In attesa del 25 aprile (parte 2)
di Giuseppe Biati

Ed ecco la seconda parte della riflessione di Giuseppe Biati sulla Festa della Liberazione, nella quale si affronta più direttamente il momento che stiamo vivendo



In attesa del 25 aprile (parte 1)
Dossier 20 Aprile 2020

CONTAGIO E CATASTROFE.


Il particolarissimo e difficile momento che stiamo vivendo, di pandemia, non ci esime, però, dal contestualizzare, con la celebrazione del 25 Aprile, alcune considerazioni, esprimere pensieri non certamente scollegati, forse dirompenti rispetto al tipo di società che ci siamo costruiti.
In fondo potrebbe essere un modo per cercare di osservare attentamente “l’opacità del presente vissuto” in cui ci troviamo, quello della “assoluta caducità” di cui parla Theodor W. Adorno, il cui tema ruota attorno al morire.

Da una parte il rischiodi essere contagiati da una malattia e non si sa proprio come sia successo”– ma l’OMS già due anni fa aveva lanciato un allarme di possibili epidemie-pandemie; dall’altra lo scoprirsi indifesi di fronte ad una possibile catastrofe del nostro sistema sanitario – ma non ci si ricorda che nell’ultimo ventennio ci sono stati tagli di spesa, sulla sanità, tra i trenta e i quaranta miliardi di euro, risucchiati dalle varie finanziarie, anno per anno, subiti senza resistenza alcuna, giustificati (si fa per dire) da un tardo tatcherismo  (“non c’è alternativa!”).

Dal decennio di crisi globale da cui proveniamo, non ancora assorbita – anche qui ci siamo scordati dell’analisi del capitalismo come “continua crisi”  e di quella  del “capitalismo  come religione” – transitiamo verso una probabile carneficina sociale al di là di ogni immaginazione, catastrofica, appunto.

INTERROGATIVI E MONITI


È doveroso allora cercare di alzare la testa.
Si pongono degli interrogativi: come reagire nell’improvviso irrompere di qualcosa di oscuro che non si riesce a controllare (il contagio da coronavirus)?
Come ci si può preparare ad un futuro che si preannuncia catastrofico?
Ancora, e più da vicino, “perché tanti morti in Lombardia”

Ma, più in generale, in quell’“immenso deposito di fatiche”, la Pianura Padana, come appariva a Carlo Cattaneo a metà Ottocento.
Giornalisti, esperti, politici, industriali, noi semplici cittadini, sembriamo tutti vittime di un analfabetismo ecologico.
Dove eravamo quando già negli anni Novanta riviste specializzate gettavano l’allarme sulla Lombardia come la Regione più inquinata d’Europa, con stato di polmoni diffusamente compromessi? Nel territorio bresciano (Valle Sabbia compresa, specifichiamo) circa 300 fabbriche erano classificate a rischio, secondo la cosiddetta Legge Seveso. 

Come un’eco da lontano, il monito di Walter Benjamin: “Le rughe e le grinze sul nostro volto sono il biglietto da visita delle grandi passioni, dei vizi, delle conoscenze che passarono da noi – ma noi, i padroni di casa, non c’eravamo”.

Sono, queste considerazioni, frutto di un eccesso di radicalismo?
Essere radicale significa cogliere le cose alle radici. Ma la radice dell’uomo è l’uomo stesso”. Ed Ernst Bloch aggiunge: “La radice dell’uomo è l’uomo che lavora”, nel suo “camminare eretto” con andamento pieno di dignità e di lotta, eredità del secolo dei Lumi: diritto naturale, Illuminismo, Rivoluzione francese.

Purtroppo stanno arrivando i tempi della resa dei conti di una “spoliticizzazione egemonica eretta a prassi politica che pesca senza vergogna nel lessico di libertà, liberalismo, liberalizzazione, deregolamentazione, e tende ad assegnare un potere fatale ai determinismi economici, liberandoli da ogni controllo, e tendenti a sottomettere governi e cittadini alle forze economiche e sociali così liberate”. 

INQUIETUDINI

È, questo, un contesto che inquieta e spinge a riflettere. Sembra di essere nel pieno svolgimento di una tragedia greca: la catastrofe finale, soluzione improvvisa e luttuosa della vicenda, è preparata dalla catastasi, azione scenica che prepara l’esito luttuoso incombente.
Siamo, invece e purtroppo, nell’accadere del nostro attuale quotidiano mondo di vita.

Ci sovrasta quel sentimento anomalo e perturbante
(come direbbe Freud), nella sua duplice veste di normale familiarità e angoscia che inchioda, aspetti unificati quando ad essere contagiati, oggi, da coronavirus, sono il vicino, il conoscente, l’amico, una persona di famiglia, con involontario grottesco compimento: morte in solitudine, funerale fuori da ogni rito comunitario, elaborazione del lutto impedita, ferita aperta in un orizzonte di inquietudine economico-sociale che si preannuncia come piena di ‘lacrime e sangue’, con relativo disorientamento civico-culturale ed etico-politico di lunga durata.

Tutto ciò che era scontato nel nostro vivere gira a vuoto sul posto.
In tale “situazione-limite” si rischia il “silenzio della ragione”.

“Qualcosa manca” nella nostra città. Corriamo il rischio di smarrire lo stesso desiderio di ricercare e finiamo per accontentarci di ciò che c’è.
Tutto, oggi, nell’universo massmediatico, contribuisce alla confusione per sovra-informazione e diffusione di notizie opportunamente create false; il ‘qualunque’ in noi, di fronte alla perdita di controllo insita nella routine, tende in un primo momento a comportarsi come se contagio e catastrofe possibile non lo riguardassero; poi l’incertezza tende a fondersi con la “furia dell’immediatezza”

La  vita come “continuo pulsare”  impedisce che il vissuto  venga sperimentato con riflessione; infine ci si placa nella inevitabile socialità ristretta del “io resto a casa”. Questo sì, purtroppo, senza alternative!

In un mondo dominato dall’ingiustizia, nel quale “non si dà vita vera nella falsa” e dalla “furia del fare” dell’“uomo traboccante di energia”, si finisce per usare la “filosofia dell’interiorità” per coprire la reale “brutalità barbarica” che riduce gli uomini a cose.

O si cambia radicalmente il passo mentale, che richiede critica e autocritica e conseguenti radicali determinazioni logico-oggettive o l’erpice della storia umana, così com’è, taglierà il terreno e rastrellerà indifferentemente terra, sassi, gramigna e prodotto.

Fuor di metafora, sia la cultura elevata che va da sé, sia la realtà automa senza prospettiva, sia i relitti di politiche insensate nella perenne corsa dietro l’emergenza e il consenso determineranno l’eredità disastrosa di un saccheggio del nostro pianeta.

Se ne uscirà con la speranza che si sottrae a questa realtà, negandola, speranza come “utopia concreta” e del “camminare eretti” dell’uomo che lavora connesso e finalizzato ai beni primari della vita, per stare in guardia nell’oggi ’contagio-catastrofe’.

Ben sapendo che:

-  “prima che migliorare, le cose peggiorano” (detto dell’etnia Igbo del Biafra, dove tra il 1967 e il 1970 si consumava uno dei tanti genocidi dimenticati: “il mondo taceva mentre noi morivamo”);
- ”noi torniamo sconfitti, i nostri nipoti combatteranno meglio di noi” (da un canto dei pochi contadini superstiti dopo la carneficina di Frankenhausen, in Germania, nel 1925);
- “bisogna comprendere  criticamente e pretendere l’anticipazione formale della vita giusta” ;
- “nel lontano va dimorando la vita umana”. 

La tensione al possibile migliorabile, mentre sale dal passato, non può smettere di pulsare ritmicamente nell’oggi, negli individui-persone “in grado di guardare fuori dalla prigione del loro sé”. 
Uscire da se stessi implica la consapevolezza della necessità di con-essere, essere con gli altri , un reale “oltrepassare che conosce e attiva la tendenza insita nella storia  in modo che l’esistente non venga né celato, né scavalcato”. 

Si chiama anche coesione sociale!
Si può dire che nell’animo come altrove dappertutto, il presente è gravido dell’avvenire”. 
In noi sta questa virtù generativa: “Poiché siamo initium, nuovi venuti e iniziatori per virtù di nascita, gli uomini prendono l’iniziativa, sono indotti all’azione”. 

In chiusura, in merito al contagio in atto e alle prospettive catastrofiche economico-sociali future, possiamo citare Bertolt Brecht in una lettera che scriveva ad Ernst Bloch (luglio 1935):

“Quando i mondi stanno crollando, bisogna fare assegnamento su qualcosa (….). Sarebbe grandioso se lei lavorasse alla filosofia e indagasse dove è che il pensiero professionale dell’Occidente va a picco, perché tende ad adattarsi a situazioni economiche e politiche non più sostenibili”. Bloch si disse d’accordo.
È giusto che ognuno entri nella mischia e dia il contributo che sa dare, anche se il compito è arduo.
Occorre una “nuova logica” che dia forma e direzione.
A volte, “quello che deve essere visto occorre ruotarlo davanti a noi… al tempo stesso in alto”.


Aprile 2020
Giuseppe Biati

.ogni citazione, nel testo originario, è corredata da relativa nota. Il sistema di immissione testi qui non ci permette di rispettarlo. Ce ne scusiamo con l'autore e con i lettori (Val)


200418Liberazione.jpg