10 Maggio 2016, 07.55
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Insieme è meglio

di Valerio Corradi

La cura autogestita dei beni comuni è una caratteristica radicata anche in Valle Sabbia. Una tradizione che rischia però di scomparire a favore di gestioni private oppure deresponsabilizzanti per il cittadino come quelle delegate agli enti pubblici


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In alcune aree della Valle Sabbia, come in altre località della fascia prealpina e alpina, spesso in maniera nascosta e nella inconsapevolezza delle stesse persone coinvolte, sopravvivono ancora (in alcune situazioni) forme di auto-gestione e cura di tipo comunitario delle risorse naturali.
Si tratta di un retaggio della tradizione agricola e pastorale che ha consentito, per secoli, l’utilizzo sostenibile di tali risorse e che si basa su aspetti relazionali improntati alla fiducia, all’impegno reciproco e alla solidarietà.

Sono molti gli esempi di beni comuni autogestiti arrivati fino a noi.
Il torrente d’acqua che consente di irrigare più appezzamenti, il piccolo stagno in quota utilizzato per abbeverare il bestiame, la malga nella quale far pascolare gli animali, la capezzagna al servizio di più terreni coltivabili, il sentiero che collega alcune colline, il bosco da cui trarre legname sono solo alcuni esempi di risorse giunte fino a noi e fino a pochi anni fa (in alcuno contesti ancora oggi) gestite tacitamente e in modo collettivo dagli utilizzatori locali nella convinzione che fosse interesse di tutti ostacolare la loro erosione e garantire il loro utilizzo nel tempo.

Col tempo le forme di cooperazione volontaria hanno poi riguardato anche beni comuni presenti nell’ambiente urbanizzato si pensi alla realizzazione comunitaria, in passato, di edifici collettivi, chiese, piazzali, muri oltre che di monumenti e più di recente di parchi o aree attrezzate che hanno beneficiato della partecipazione diretta di reti locali di persone in una logica disinteressata orientata al bene dell’intera comunità.

Questa attenzione comunitaria ai beni comuni, lungi dall’essere una pratica antiquata da rimuovere, è alla base di modelli di micro-cooperazione provenienti dal passato che possono insegnare ancora oggi l’importanza del legame col territorio e il valore del “prendersi cura” collettivo di risorse e di beni che, al di là degli aspetti giuridici, sono di tutti e che come tali interpellano l’intera comunità.

Tuttavia,
in tempi di allentamento della stessa coesione sociale locale, viene da chiedersi se queste e altre forme di gestione cooperativa volontaria di beni comuni naturali e artificiali sapranno ancora sopravvivere nel prossimo futuro e coinvolgere un numero crescente di persone oppure se si assisterà a una involuzione segnata, da una parte dalla chiusura esclusiva nei beni privati e dall’altra parte da forme di delega all’ente pubblico tanto comode quanto deresponsabilizzanti per il cittadino.




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