02 Maggio 2022, 16.10
Anfo Valsabbia
Il racconto

Gli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale nei ricordi di Andrea Bonardi «el Berto» di Anfo

di Gianpaolo Capelli



La mia conoscenza di Andrea Bonardi, per tutti ad Anfo “El Bertoâ€, risale ad alcuni anni fa quando con lo scomparso Angelo Cimarolli di Baitoni scrivemmo della sua vita di pescatore sul lago di Idro, dalla sua fanciullezza passata anche a Baitoni, del suo lavoro di pescatore fino all'inizio degli anni Cinquanta, quando smise l'attività, quando il lago d’Idro, colpito da inquinamenti di ogni genere, da molto pescoso non dava più da vivere alle sue famiglie.

Andrea, classe 1927, è ancora in forma perfetta, va ancora in macchina con la sua signora, ha una mente lucidissima e quello che racconta è circostanziato, preciso senza sbavature.

Nel mio incontro di fine aprile nella sua casa di Anfo per riprendere le notizie da lui scritte su “Anfo racconta†di alcuni anni fa sugli ultimi giorni di guerra dell'aprile del 1945 ad Anfo ma in generale sul lago di Idro da Baitoni fino a Idro paese, egli ci tiene a rimarcare che lui solo in quei giorni poteva muoversi sul lago e tutto quanto racconta è di prima mano senza intermediari.

In zona c'era il coprifuoco dovuto alla ritirata delle truppe tedesche e all'avanzare degli americani con la liberazione del 25 aprile 1945. Nessuno poteva muoversi.
Ecco la sua dichiarazione:
“In quei ultimi giorni di aprile del 1945 tutti erano chiusi in casa ed io potendo muovermi con la mia barca sul lago osservando tutto quello che capitava sui paesi rivieraschi.
Da Vesta dove abitavano i miei nonni con il binocolo osservavo i vari spostamenti delle truppe i movimenti dei partigiani ed è tutto impresso nella mia mente come le tutto fosse appena capitato.
Nessun storico di allora può raccontare quello che ho visto e vissuto, perché nessuno come me era sul luogo e può descrivere gli avvenimenti di alloraâ€.


A questo punto non posso far altro che cedere la penna ad Andrea per il suo racconto della cronistoria di allora (tratto da “Anfo raccontaâ€).


Anfo, giovedì 26 aprile 1945
In paese, fino a sera, regnava la calma più assoluta, un silenzio irreale e inquietante foriero di eventi imprevedibili. Durante la nottata precedente c'era stato il passaggio ininterrotto di mezzi militari tedeschi di ogni specie, tra cui cinque pezzi di artiglieria pesante appartenenti all'ultima colonna tedesca che, entrata a Tormini, era riuscita a risalire la Valle Sabbia. Il giorno successivo si era accampata a sud di Ponte Caffaro. Cinque cannoni erano stati posizionati in via di Mezzo pronti per sparare, all'occorrenza, in direzione della Rocca d'Anfo.

Anfo, venerdì 27 aprile 1945
Ero un ragazzo di 18 anni ed ero animato da una naturale curiosità. Avevo così deciso, durante la mattinata, di scendere in strada a dare un'occhiata. Sulla statale non transitava nessun mezzo e non si vedeva alcuna anima vivente. Le porte e le ante delle abitazioni, soprattutto quelle più vicine alla strada, erano ermeticamente chiuse. Regnava la stessa atmosfera surreale del giorno precedente.

Ad un tratto, dal tresandel del Generale, ecco salire verso di me un militare tedesco. Aveva in mano un fucile mitragliatore, alcune bombe a mano in cintola e un bazooka a tracolla. Un "uomo - carro armato"! Pensai in quell'istante. In un attimo ci trovammo a 5-6 metri di distanza e ci guardammo in volto. Lui si avvicinava alla ringhiera del ponte con gli occhi puntati in direzione delle finestre delle case circostanti e del monte. Io, a mia volta, mi feci più vicino. Non doveva avere più di 17 anni. Mi guardò, evidentemente rassicurato, perché diminuiva il pericolo che qualcuno gli sparasse, vista la mia presenza. Mi chiese, invece, con una certa apprensione "partisan? partisan?" "No, tranquillo", lo rassicurai. Lui, sollevato dall'ansia che lo attanagliava in quel momento, mi disse: "Oggi tutti via! Più Italia!"

Quel mattino due ragazzi uguali, un tedesco e un italiano, si erano trovati uno di fronte all'altro, soli, "di nessuno" e sul territorio di nessuno, in quel clima di instabilità e incertezza che si viene sempre a creare dopo le svolte determinanti della storia. Dopo poco l'incantesimo si ruppe. Dal "tresandel", passaggio vicino al torrente che passa in mezzo al paese, apparvero un'ambulanza ed un camioncino con altri militari tedeschi. Il ragazzo, con un balzo, salì sopra e tutti agitarono le mani verso di me per un ultimo saluto. Allontanatosi il rombo del motore, di nuovo il nulla, il silenzio si fece assordante e ritornò la calma. Era finalmente giunto il termine di un incubo durato quattro anni.

Anfo, sabato 28 aprile 1945
Alle sette circa del mattino ero uscito in paese per rendermi conto della situazione. Le finestre erano aperte. La gente incominciava ad uscire e la situazione appariva tranquilla. Sulla strada il traffico era completamente assente. Da "Radio Scarpa" (ovvero da coloro che portavano novità provenendo dai paesi vicini), tuttavia, arrivavano notizie inquietanti e impreviste rispetto al giorno precedente. In Carpenea e S.Antonio c'erano ancora movimenti di truppe e la colonna accampata a Caffaro non era ancora ripartita per il Trentino. Alla Pieve di Idro era accampato un reparto del Genio Guastatori che aveva già fatto saltare il ponte di Lavenone e la rupe in località Ruine. Eravamo completamente isolati, nella terra di nessuno e tra due fuochi. Questa, dunque, la situazione ad Anfo al mattino. Ma, si sapeva, che in questi frangenti, ogni ora che passava, la situazione si poteva capovolgere.

Verso le otto, avevo lasciato il paese per andare in Vesta dai nonni paterni, portare loro alcune cose necessarie e vedere come stavano. Ero
salito, dunque, in barca e mi accingevo ad attraversare il lago. Ad un centinaio di metri dalla riva, avevo iniziato a sentire, in direzione della Rocca alta, dei colpi isolati di fucile 91: si trattava, probabilmente, di un cecchino che sparava contro i Tedeschi che ancora occupavano Carpenea. Dopo un'ora ero arrivato alla cascina dei nonni che si trovava, proprio, di fronte alla Rocca. Da Radio Scarpa erano giunte, nel frattempo, novità. Dopo una battaglia con morti e feriti da entrambe le parti, i partigiani avevano costretto alla resa il reparto tedesco Guastatori. Il pericolo da sud era scongiurato.

Verso Caffaro, invece, la situazione andava peggiorando. Il compito di far saltare la Rocca, che doveva essere del Reparto Guastatori, era passato alla colonna di Caffaro, che si stava apprestando ad eseguirlo. Forse, nel dubbio, che chi sparava da Rocca alta non fosse un cecchino, ma un gruppo organizzato di partigiani, aveva indotto i tedeschi a preparare l'assalto alla Rocca come una classica azione di guerra. Ecco lo schieramento e la successiva azione che ero riuscito a seguire con un vecchio cannocchiale. I cannoni, piazzati a Caffaro, avevano cominciato a martellare di granate le batterie della Rocca. Un cannone di piccolo calibro, piazzato nei pressi dell'Albergo S. Antonio, sparava sempre in direzione delle batterie. Sopra la cascina "Legrie" una mitragliera, di grosso calibro, tipo antiaerea, ogni tanto, sparava una raffica. Più avanti, nei pressi della cascina "Zanot" (ora Zoia), si sentiva il crepitare di altre due mitragliatrici leggere.

Questo era lo schieramento che faceva da copertura ad un gruppo d'assalto di circa trenta uomini, scesi da un camion, in località "Curva delle pose", sotto l'attuale cascina "Rosì". Da lì, in fila indiana, protetti dal muro di sostegno della strada, li vedevo spostarsi rapidamente verso il ponte dell'Avanzata dove si erano divisi in due gruppi.

La metà di loro si era inoltrata nel canalone di roccia che sale verso la Rocca alta e quindi non riuscivo più a vederli. L'altra parte, sempre protetta dal muro della strada, aveva raggiunto la Batteria Statuto. Da quel momento ebbe inizio un'altra fase. Il cecchino o i cecchini non sparavano più già da un po' e i tedeschi, probabilmente, si erano resi conto che non c'era nessuna resistenza. Tacquero, dunque, tutte le armi, piazzate lungo il tragitto e si dedicarono solo ai preparativi per far saltare la Batteria Statuto che si trovava sulla strada. Alle undici circa, da nord, vidi arrivare un autocarro con l'esplosivo. I militari lo scaricarono e li vidi posizionarlo sotto il tunnel della Batteria, dove passava la strada.

Finita l'operazione, si erano ritirati tutti a distanza di sicurezza dietro il dosso dell'Avanzata, all'inizio della strada dei Casali. Passati pochi minuti, avevo visto uscire due grandi fiammate ai lati del tunnel e tutto era rimasto come prima. Avevo gridato entusiasta "Nonno, hanno fatto cilecca!" Forse l'esplosivo era stato sistemato male o era troppo poco. Mi ero chiesto "Rinunceranno o ritenteranno?"

Comunque l'impresa non era stata per loro difficile, perché erano disturbati solo da qualche proiettile di mortaio che i partigini di Capovalle avevano piazzato a Mandoal e con cui tentavano di colpire l'autocarro, carico di esplosivo, dei tedeschi. Ma, considerata la distanza e il tipo di tiro parabolico dell'arma, erano quasi nulle le probabilità di colpire il bersaglio. E così, da bravi tedeschi, non avevano mollato e, dopo circa due ore, erano arrivati con un altro autocarro carico di esplosivo, avevano ripetuto tutta l'operazione precedente, poi si erano ritirati a distanza di sicurezza e avevano premuto il bottone. Questa volta una colonna di fumo nero e polvere era salita in alto per circa una ventina di metri per posarsi, infine, su un mucchio di macerie. E così, anche lì la strada era interrotta. Li avevo osservati salire tutti sull'autocarro e smobilitare tutte le postazioni verso Caffaro.

Durante la notte avevano battuto la ritirata verso Trento dove, però, erano già stati preceduti dagli Alleati e, quindi bloccati. Dopo tre giorni di anarchia e tanto pericolo, purtroppo, non poteva mancare qualche vittima. Giovanni Liberini, la cui cascina era a poca distanza dalla Fortezza, anche quel mattino, forse non rendendosi conto della situazione, era uscito per il lavoro ed era stato colpito dai proiettili delle armi di copertura. La lapide è visibile, ancora oggi, a lato della statale, a pochi metri dalla vecchia garitta del corpo di guardia.

In foto:
1 Andrea Bonardi  
2 Il piccolo Andrea nel 1932 sulla barca con i genitori
3 Anni 50 si veleggia sul lago di Idro  
4 Il tunnel nei pressi della Rocca di Anfo prima che fosse fatto saltare dai tedeschi (foto presa da Anfo racconta)




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