19 Dicembre 2019, 13.24
Filosoficherie

Il Natale per Bariona

di Pseudosofos

Una storia d’auguri di buon Natale dedicata a tutti i valsabbini ed, in particolare, agli studenti e ai docenti dell’Istituto Perlasca. Che la storia di Bariona sia di ispirazione nei giorni in cui, in teoria, dovremmo essere tutti più buoni e felici.


Il sig. Raniero, Antonio, Sigfrido, Laurence Busacchi era un valsabbino immigrato, conosciuto da tutti come il “Busac”.
A prima vista, non avrebbe destato di certo l’attenzione delle persone. Di statura piuttosto bassa e con una corporatura esile, portava vestiti eleganti ma che non gli calzavano a pennello.

L’unico suo segno distintivo erano i cappelli. Ne sfoggiava sempre di particolari: baschi irlandesi, coppole, berrette, ecc… Un vero uomo dei cappelli.
Nel paese dove abitava pochi sapevano della sua nobile stirpe: un australiano, discendente di una prestigiosa famiglia coloniale inglese, trasferitasi in Veneto alla sua nascita.
Nonostante ciò, Busac non amava parlare di sé agli altri. A pochissimi aveva raccontato del suo lignaggio e, perlopiù, con grande reticenza.

Eppure, c’era qualcosa che rendeva il Busac speciale: il modo in cui comunicava con gli altri.
Sapeva trarre dalle conversazioni con qualsiasi persona elementi buoni per condurla a riflettere.
Simile ad un’abile scalatore, cercava nelle parole altrui possibili appigli per issare un po’ più in alto gli spiriti sulle impervie pareti della conoscenza umana. Con agilità, simpatia e sicurezza nel dire, guidava i petulanti chiacchiericci dei suoi interlocutori ad ascendere verso più faticose ed entusiasmanti conquiste di senso.

Un giorno un amico mi raccontò una di queste “scalate” del Busac.
Si trovava in un bar a Vestone, qualche giorno prima di Natale. Leggeva il giornale e prendeva con calma il suo caffè in solitaria.
Il caso volle che fosse spettatore di una disputa intorno al significato delle feste natalizie.

In realtà la conversazione non gli parve immediatamente degna del suo interesse.
Ovviamente, un uomo arguto come lui, si riservava il previlegio di selezionare i discorsi in cui sommessamente inserirsi. Nulla, dunque, sembrava attivare la sua curiosità.

Almeno fino a quando non udì queste parole: «Certo che l’è prope assurdo che ghe sàpes amò vergü che’l va a mesa el de dè Nadal. Che fai chi ensöma! I festegia en pütì ndaren! Come fai a creder che’l hies el fiol del Hignur?».
Più che dal loro contenuto, Busac fu attratto dal modo in cui queste parole dialettali furono pronunciate: con presunzione, sdegno ed una punta di disincantata e tragica ironia.

A pronunciarle fu li “Charlie”, un compaesano di Busac. Costui prese parola e lo apostrofò sorridendo: «Certo che ti te sì popres en Bariona, caro Charlie!».
Nel bar l’attenzione si spostò subito sul nobile australiano-veneto.

Charlie rispose: «Ecol che el nos Busac, che’l parla el sò dialet. Dim en po, chi el ste Bariona?».

«Uno come ti, to dito!», riprese Busac, sempre col suo sommesso e amichevole sorriso.

«E alura?», continuò Charlie.

«Allora – spiegò Busac, cominciando a parlare in italiano per il timore di non esser preso sul serio – Bariona aveva il tuo stesso problema: non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile festeggiare la nascita di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, in un mondo così pieno di orrori. Con una diversità rispetto a te: egli era un cittadino della Palestina ai tempi di Gesù, o almeno così pare».

«Come minimo questo tal Bariona non esiste neanche. Te hi dre ad inventarlo solo per rumpirmi le scatole», rispose Charlie a tono, cercando di parlare anch’egli in italiano, reso meno fluido da qualche calice in eccesso.

«Hai ragione Charlie – continuò l’abile comunicatore – Bariona è un’invenzione. Ma non mia. È un personaggio teatrale di un dramma natalizio pensato e sceneggiato Jean Paule Sartre».

Charlie, volendo dar corda a Busac, gli domandò: «Sentiamo un pochino, chi el questo Shian Pol Sartr?».

«Fu un importante pensatore francese. Durante la seconda guerra mondiale venne imprigionato nello Stalag 12D di Treviri, in Germania, uno dei tanti campi di concentramento di quel periodo. Qui conobbe due preti e ne diventò amico. Probabilmente non fu un rapporto facile, visto che Sartre si dichiarava ateo. Comunque sia, all’approssimarsi del Natale del 1940, gli amici in tonaca gli chiesero un favore: creare una rappresentazione teatrale per tutti gli internati. Sartre incredibilmente accettò ed intitolò la sua opera “Bariona, il figlio del tuono”».

«Certo che te Busac, ne sai proprio una più del diavolo, nè!» – si intromise il “Gianni”, preso dal racconto.

«Pensa – riprese Busac – che fino a poco tempo fa nemmeno io conoscevo Bariona.
Ne sono venuto a conoscenza da poco, grazie ad un’amica. La storia di questo personaggio di Sartre, cui il nostro Charlie assomiglia, ha molto da dire sul Natale.

Bariona, era un capovillaggio ebreo, nei pressi di Betlemme.
Dopo aver accettato un aumento di tasse imposto da Roma, comanda al suo villaggio di non fare più figli. Che senso avrebbe avuto, infatti, far venire al mondo dei cuccioli d’uomo in una così orribile situazione?
Tutto questo fu da lui ordinato mentre sua moglie Sara si trovava incinta e mentre giungeva al villaggio la notizia della nascita del Messia da parte dei re magi.

In una situazione simile, Sara decise di abbandonare il marito che voleva farla abortire (Questo particolare Busac lo disse sapendo che Charlie era stato abbandonato dalla sua sposa perché non voleva avere figli da lei) e di andare a vedere il Figlio di Dio e sua Madre.

Bariona, alterato dalla scelta della moglie, avrebbe voluto recarsi anch’egli a Betlemme ad ammazzare il Messia. Tuttavia, il re magio Baldassarre riuscì a fargli cambiare prospettiva. Su questo vorrei soffermarmi un poco. Sartre sapeva che nella lingua greca “cambiare prospettiva” era racchiuso in un’unica parola: “metanoia”, in italiano “conversione”. Che cosa fece dunque convertire Bariona? Che cosa modificò il suo giudizio di morte sul Messia? Molto semplicemente, Baldassarre gli raccontò del piano di Erode il Grande, deciso ad uccidere tutti i bambini nati in quel periodo. Immedesimandosi nel racconto del re sapiente, Bariona comprese che il suo desiderio di morte non aveva alcun senso.
Di conseguenza, si recherà a Betlemme a vedere il Cristo, quel povero e divino neonato. E, opponendosi alla truppe di Erode, contribuirà a salvare il piccolo Gesù dalla strage ordita dal grande Erode»
.

«Sculta Busac, chesta che l’è na bela storia. Ma te tè men’cantet mia, hail!», disse il Charlie con un sereno sorriso sul volto.
Poi aggiunse: «L’è vera però: me hu en po’ come chesto Bariona».

«Lo sei – riprese Busac – ma non sei condannato ad esserlo. Se anche un sapiente ateo come Sartre si è confrontato con quel bambino di Betlemme, perché non dovresti farlo anche tu? Cosa te lo impedisce? E perché sarebbe stupido o insensato un simile confronto?».

A queste domande, Charlie e tutti gli altri che ascoltavano rimasero in silenzio, seppur un po’ brilli.
In effetti, le domande vere e sincere sul senso della vita, zittiscono la nostra anima ubriaca di egoismo.

Per togliere tutti quanti da quell’empasse, Busac continuò così. «Tranquilli. Sapete com’è finita? Bariona giunse alla capanna e vide il bambino in braccio a sua madre Maria.
Quella scena gli riempì il cuore e lo portò ad esclamare: “Questo è un Dio-Uomo, un Dio fatto della nostra umile carne, un Dio che accetterebbe di conoscere quel gusto di sale che c’è in fondo alle nostre bocche quando il mondo intero ci abbandona, un Dio che accetterebbe in anticipo di soffrire ciò che io soffro oggi”.
Inoltre, immaginando che Maria gli dicesse qualcosa, pensò: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi rassomiglia”».


«Come al fat en ateo a scriver cheste robe höl Hignur e la Madona?», chiese il Gianni.
Ma a questa domanda Busac non rispose. Era un uomo arguto il signor Raniero, Antonio, Sigfrido, Laurence Busacchi.
Sapeva che di fronte ad alcune domande non serve dare risposta.
Perciò rimase in silenzio.

Pensò solamente fra sé e sé:Chi mai puoi esser così ateo da non riconoscere affatto un Dio fatto della stessa natura umana?”.
Poi, dopo qualche istante, disse al barista: «Eh, oster, daga un calicino a chesti chi che m’ha scoltat. Offro mì stavolta».

E alzando i loro calicini, brindarono alla storia del Busac, testimoniando quello spirito di comunione che l’umanità ha imparato grazie a quell’infante divino di cui oggi, come disse il Charlie, davvero pochi sembrano interessarsi a Natale.

.in foto: Madonna del Cardellino di Ravvaello Sanzio; Madonna di Port Ligat (particolare) di Salvador Dalì; Natività di Ivano Rupnik.




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