19 Aprile 2024, 08.35
Eco del Perlasca

L'attesa

di Martina Cattane

Tutti noi abbiamo familiarità con l'attesa. Solitamente non la vediamo di buon occhio e, se fosse possibile accorciare i tempi per ottenere una determinata cosa, immagino che nessuno di noi si tirerebbe indietro. Ma l'attesa non potrebbe avere anche degli aspetti positivi?


Praticamente ogni essere umano prova, almeno una volta nella vita, la sensazione snervante causata dall'attesa.
Che sia una coda alla cassa di un supermercato, fuori da uno studio medico, in un parco dei divertimenti o lungo la strada che stiamo percorrendo, ciò che proviamo è sempre uguale: la fatale percezione che le ore della nostra vita stiano scivolando via senza essere state sfruttate correttamente, che qualcuno stia rubando il nostro tempo.

In passato, le cose erano diverse: il ritmo della vita era più lento, c'erano più momenti in cui ci si poteva semplicemente fermare e pensare.
Certo, molte persone erano costrette a lavorare duramente per sopravvivere, ma, giusto per fare un esempio, gli spostamenti inevitabilmente più lenti fornivano a chiunque il tempo necessario a far funzionare la propria mente.

Se nessuno, in passato, si fosse preso del tempo per osservare il mondo e cercare di comprenderlo, oggi non avremmo tutte le comodità e le conoscenze che gli studi, ma soprattutto le domande, di queste persone ci hanno donato.
Ma, ironia della sorte, sono stati proprio questi progressi a portarci a cercare di cancellare completamente i "tempi morti".

Oggi i dispositivi elettronici ci fanno credere che sia possibile eliminare qualunque tipo di attesa: se vogliamo chiedere qualcosa a qualcuno gli mandiamo un messaggio e ci aspettiamo una risposta immediata; quando ordiniamo qualcosa online pretendiamo che arrivi il giorno successivo; se ci serve sapere il significato di una parola la cerchiamo in Internet e otteniamo immediatamente la risposta.

Con gli anni ci siamo illusi di non dover più aspettare e così, quando succede, non facciamo altro che innervosirci e lamentarci del "tempo perso".
Quando tutto ciò che possiamo fare è aspettare, la nostra mente comincia a rivolgersi al futuro più prossimo, a quello che faremo dopo e a quello che avremmo potuto fare in quel momento se non fossimo stati costretti ad usare una pazienza poco allenata, che stiamo pian piano dimenticando di avere.

Eppure, basterebbe così poco per non annoiarsi.
Dovremmo imparare a vedere l'attesa come del tempo che ci viene donato per preoccuparci di ciò che succede intorno a noi.

Nella società moderna, contraddistinta dalla fretta e dall'industrializzazione, che ci incita ad accelerare per produrre e consumare sempre di più, non c'è posto per chi vuole fermarsi a pensare.
Siamo abituati a correre da una parte all'altra per la maggior parte del tempo: si va a scuola o al lavoro, si fanno i compiti, si fa sport, ci si prende cura dei propri figli o della propria casa e così via.

La maggior parte delle persone non ha dubbi, non si pone domande, non ha tempo per occuparsi di ciò che succede nel mondo, né tantomeno per cercare soluzioni per migliorarlo.
Siamo tutti talmente assorbiti dai nostri problemi quotidiani, così concentrati a portare a termine assegnazioni di solito imposteci da altri, che fatichiamo ad occuparci anche di ciò che avviene fuori dalle nostre quattro mura.

Il punto è che il miglior modo per governare un popolo è far sì che non pensi e i modi per raggiungere questo obiettivo sono principalmente due: dargli tutto ciò di cui ha bisogno (il classico panem et circenses) o fare in modo che sia troppo impegnato per fermarsi a riflettere.

Non voglio insinuare che qualcuno potrebbe cercare di instaurare un regime totalitario sfruttando la freneticità del nostro secolo, ma è inevitabile che ai potenti del mondo faccia comodo una popolazione che non pensa.

L'articolo 21 della nostra Costituzione proclama la libertà di pensiero, che siamo abituati a vedere come un diritto inalienabile: se una persona dovesse prendere il potere e vietare apertamente il libero pensiero, credo (e spero) che tutti si ribellerebbero a questa ingiustizia, mettendo fine alla tirannia ancora prima che cominci.

Ma se ciò che ci venisse tolto non fosse il diritto di pensare, bensì il tempo per farlo? 
E se ci fosse tolto gradualmente, con l'avanzare dell'industrializzazione e del progresso? 

C'è chi potrebbe dire che la tecnologia, abbreviando il tempo di esecuzione di alcune cose, non abbia fatto altro che donarci più tempo libero.
Invece, il ritmo veloce della vita fa sì che le cose da fare siano aumentate e che il "tempo libero" sia stato riempito con qualcos'altro, con qualcosa che ci tenesse impegnati per non farci annoiare, per non farci aspettare.

L’apparente noia, legata all'attesa
, ci permetterebbe di ragionare, di sviluppare un nostro pensiero critico o di giungere a conclusioni nuove su certi argomenti. Ma purtroppo siamo sempre troppo impegnati…

"Il cervello: se lo coltivi funziona, se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare" Rita Levi-Montalcini

Martina Cattane, 4^ A Liceo scientifico





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