17 Settembre 2023, 09.53
Blog - Genitori e Figli

Emergenza. Consapevolezza, non cultura della punizione

di Giuseppe Maiolo

La parola emergenza spesso viene associata all’urgenza, alla sensazione di pericolo, e alla necessaria immediatezza delle risposte. Viene dal verbo emergere, cioè comparire, manifestarsi, uscire dal sommerso...


...Allude a ciò che non abbiamo avuto modo di vedere per impossibilità oggettive, ma anche per incapacità nostra o distrazione che può essere mancanza di “cura”, o vera e propria trascuratezza.
Non di rado la dimensione dell'emergenza ci mostra in un colpo la sofferenza che alimenta rabbia e violenza di ogni tipo.
Questo è il disagio giovanile che ci sbaraglia soprattutto per l’orgoglio della violenza e delle imprese aberranti.

L’emergenza di fatto ci deve rendere consapevoli delle nostre responsabilità e ci impone domande, interrogativi per capire che il “male” c’era da tempo e non lo abbiamo visto.
Non ci siamo resi conto di quante volte i bambini alla primaria, e già bulli in erba, ci hanno detto di divertirsi offendendo e deridendo “spiegandoci” ma era solo un gioco in cui pure la vittima si diverte. Forse non ci siamo accorti, ma molti di noi hanno taciuto e a volte sorriso, avvalorando la violenza.

Quello che rimane per tanto tempo sotto la sabbia ed emerge apparentemente d’improvviso come rabbia delle gang metropolitane o lo stupro di gruppo evidenzia comportamenti e sessualità primitivi su cui non abbiamo detto nulla a casa come a scuola.

Dire emergenza invece vuol dire riconoscere che l’emerso è ciò che non abbiamo visto, o non voluto vedere, è la carenza di attenzione sulla violenza verbale comunissima, ed è la mancanza di azioni educative e formative.
È la distanza di famiglia e scuola dalle realtà giovanili e quel non sostare sulla vita e sul dolore, il passare sopra gli eventi e ai figli o agli alunni non chiedere mai riflessioni né spingerli a cercare le parole per dire cosa sentono dentro.

Sono queste lontananze che temo autorizzino un decreto emergenziale anacronistico, repressivo e violento come quello di Caivano, incapace di cogliere la realtà di questa generazione e arginare il disagio giovanile.
Penso che la cultura della punizione non possa arginare la violenza perché non si educa con la repressione, men che meno con il carcere minorile come da anni sostiene Don Mazzi che insiste sulla necessità di trovare soluzioni alternative.

E nemmeno serve incolpare i social e togliere lo smartphone ai colpevoli di reato.
È demenziale e illusorio immaginare che il bullismo e il cyberbullismo scompaiano senza attivare la prevenzione che passa per l’educazione e in particolare quella digitale necessaria fin dalla scuola primaria se non dell’infanzia, e insieme la formazione degli adulti di riferimento, quasi completamente analfabeti.

Inaccettabile che un decreto emergenziale non spenda una parola per promuovere progetti di recupero e si accetti che i protagonisti delle violenze, sicuramente responsabili, siano chiamati “bestie” senza che nessuno abbia un sussulto!
 
Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it


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