A tutti capita di giudicare le persone in base a quelle evidenti apparenze che sono alimentate da piccole verità travestite da pettegolezzi. In questo, la vicenda del Rimba ha, forse, qualcosa da insegnare a ciascuno di noi
Sono molte le leggende che costellano la consapevolezza dei valsabbini. Fra queste ce n’è una che pochi rammemorano, forse perché anche il semplice raccontarla è percepito come fonte di un certo imbarazzo.
Intendiamoci: con ciò non si intende certo insinuare che i racconti imbarazzanti non abbiano alcun valore. Tutt’altro: si vuole suggerire, più precisamente, che sovente il timore di comunicare la verità si maschera con il sentimento della vergogna.
Chi conosce un poco i bambini, sa benissimo quanto diventino paonazzi di fronte alla richiesta di raccontare ai loro genitori una spiacevole verità. Per non parlare dell’impaccio in cui si trovano i penitenti nel denunciare certi loro peccati in confessionale.
Comunque, la vicenda del “Rimba” merita di essere raccontata. Il suo valore di verità non può finire nell’oblio.
Il soprannome gli fu assegnato per la sua presunta follia o stupidità. Il Rimba, infatti, era solito importunare amici e conoscenti ponendo loro un’insolita domanda.
Tuttavia, siccome si barcamenava fra un’ubriacatura e l’altra, nessuno lo prendeva sul serio. Non era certo (e nemmeno lo consideravano) un “santo bevitore”. Appariva più simile ad un folle, privato della naturale ragione.
Anche dal modo in cui si muoveva dava l’impressione di esser sospetto: un anziano alto, magro, con i capelli grigi spettinati che amava fumare delle sigarette alla menta, mentre passeggiava solitario tra un borgo e l’altro della Conca d’Oro.
Spesso regalava una sigaretta ai ragazzini desiderosi di fare il loro primo tiro. Anche per questo motivo era soggetto ad aspre critiche. Nel camminare sembrava un pendolo: ad ogni passo, spostava il baricentro del suo equilibrio da destra a sinistra, pur restando magicamente in piedi.
A quanto ne sappiamo, il nostro buon folle non fece mai del male a nessuno, sebbene alcuni suoi comportamenti apparivano davvero al limite del buon costume.
Questo lo ricorderanno in particolare alcune mamme, a cui i figli trovarono il coraggio di raccontare che il Rimba si era proposto di mostrare loro, dal vivo e in luoghi appartati, l’organo delle sue virili virtù.
Chissà se questo fosse successo oggi: quale scandalo avrebbe prodotto, in una società in cui il sano ribrezzo per l’abuso sessuale convive pacificamente con la tollerata pornografia a portata del cellulare di ogni minore.
A scanso di equivoci, c’è da dire che il Rimba non era un pervertito: dal suo punto di vista, lasciare che i ragazzini vedessero (senza toccare) le sue avvizzite grazie maschili era l’equa ricompensa per le sigarette regalate loro con tanta spontaneità.
Ora, tralasciando altri tratti curiosi della sua persona e tornando alla sua principale abitudine, il Rimba era solito porre ai suoi occasionali interlocutori questa domanda: “
Ma tu sei uno scemo o un cretino?”.
Potete facilmente immaginare gli improperi che fluivano volgarmente dalla bocca degli interrogati di fronte ad una simile domanda!
Quei pochi che, mossi a pietà, lasciavano correre la questione con pazienza, lo facevano solo a motivo della rinomata reputazione del Rimba.
Il problema più grosso si generò quando egli pose la domanda all’allora pio prevosto di Preseglie, in un Venerdì Santo.
In questo caso, nemmeno la misericordia di Gesù risorto avrebbe potuto salvare il Rimba dalla condanna per oltraggio verso un uomo di Dio.
Può darsi, fra l’altro, che qualcuno abbia memoria dell’evento: la sentenza fu pronunciata pubblicamente la successiva domenica di Pasqua durante la predica.
Nulla di così eclatante a dire il vero: puntare il dito dal pulpito verso i poveri cristi sembra essere un costume ben noto a molti uomini di Chiesa di tutte le generazioni.
Ciò nonostante, la irriverente domanda del Rimba non passò inosservata alla mente di un saggio maestro valsabbino, il quale trovò il coraggio di conversare con questo presunto folle.
Il maestro gli domandò che senso avesse quell'interrogativo.
Il Rimba gli rispose, pressoché testualmente: “
Nessuno! Ma per qualche ragione le persone tendono a dargli importanza, visto che sono io a domandare”!
"Non capisco”, reagì il maestro!
“Vedi - continuò il Rimba -
essere scemi o cretini è, in fondo, la stessa cosa, nevvero! L’alternativa non ha alcun senso.
Tuttavia, i più si convincono che ne abbia, se sono io a proporla, perché non giudicano la cosa in sé, ma colui che la espone.
Di conseguenza, o si offendono, prendendomi per un cafone; o mi liquidano, immaginando che io sia solo quel folle ubriacone dagli istinti perversi che hanno già deciso che io sia”.
Il maestro annuì, facendo quel lieve sorriso che sorge quando si è in presenza dell’arguzia.
“Cosa ci guadagni a comportarti così?”, riprese il maestro.
“Oltre alla cattiva fama che mi rende un uomo libero e amato da Dio?
Beh... Oggi ci ho guadagnato questa buona conversazione con te. Infatti, una buona chiacchierata è aria fresca e pulita per chi cerca il vero: permette di innalzare la mente sopra le nebbie degli scontati pregiudizi.
Se tu avessi scorto in me il solito vecchio pazzo che tutti vogliono vedere, non saremmo qui a scambiare quattro parole sensate, quasi fossimo amici”.
Nel tornarsene a casa, il maestro rifletteva sul dialogo avuto con il Rimba.
Fra tutte le idee che affollavano la sua mente, ad una in particolare fece attenzione, tanto che decise di scriverla nel suo diario, appena giunse a casa.
Ecco cosa scrisse: “
Oggi ho imparato, grazie alle parole di un saggio ritenuto rimbambito, che il giudicare frettolosamente una persona, non avendo la minima disponibilità a conversare con lei, ci rende scemi, ovvero cretini; incapaci di fare attenzione a quella follia condivisa e assai diffusa il cui nome appropriato è... Presunzione”.