito e se ha fame di legna, bisogna dargli da mangiare imboccandolo dal foro alla sommità dello stesso con pezzi di legna.

Un detto dice che se il carbonaio si addormenta di notte, può dormire anche di giorno perché il poiat è bruciato vanificando giorni e giorni di lavoro.
Il rapporto tra legna e carbone è di uno a cinque: pensate quanta legna ci vuole per fare un quintale di carbone.
Il tempo di cottura del carbone dipende dalla grandezza della catasta di legna e dal suo quintalaggio.
I carbonai in montagna hanno fatto “poiat” di 250 quintali di legna che tra costruzione e cottura ci volevano altre venti giorni per l’estrazione del carbone.

I nostri due carbonai Mansueto e Dario hanno costruito un “poiat” che acceso in questo lunedì mattina, pensano di “cavarlo” di estrarre il carbone giovedì mattina, se ci sono inconvenienti gravi al massimo venerdì mattina. Data la loro esperienza tutto dovrebbe andare bene e l’estrazione del carbone avverrà giovedì mattina.

Estrazione prevede un lavoro lento
dove serve molta attenzione per non scottarsi.
Si comincia ad aprire piano i poiat con il badile e si sparge in carbone incandescente sullo spiazzo della jal restante.
Se si accende qualche focolaio dovuto alla entrata dell’aria nella catasta a questo punto bisogna essere pronti a spegnerli con l’acqua.
Si continua a entrare nell’inferno dantesco del “poiat”, estraendo il carbone e con il rastrello continuando a stenderlo sulla “jal”, perché si raffreddi.
Se il carbone, a detta dei carbonai, è leggero e sbattendolo canta,  emette un suono armonico caratteristico vuol dire che la cottura del “poiat” è perfetta.
Si procede poi al suo insacchettamento e al peso dei sacchi con la bilancia a contro peso.
Operazione finita: no!

Una canzone recita “sei diventa nera, nera come il carbon” uguale per i nostri due carbonai che per levarsi la fuliggine del carbone devono sottoporsi a un bagno superlativo, senza badare a tempo e sapone.
Per chi desidera assistere alla cavata del “poiat”, i nostri due carbonai sono lieti della vostra compagnia, dovete arrivare lassù da loro verso le sette di giovedì mattina in località Plos.

Salendo da Baitoni si arriva ad un tratto pianeggiante della strada di circa duecento metri, in fondo al rettilineo invece di girare a sinistra sulla curva che vi si presenta, a destra c’è la salita della vecchia strada che in un attimo vi porta alla chiesetta di Plos e li ci sono Dario e Mansueto che vi aspettano.

Le foto artistiche allegate all’articolo sono di Attilio Zontini “El Nani da Stor”, che da anni segue gli ultimi carbonai di Bondone, immortalandoli in tutte le fasi del loro lavoro e a tutte le ore di giorno e di notte.

Il video allegato che Capelli Videotecnica ha realizzato con Attilio Zontini contiene una parte di fotografie di don Mansueto Bolognani “El pret dei Carboner”, foto scattale dal 1960 al 1964 in montagna sui tanti monti dove i carbonai lavoravano e dove lui li andava a trovare condividendo il pasto che offrivano generosamente al loro parroco e celebrando per loro la santa messa.

La seconda parte invece sono tutte fotografie del “Nani” Attilio Zontini: foto molto apprezzate nelle sue mostre tenute al castello San Giovanni di Bondone e a Tione al Centro Studi Judicaria.
Un tuffo nel passato e nel presente che fa meditare sul lavoro secolare dei carbonai di Bondone. Lavoro condiviso con le loro eroiche mogli che partorivano in montagna in una misera baita, a volte senza assistenza sanitaria: come dicevano allora i carbonai grazie alla intercezione della Vergine da Bondù nessuno è mai morto dei loro piccoli carboner.

Bravi i bambini che in montagna condividevano il lavoro coi loro genitori.
Negli scatti di don Mansueto sono sempre contenti e gioiosi.
I loro giocattoli: il cane, il gatto, la capretta che bisogna tener bene per il buon latte che dava.

Eran altri tempi, altri momenti dirà qualcuno, ma quella serenità e gioia nei bambini di allora, la troviamo nei nostri figli e nipoti che forse hanno anche il superfluo?
“Grozie carboner, poaret, strazà, faigà, embarbesà sum secur che laso en ciel dal Segnut ti si stà be recompensà”... grazie carbonaio, povero, stanco, stracciato, infuligginato, siam sicuri che lassù in cielo dal Signore sei stato ben ricompensato per il tuo duro lavoro.




video LA STORIA DEI CARBONAI DI BONDONE IN FOTOGRAFIA

Questo e altri video, con maggior risoluzione, su VallesabbianewsTV



foto 1 ACCENSIONE DEL POIAT DA PARTE DI DARIO E MANSUETO
foto 2 DARIO E MANSUETO DANNO DA MANGIARE AL POIAT
foto 3 IL CARBONE E’ COTTO
foto 4 CAVATA DEL CARBONE
foto 5 in fondo alla pagina RICORDANDO IL CARBONAIO PIETRO SALVOTELLI



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