Uccidere i figli e togliersi la vita è un gesto che ti appare mostruoso, inconcepibile, innaturale e contrario all’idea che abbiamo delle madri che i figli li mettono al mondo e li fanno crescere.
Allora scomodiamo la follia improvvisa e il raptus perché non crediamo possa esserci altra spiegazione se non la pazzia esplosiva, quella che non si annuncia con gesti e parole disturbate. Ma non è così. Mai. O quasi.
Marisa Charrère di Aosta, ha ucciso i suoi due figli e si è uccisa narrando, seppur con poche, pochissime parole, la sua infelicità, denunciando il suo dolore e quell’incapacità di vivere che le ha tolto la forza lasciandole la disperazione.
Ha posto fine alla sua esistenza con una sorta di “lucida follia”, quella che appartiene alla sofferenza spesso non detta o inascoltata e dove il silenzio ha sostituito le parole per un tempo infinito. Perché ogni volta, la cronaca che raccoglie quei frammenti di vita attraverso le sfilacciate testimonianze dei vicini, ti sorprende per l’assenza di un pur minimo sospetto di disagio. Nessuno mai se lo sarebbe aspettato, nessuno avrebbe potuto dire in anticipo un tormento del pensiero o un dolore reso manifesto da una qualche parola dolente.
Tutto prima è silenzio, è vita normale, in apparenza quotidiana e comune. Ma spesso è assenza di comunicazione o vuoto di emozioni da condividere perché restano interne, nascoste nelle pieghe dell’anima in quanto non sanno e non possono essere pronunciate o rese comuni.
Eppure in questo genere di fatti spaventosi, quando le donne uccidono e le madri sopprimono i loro figli, c’è di solito un progetto lungo, pensato, meditato, consapevole. Il mito di Medea ci insegna che il figlicidio non è un atto casuale e improvviso. Ha dentro di sé razionalità e passione, rabbia, vendetta ma paradossalmente, anche amore. Quello che illusoriamente la madre omicida ritiene possa servire per salvare i figli dalle brutture della vita. Una sorta di spaventoso e devastante masochismo che nello stesso tempo è affermazione di una dignità femminile offesa e lacerata.
Non so e non sapremo mai nulla di quello che è veramente accaduto dentro l’anima di questa donna, ma chiediamoci se quel dolore profondo che ha guidato quei gesti estremi, precisi e definitivi, per noi incomprensibili, non sia il segno di una indicibile sofferenza che non ha potuto prendere forma visibile ed è rimasto silenzioso e taciuto in quanto stiamo abitando un mondo troppo rumoroso e vociante che non sa ascoltare e dove regna sovrana l’indifferenza e la distanza delle parole che possono aiutare e salvare.
Ci sono storie che si raccontano e altre, spesso quelle che parlano di prevaricazioni e violenze, che vengono tenute nascoste sotto il velo perverso dell’omertà. VIDEO
La memoria è un magazzino, una sorta di “luogo” fisico di strutture nervose dove si accumulano esperienze e ricordi, storie e fatti del passato che appartengono a noi stessi o ad altri...
Le immagini delle maestre che maltrattano i bambini mettono in evidenza, una volta di più, come la violenza sui minori sia ancora una vergognosa piaga sociale
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Le frustrazioni, i rimproveri, le limitazioni e anche le punizioni servono, hanno la loro funzione: quella di far sapere al bambino ciò che è bene e ciò che è male, quello che si può e quello che non si può fare
“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Questa frase, ripetuta spesso per definire chi è volutamente distratto e sentita e in particolare dalle madri che lamentano di non essere ascoltate dai figli, non è solo un’impressione, è una verità
Se sai che una ragazza di 23 anni è andata a fare volontariato in Africa per occuparsi di bambini in un progetto di cooperazione internazionale, dovresti rivedere immediatamente tutte le idee negative che puoi avere sui giovani e sulla loro indifferenza
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Se vieni a sapere che un gruppo di adolescenti in un Istituto superiore della Brianza scaglia contro la propria insegnante oggetti vari e finanche sedie, ti domandi cosa sta accadendo a scuola.