15 Aprile 2014, 07.50
Terza pagina

Il vero relativismo 1.2

di Dru

Nel vero relativismo 1.1 ho detto che: chi oggi combatte il relativismo sbaglia se crede di avere a che fare con quel relativismo che non sa andare oltre la canzoncina...


...d'organetto del "Dio è morto", quel bigottismo laico che non ha nulla di più da dare del bigottismo della chiesa.
Chi obietta il relativismo non deve fare i conti con il relativismo debole che nega alla verità di raggiungere uno statuto stabile, per altro appoggiando questo dire su una verità stabile, il relativismo è di più,  é cosa più profonda, cosa che vince per davvero le verità stabili e incontrovertibili.
Avevo infine indicato la dimensione dell'opposizione tra senso comune e filosofia per indicare i piani di discussione sul relativismo e portare la discussione sul vero relativismo.

1.2
Qui è sempre Severino a parlare continuando il discorso che abbiamo lasciato in sospeso...
"Questa dimensione problematica pone la filosofia nello sguardo di chi non è che non veda la posizione del senso comune, ma di chi vede la non verità assoluta di ciò che il senso comune vede come verità assoluta.

Per il relativismo noi siamo dati nel divenire.

Non è possibile per la filosofia avere nemici perché il senso che la filosofia ha evocato dell'oggetto, del che, del qualcosa, della cosa, dell'evento, quel concetto rimane alla base di qualsiasi atteggiamento teorico pratico dell'Occidente e ormai dell'intero pianeta.

Non è possibile pensare ad un nemico della filosofia se la filosofia ha evocato il significato base su cui si sono edificati tutti i significati utilizzati da quel tipo di sapere che anche crede di non aver nulla a che fare con la filosofia.

Certo ci può essere un individuo che ha poche cognizioni, che non riflette che esiste perché esiste la sua circolazione sanguigna.
Però esiste perché esiste la sua circolazione sanguigna.
A parole può essere nemico della circolazione sanguigna, ma di fatto esiste perché esiste la circolazione sanguigna.

E che cosa è la circolazione sanguigna fuor di metafora?
E' appunto il senso che i Greci hanno dato del "qualche cosa", dell'evento, dei numeri, della matematica, dell'io, perché anche noi siamo una cosa.

Alla radice di ogni modo di pensare, in ogni modo di agire, sta lì, ecco, nell'intorno di quel senso, quale senso la filosofia ha indicato della cosa.

I Greci chiamano la cosa Ente.

Il senso greco dell'Ente sta alla radice di ogni scienza, di ogni pratica, di ogni filosofia successiva, di ogni specializzazione scientifica, anche se ognuna di queste dimensioni non riflette esplicitamente sul senso dell'esser Ente.
Lo diceva in maniera chiara lo stesso Aristotele: solo la filosofia prima può evocare il senso  dell'ente in quanto ente, le altre discipline non si arrischiano a domandare  dell'ente in quanto ente, ma dell'ente in quanto in certo modo determinato, come numero, come fisicità, come società, come psichicità.

Allora se teniamo fermo questo e cioè che il pensiero filosofico è la circolazione sanguigna dell'Occidente, se ne renda l'Occidente più o meno conto, allora quando si polemizza contro il relativismo, chi lo fa deve fare i conti con lo sviluppo che il senso greco dell'esser cosa ha avuto lungo la storia dell'occidente, cioè deve fare i conti con il significato che la  cosa come quell'Ente ha avuto lungo la storia dell'Occidente.

C'è una parola in Greco evocata da Platone per dare il senso della cosa ed è Epanfoterizein, che vuol dire oscillare della cosa tra l'essere e il non-essere.

Sarà un mito il Big-Bang, però penso che la scienza ritenga che gli eventi attualmente considerati dalle discipline scientifiche, prima, in un passato lontano non erano, cioè in qualche modo per quanto la loro specificità erano un niente e che poi in quanto per la loro specificità torneranno ad essere un niente.

Questo senso compare addirittura nelle discipline formali matematiche, perché là, dove le discipline formali matematiche hanno abbandonato il platonismo matematico e considerano  l'esser ente come un prodotto, un inventato e non un trovato, allora anche la dimensione numerica ha uno sviluppo  come un uscire dal niente e un ritornare nel niente come gli oggetti fisici.

Ebbene qual è lo sviluppo del senso della cosa che porta al vero relativismo col quale si deve fare i conti?

Uno, il pensiero filosofico è la circolazione sanguigna nel senso che porta alla luce quel significato all'interno del quale cadono tutti i significati più o meno sofisticati del sapere scientifico della prassi, del sapere artistico, ecc..

Secondo: questo significato è l'epanfoterizein, l'oscillare delle cose dall'essere al non-essere da parte delle cose.
Anche i protoni come le società oscillano tra il loro non essere stati, il loro esser stati nulla e il loro tornare ad esser nulla.

Questo è il tratto permanete lungo la storia dell'occidente."

(segue, non distraetevi...)



Commenti:
ID43678 - 17/04/2014 11:10:21 - (Leretico) - Le forme del relativismo

Ci sono molte forme di relativismo. Quello di cui la Chiesa si preoccupa è forse il meno pericoloso perché è facilmente obiettabile. Gli si può contrapporre, come bene stai spiegando in questi ultimi articoli, un'argomentazione logica semplice. A chi dice infatti che non esiste alcuna verità oppure che ne esistono tante, tutte valide, si può rispondere chiedendo se intende affermare una verità. Se la risposta di questo qualcuno fosse positiva allora cadrebbe la tesi che esistono numerose verità o nessuna, se la risposta fosse negativa allora ci sarebbe la conferma che esiste una sola verità. Il passaggio logico che qui si è operato è una classica confutazione basata sul principio di non contraddizione. L'ulteriore passaggio che tu proponi, anzi Severino propone, è una denuncia: guardate, intende Sevrino, che il vero relativismo è più in profondità. E' il credere nel diventar altro

ID43679 - 17/04/2014 11:18:24 - (Leretico) - continua

delle cose. Anche chi rispondesse al relativismo come sopra, non potrebbe evitare il relativismo generale più profondo che deriva dall'avere fede che le cose vengono dal nulla e vi ritornano. Da quanto detto da Severino, sembrerebbe la nostra vita destinata all'eterna contraddizione del relativismo, anche perché non potremmo comunque uscirne, anche volendo. Soprattutto perché è proprio il volere a non funzionare, a non poter raggiungere lo scopo che si prefigge. E ricordo, a maggior supporto di questa conclusione, che è vero che per Severino la contraddizione tende a risolversi via via, ma che resta comunque infinita. Ora, per me il senso della parola infinito è chiaro. Significa che il relativismo derivante dalla fede nel diventar altro non è destinata a scomparire, a tramontare, perché infinita, appunto. Perché se invece si intendesse ugualmente che tramonterà, allora bisogna che mi si spieghi il nuovo senso della

ID43680 - 17/04/2014 11:18:44 - (Leretico) - continua

parola infinito.

ID43693 - 17/04/2014 16:30:35 - (Dru) - uscirne

richiede un ritorno a Parmenide, ma non per seguir la strada della contraddizione dell'essere, che, come dice lo Heidegger, è posto come il tesoro a cui gli uomini guardano e per cui si dispongono a difenderne le insidie del nulla, perchè l'essere non ha bisogno di essere né guardato né difeso da alcun Dio o da alcun Uomo. Comunque bene il riassunto che sarebbe potuto risultare banale, ma non lo è. La contraddizione tende a risolversi nell'infinito, ma se noi siamo già l'infinito, la contraddizione in questo è già da sempre risolta.

ID43694 - 17/04/2014 16:34:34 - (Dru) - quindi

la contraddizione è sempre più convergente nell'antitesi e nella tesi rispetto alla sua sintesi, l'infinito, lo spirito, ma questa tensione è potenza che rimette la tesi (la strada della notte) all'antitesi (la strada del giorno) per una sintesi che quieta la tensione o l'inquietudine prodotta da questa contraddizione.

ID43696 - 17/04/2014 16:50:52 - (Dru) - in altre parole

la tesi è che il mondo è in divenire, dove le cose si muovono perché mutano il loro essere, decadono, accadono, sono effimere, storicizzate e escono e rientrano dal nulla, il loro essere è fin tanto che è, ma può (possibilità) non essere. L'antitesi parla di un essere che non può non essere, pena la contraddizione, pena l'oblio del fondamento di ogni pensiero, che risulterebbe folle, la metafisica è per questo che ha fondato l'ente eterno, per superare la contraddizione di un divenire che deve confermare un prima diverso di un adesso e di un adesso diverso dal poi, ma si è portata, la metafisica nel luogo più lontano e forte della contraddizione e così si è distrutta, è stata dominata da ciò che ha partorito, la fisica appunto. La sintesi è il risolvimento, il completamento, il riempimento, la soddisfazione, dell'apparire dell'essente, quell'infinito che dice alla tesi e

ID43705 - 17/04/2014 20:51:41 - (Dru) -

all'antitesi come il finito che si completano all'infinito.

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