11 Novembre 2023, 08.00
Valsabbia
Lettere al Direttore

Il valore della vita

di Encio

Riceviamo e pubblichiamo la seguente riflessione in merito ai fatti di cronaca recentemente accaduti riguardo ai casi di Sibilla Barbieri e Indi Gregory


Ma che valore ha la vita? E’ la domanda che sorge spontanea dal confronto di due recentissimi fatti di cronaca: il caso di Sibilla Barbieri e quello Indi Gregory.

E’ sempre molto complicato entrare nel merito di queste problematiche senza rischiare di farsi condizionare da etica e religione, ma provando solo a ragionare in una logica di confronto, senza prendere posizione, emergono palesi contraddizioni che non permettono di rispondere alla domanda.

Infatti, in un caso ci troviamo
di fronte alla risoluta volontà di morire e dall’altra all’altrettanto risoluta volontà di vivere: com’è possibile?

In ambedue i casi, tuttavia,
si può riscontrare una vacanza del nostro sistema giuridico e, quindi, di quello politico. Infatti, da una parte, la Barbieri chiede come sia possibile che un cittadino non possa disporre della propria vita consentendogli di morire a casa propria, senza dover andare in Svizzera (spendendo soldi che molti non si potrebbero permettere di spendere), se lo desidera fermamente, e , dall'altra, nel caso Gregory, il Consiglio dei Ministri approva addirittura un provvedimento d’urgenza per riconoscere la cittadinanza italiana alla neonata affinché possa essere operata in Italia, visto che i medici italiani, contrariamente a quelli inglesi, hanno dato speranza alla sua famiglia. Questione etica o politica?

Questi due casi,
ai quali si sta dando così tanto rilievo, scompaiono letteralmente se si pensa invece alle migliaia di bambini palestinesi che stanno morendo sotto le bombe incolpevolmente. Ma questa è questione di politica internazionale, di odio incancrenito, di ritorsioni nelle quali il senso di giustizia, di pietà, di semplice buon senso che si richiede normalmente alla gente comune che abbia un’etica o una religione non vale per le Nazioni.

La Von der Leyen dice addirittura
che è sempre colpa di Hamas, che usa i civili da scudi umani, lasciando intendere che si tratta di “danni collaterali” perchè, ovviamente, le bombe israeliane sanno distinguere un miliziano da un civile e se non riescono a farlo è sempre colpa di chi ha scatenato la ritorsione. Che logica caritatevole e super partes!

Ma anche questi eccidi di massa (compreso quello di Hamas a carico degli israeliani) sembrano avere una valenza diversa: cioè non è la stessa cosa se muoiono donne e bambini ebrei, ucraini o palestinesi. Di fronte alla pietà è proprio così necessario andare a ricercare colpe?

Direi di no, prova ne sia quanto è accaduto (o stava per accadere) durante il Covid, quando le maschere d’ossigeno non bastavano e pure la disponibilità di vaccini: in Svizzera l’Autorità sanitaria aveva già diffuso un vademecum alle proprie strutture secondo il quale, se si doveva salvare una vita, bisognava salvare quella del più giovane, sacrificando l’anziano (in Italia, ufficialmente, nulla di simile, ma, nei fatti era la stessa cosa).

In tal caso non ci sono colpe
ma l’essere umano diventa un’entità sacrificabile a seguito di un semplice giudizio di opportunità (aspettativa di vita, nulla di più “oggettivo”, appunto, come se fossimo oggetti senza passioni, emozioni, umanità!). E allora ritorno alla domanda: quanto vale una vita?



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