13 Marzo 2015, 09.00
Fra scienza e filosofia

Passeggiare tra le nebbie dell'ignoranza

di LoStraniero

Gli scienziati sostengono che il nostro universo ha un’età di circa quattordici miliardi di anni e noi, genere umano, di esso conosciamo oggi, sì e no il cinque per cento


Bisogna considerare poi l’eventualità dell’esistenza di altri universi dei quali noi, nel caso, conosciamo nulla.
Secondo una tradizione antica per capire la struttura del cosmo bisogna rifarsi al simbolismo arcaico della croce, il cui asse orizzontale è costituito da infiniti punti.
Ogni punto è un universo.

Di tutti questi punti, solo uno si è manifestato:
quello rappresentato dallo sviluppo sull’asse verticale. Tutti gli altri appartengono al Non-manifestato.
Pertanto gli universi sono infiniti, ma noi ne conosciamo, in modo molto limitato, soltanto uno.

Quel poco che sappiamo lo dobbiamo innanzitutto a Galileo, che ha avuto il merito di inventare il metodo scientifico, un modo rivoluzionario per capire il mondo. 
Egli è partito dal basso e cioè dalle osservazioni, per risalire poi a leggi universali, determinando così il definitivo tramonto della scolastica.
Tutto il contrario dei suoi predecessori le cui preoccupazioni erano di essere coerenti con verità stabilite dall’alto.

Tutte le dimostrazioni dovevano confermare tali verità: pena la scomunica o il rogo. Impossibile che potessero essere false.
All’università gli studenti sono stati costretti a studiare per secoli le corbellerie del sistema tolemaico con gli arzigogolati giri dei pianeti intorno alla terra, con i loro movimenti circolari come il deferente e l’epiciclo e con alcuni punti particolari chiamati equanti.

All’Università di Padova, Galileo aveva un collega che si chiamava Cesare Cremonini che insegnava filosofia, il quale, invitato da Galileo, si rifiutò di guardare nel telescopio il movimento dei pianeti. Perché? 
Per non scombussolare lo schema di mondo che aveva in testa ed essere poi conseguentemente costretto a cambiare la sua filosofia.
Poveri studenti.
Credete voi che oggi non ci siano più Cremonini?
Ce ne sono tanti, tantissimi e sapete dove albergano?  Prevalentemente nelle università.

Una delle nuove scienze, a quasi tutti ignota, di cui si è incominciato a parlare verso la fine del novecento, è quella della complessità.
Oggi, se ponete un Cremonini di fronte a un problema complesso, egli, non saprà risolverlo perché, in primo luogo, non comprende il termine “complesso”, e se glielo spiegate, non vi capisce e non vi capisce perché non conosce il linguaggio della complessità e, in secondo luogo, non ne comprende il contenuto perché non vuole guardarci dentro e ammesso che ci guardi, non è detto che veda.

Se agli studenti di scuola media, che avessero appreso i primi rudimenti di tale scienza, si chiedesse un giudizio sulla classe dirigente italiana, soprattutto politica, degli ultimi sessant’anni, direbbero senza dubbio di trovarsi di fronte a una massa di deficienti, se non di peggio e tale valutazione non sarebbe errata.

Prescindendo dal linguaggio e dalla sostanza, non c’è dubbio che esistono problemi difficili da risolvere.
Per esempio, che cosa fare quando è impossibile o troppo arduo arrivare a una soluzione analitica di un problema matematico?
O si rinuncia alla sua soluzione oppure si ricorre a tecniche di approssimazione.

Di queste ve ne sono di due tipi:
- approssimazione deterministica, via calcolo numerico
- approssimazione stocastica, via probabilistica.

La prima via è preclusa quando il problema è ampio (molte variabili) oppure molto complicato (le matematiche possono essere solo complicate, ma non complesse: il complesso è un’altra cosa, un altro campo).
Per esempio, per comporre la classifica in ordine d’importanza delle pagine web, che sono circa quaranta miliardi, bisognerebbe risolvere un sistema omogeneo di quaranta miliardi di equazioni lineari, con quaranta miliardi di incognite.
Oggi non esistono risolutori di sistemi così vasti.

Si tenta allora di percorrere la via probabilistica.
Infatti, Google, il cui motore di ricerca è usato gratuitamente da circa l’ottanta per cento degli utenti Internet, segue tale via e precisamente quella della passeggiata casuale: si tratta di una passeggiata particolare di tipo MCMC, acronimo di Markov Chain Monte Carlo, che classifica le pagine web in ordine d’importanza.
Andrej Andreevic Markov (Rjazan’ 1856 – San Pietroburgo 1922) nel 1906 formulò la dipendenza tra quantità aleatorie che oggi chiamiamo catene di Markov.

Markov scrisse di tale dipendenza a proposito di una polemica che oppose l’accademico pietroburghese a un gruppo di matematici moscoviti patrocinato da Pavel Alekseeviˇc Nekrasov e legato agli ambienti tradizionalisti della Chiesa ortodossa.
Era convinzione di questi matematici che l’esistenza di una legge statistica per le osservazioni casuali, quale quella dei grandi numeri, postulasse il libero arbitrio, e che l’espressione di questo fosse l’indipendenza stocastica tra le quantità casuali. Pertanto condizione necessaria affinché possa valere la legge dei grandi numeri  è l’indipendenza stocastica.
Il lavoro del 1906, nel quale Markov dimostrava la legge dei grandi numeri per una classe di quantità casuali dipendenti, forniva la prova che i suoi antagonisti erano in errore.

Le catene di Markov, sorte per motivi teologici, hanno avuto una grande fortuna in tutti i campi della scienza.
Markov stesso, più tardi, le utilizzò in uno studio pioneristico di linguistica probabilistica, analizzando l’alternarsi di vocali e consonanti nell’Evgenií Onegin (un poema di Puškin) e in una novella di Aksakov.

L’altro elemento per realizzare la passeggiata in parola, è l’utilizzo dei numeri casuali con il metodo Monte Carlo (una tecnica inventata negli anni ’40 del ‘900, dagli scienziati del Progetto Manhattan).
I numeri casuali non sono una novità. Coloro che ne avevano bisogno, per lavori scientifici o per altri motivi, per generarli ricorrevano a metodi empirici lenti, come il lancio di dadi oppure l’estrazione dall’urna di palline numerate.

La prima tabella, contenente 40.000 numeri
, fu costruita nel 1927 da un rapporto su un censimento.
Un’altra tabella di 100.000 numeri casuali fu pubblicata dalla Rand Corporation nel 1955.
Con la diffusione dei computer non furono più usate tabelle, che occupano molta memoria e richiedono un certo tempo per ricercare il numero in esse contenuto (ricordo che nei primi computer la memoria di massa era contenuta in schede perforate). Esse furono sostituite da un algoritmo che, con poche istruzioni e quindi con poca memoria, genera i numeri casuali in pochi istanti.

Il numero casuale è la nostra guida per la passeggiata.
Se decido di fare una passeggiata casuale di 1000 passi toccando i punti stabiliti dalla catena di Markov, e mi trovo al punto1, per raggiungere il punto successivo devo generare un numero casuale che m’indicherà quale sia questo secondo punto. Alla fine dei mille passi il punto che è stato visitato più volte è quello più importante.
Viene fatta una classifica dei punti in ordine di numero di visite e perciò in ordine di importanza.

I numeri casuali sono utilizzati in molte applicazioni come:
   - i processi  fisici quali i decadimenti radioattivi
   - il rumore termico in un circuito elettronico
   - i tempi di arrivo di raggi cosmici
   - problemi di decisione
   - la simulazione degli arrivi dei passeggeri alle stazioni ferroviarie o delle metropolitane
   - la simulazione degli arrivi di autoveicoli ai caselli autostradali
   - la simulazione della nascita e della morte delle cellule di esseri viventi
   - la simulazione dello sviluppo o del declino della popolazione in un certo paese o territorio
   - la simulazione di fenomeni naturali in genere
Eccetera.

I numeri casuali siamo noi. Noi siamo numeri casuali.
Noi, quando ci domandiamo come mai siamo qui. Noi e quei punti lassù

“tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar” 

LoStraniero




Commenti:
ID56319 - 13/03/2015 09:20:20 - (sonia.c) - HALLELUJA! sei tornato!

GRAZIE...ihih ti leggo stasera ..

ID56321 - 13/03/2015 10:06:23 - (Dru) - Caro Lostraniero, oggi ti farò dono delle parole che comprendono tutto quanto hai scritto

Da: Filosofia futura... Per Parmenide, la conoscenza dell'essenza è in grado di rispondere completamente alla domanda se l'essenza sia: la conoscenza dell'essenza mostra che essa non è, è niente. Dopo Parmenide, per il pensiero occidentale l'essenza dell'essente che si manifesta nel mondo è un epamphoterizein (oscillazione) tra l'essere e il niente, è nel divenire, e "proprio per questo motivo" (ndr il tuo caso) non è più possibile, conoscendo l'essenza, sapere se essa esista o no. Proprio perché è nel divenire, l'essenza non è, "per sé stessa", ciò a cui conviene l'essere; si spoglia dello stesso significato esistenziale espresso dal suo etimo.

ID56322 - 13/03/2015 10:10:57 - (Dru) -

Infatti, l'"essentia" è una forma sostantivata del verbo "esse", come il termine greco "ousia" (che usualmente viene tradotto col termine "sostanza') è forma sostantivata del verbo "einai" (essere).

ID56323 - 13/03/2015 10:21:47 - (Dru) - Questo è il "caso" im-possibile dell'essere.

Ma, intesa come diveniente,l 'essentia diventa il semplice "che cos'è" dell'essente, la semplice possibilità, la semplice cosa possibile - e a sua volta l'ousia diventa l'essenza dell'essente sostanziale (anche se la parola ousia, "sostanza", viene usata sia per indicare il soggetto (l'intermedio) dell'oscillazione tra l'essere e il niente, sia tale soggetto quando la sua oscillazione si arresta (provvisoriamente) sulla sponda dell'essere, e di esso si può dire che è (ndr. tuo scritto.. "Alla fine dei mille passi il punto più visitato è il punto più importante).

ID56324 - 13/03/2015 10:29:51 - (Dru) - Essenza possibile - Caso

La fede nell'esistenza del divenire non solo è fede nella separazione dell'essenza dall'esistenza, ma è la fede che, assumendo l'essente come oscillante tra l'essere e il niente, è spinta a concepire il soggetto dell'oscillazione come essenza possibile, come possibilità, cosa possibile, tentando, in questo modo, di pensare qualcosa che possa trovarsi altrettanto bene nell'essere e nel niente, e tentando di mascherare la circostanza che l'essenza è pur sempre un non niente, cioè è un essente (è e s rationis) e che quindi porla nel niente (quando essa non è) è porre l'essente nel niente, è porre l'essente "come" niente.

ID56325 - 13/03/2015 10:39:04 - (Dru) - Queste parole di Severino le trovate

... A pagg. 280 281 di Filosofia Futura. A questo punto molto interessante uno sviluppo del tema sullo scheletro della metafisica di Kant del capitolo III del Libro II della Dialettica trascendentale che è intitolata: " Dell'impossibilità di una prova ontologica dell'esistenza di Dio", sempre in questo libro alle pagg. 237 a 279, sviluppo che non farebbe assolutamente male per comprendere cosa significhi per il pensiero occidentale gettare l'essenza dell'essere nel nulla.

ID56326 - 13/03/2015 10:44:02 - (Dru) - A questo punto concludi dicendo che...

Non è possibile comprendere i termini di "caso" e "legge" alla luce della scienza, alla luce della scienza sia il "caso" che la "legge" sono comunque dogmi, sono ciò che viene presupposto appunto.Come intelligentemente tu fai rilevare a proposito dell'astronomia di Galileo, la scienza che non si interroga filosoficamente è come uno che ha gamba ma non sa di poter camminare...

ID56327 - 13/03/2015 10:44:35 - (Dru) -

A questo punto concludo...

ID56328 - 13/03/2015 11:04:56 - (Dru) - A questo punto mi sorge spontanea una domanda

Ma se gli scienziati dicono che conosciamo il 5% significa e che conosciamo il 5 e che conosciamo il 100 non credi? Come potremmo mai dire altrimenti che conosciamo il 5%?

ID56329 - 13/03/2015 11:38:21 - (Dru) -

Oltre a quel 95, che conosciamo diversamente dal 5, interessante è, per la filosofia di questo che è sommo argomentare, sapere di quel 5 cosa realmente conosciamo. Conosciamo, e conoscere significa accordare il pensiero alla cosa pensata, che in linguaggio è l'azione portata dal verbo sul soggetto e in matematica è dell'equazione l'uguale, per cui in definitiva è identificare qualcosa a qualcosa d'altro, dicevo, interessante è comprendere se quei risultati raggiunti dalla conoscenza sono "vera" identificazione.

ID56331 - 13/03/2015 11:57:44 - (simonia) - interessante questo conciliabolo di folli

rispetto a quanto ho letto sopra, rispetto agli infiniti mondi possibili, chi ci dice che stiamo davvero vivendo quel mondo, quella manifestazione, che tu intelligentemente hai tracciato sugli assi cartesiani con una Y? anche questo non è cosa di poco conto. Insomma, se noi presupponiamo, o anche filosoficamente poniamo (però attenti che quando si pone filosoficamente non basta presupporre) che i mondi sono possibili, quale verità ci assicura che noi stiamo vivendo proprio quel mondo lì che tracciamo sull'asse delle Y? dunque la verità si trasforma in certezza e erroneamente noi pensiamo di conoscere il 5%, perché, mi ripeto, cosa identifica quel conoscere con la cosa conosciuta una volta che tramontino le verità di quei filosofi che non volevano stare ad ascoltare Galileo? Perché non è semplice detto che Scienza si sia affrancata dalla superstizione, anzi, è proprio il contrario. Scienza nella superstizione

ID56332 - 13/03/2015 11:59:03 - (simonia) -

assoluta domina il mondo, non credete?

ID56333 - 13/03/2015 12:15:13 - (Dru) - Ma appunto Simonia.

Non ti ho mostrato da dove derivi questa trasformazione della verità in certezza? Dalla fede nel divenire dell'essenza che da esistenza si "può" (surrettiziamente, ma con una giustificazione che deriva dal bisogno di liberarsi dal tremendum o sacro) conoscere come il "nulla". Ma l'essenza esiste, che non esiste è il nulla come momento del significato assolutamente insignificante di nulla. (Vedere mio articolo ultimo a proposito)

ID56341 - 14/03/2015 09:13:27 - (simonia) -

Sono concentrato a leggere i suoi articoli Dru, infatti dico quello che dico seguendo il suo discorso. Se ho inteso quanto lei scrive e rispetto alla mia esperienza, ritengo appunto che la conoscenza è il dir qualcosa intorno qualcosa, più o meno è quello che dice lei, e che dicono i filosofi quando parlano della conoscenza. Se il realismo pretende dire l'essenza del qualcosa di quel dire, oggi l'ermeneutica dice l'essenza del dire qualcosa di quel qualcosa, riducendo la conoscenza nella logica prima con il positivismo e identificando il dir qualcosa a quel qualcosa (o ogetto) a cui i realisti si riferiscono, identificazione della parola all'essere insomma contro identificazione della ragione al mondo. Quindi, tornando alle parole de Lostraniero, questa scienza, che indaga il mondo secondo l'idealismo, in realtà indaga la parola e la sua logica e con questa materia produce il mondo.

ID56350 - 14/03/2015 14:29:06 - (Dru) -

esatto

ID56423 - 16/03/2015 20:46:44 - (sonia.c) - noi siamo numeri casuali..già! senti il mio caro figlio cosa mi ha detto..

dato che al contrario della sua terribile mamma ,ama molto i numeri,mi ha detto:non potevi farmi nascere in un altro anno e giorno? ma Andrè! non saresti nato tù! ma un altro bambino..a bè! allora è meglio cosi! mi ha risposto..si caro ..meglio cosi! baci a Lostraniero.

ID56424 - 16/03/2015 20:51:50 - (sonia.c) - ps c'è una versione di ..

halleluja di k.d.lang ,live in canada, strepitosa. ti piacerà.ciao.

ID56427 - 16/03/2015 23:01:50 - (sonia.c) - ci sono tanti..troppi cremonini in giro.

hai ragione sule università..non che io ne sappia qualcosa direttamente ,ma mi è sato detto da chi ci studia e frequenta gli studenti. anche io ho avuto qualche esperienza conoscenza con queste persone e mi si è sfatato un "mito"..no.la cultura non ti apre la mente.non sempre..dipende dal "tipo" di cultura e studio..e anche come fanno studiare oggi! sembra (quasi)come il corso di scuola guida ihih memorizzi tonnellate di libri (dopo unmese dale patenti non ricordi più una cippa!)ma..non hai imparato a pensare.."complesso".. ma hai azzeccato:sudiosi o no,il problema è sempre quello..non vogliono guardare e,ammesso che guardino,non è detto che vedano....ho regalato la Boètyè ad un ragazzo. è andato in estasi..ma non si è ricomosciuto..ci vuole tempo ancora..

ID56434 - 17/03/2015 17:34:29 - (LoStraniero) - Cara sonia

forse non sai, ma credo tu lo sappia, che in Italia la scuola non è fatta per gli studenti, ma solo per alcune categorie di persone. E' da anni che è così, da molti decenni. Ciò ha tracciato il declino del nostro Paese, sempre più inclinato verso il basso. Se nonostante ciò alcuni studenti riescono a emergere in superficie, sono costretti poi a fuggire all'estero. Cara Sonia, questi nostri dirigenti (quelli che fanno le scelte) non hanno capito niente oppure sono in malafede.

ID56435 - 17/03/2015 21:05:20 - (sonia.c) - già! ci sono molte situazioni e avvenimenti in cui ti chiedi..

ma la gente,"c'è"? o "ci fà"? sopratutto per quanto riguarda le istituzioni..l'Italia è davvero un paese "arretrato" ..o forse si è "seduto sugli allori" e sul patrimonio culturale antico..DOVE sono i nuovi mentori,filosofi ecc?i GRANDI uomini con la "U" maiuscola? ( bè! con uno ci stò dialogando...non tutto è perduto allora..ihih)per non parlare dei politici..perchè fra le tante colpe che hanno,una in particolare è TROPPO grave:l'abissale ignoranza!..RI-BACI

ID56440 - 18/03/2015 10:49:37 - (sonia.c) - si caro LoStraniero..c'è tanta malafede..

sfacciatamente esibita e pateticamente cammuffata da "pensiero"..addirittura "originale e non "omologato" cosa c'è di più omologato,vecchio,dejavù della paura? della rigidità mentale che nasce dalla paura? cosa c'è di più "unico" del pensiero unico che nasce dalla nevrosi?quando leggo gli antichi(anche non troppo antichi)e vedo che tutto è stato detto e ridetto,mi chiedo se ,questa "ingenuità "nello di stupirsi di fronte alla dualità eterna della natura umana:il suo desiderio insopprimibile di libertà...e la paura(ancora più profonda) che la libertà scatena,non siano in fondo una fortuna! una ,necessarissima "utopia"(che per mè è fiducia-positività) senza fiducia non si va avanti... teniamo duro.

ID56483 - 21/03/2015 21:13:53 - (sonia.c) - disgressione..

oggi 21 marzo,giornata mondiale dela poesia e compleanno di Alda Merini. auguri al poeta Lostraniero..(non sono "ferrata" sulla poesia ma...grazie a tè guardo molto diversamente le nuvole.. "i poeti lavorano di notte":i poeti lavorano di notte quando il tempo non urge su di loro,quando tace il rumore della folla e termina il linciaggio delle ore. i poeti lavorano nel buio come falchi notturni od usignoli dal dolcissimo canto e temono di offendere Iddio.ma i poeti, nel loro silenzio fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle.A.Merini.

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