03 Maggio 2022, 09.00
Roè Volciano
Scuole

Dalle bombe di Kabul alla Scar

di Maria Giulia Mameli

Ancora incontri e confronti per i ragazzi della Scar, questa volta il nostro ospite dialoga con loro sulle guerre, sui conflitti che purtroppo hanno e stanno caratterizzando la loro epoca e non solo


Davanti a loro c’è Simone Frau, 44 anni, che, dopo dodici anni trascorsi all’estero nelle Forze Armate Italiane partecipando alle missioni di pace nei territori martoriati dalla guerra, ha deciso di lasciare l’Esercito Italiano e di cambiare lavoro.

Una testimonianza senza briglie la sua, tante le missioni dove si è trovato faccia a faccia con la morte: Kosovo, Macedonia, Albania, Afghanistan. “Missioni di pace, ma in realtà scenari di guerra, quando si usciva per le strade c’era la paura” - racconta - l'impiego delle armi è sempre sottaciuto o minimizzato, si crea l'illusione che noi si possa stare lì a ricostruire. È un bell'auspicio, ma non è così”.

Il nostro ospite chiede dei conflitti studiati a scuola, fa domande su cosa abbiano capito delle dinamiche tra gli Stati, e così si sofferma sulle esigenze di politica estera e sugli interessi economici e geostrategici dei Paesi che impongono l'utilizzo delle forze armate. Parla di quella parte di mondo buia, dove si combattono guerre che non chiamiamo con il loro nome. Missioni di Pace, e sono tante quelle a cui il nostro esercito partecipa.

Continua nella sua analisi senza veli ed infingimenti buonisti, da ex militare in servizio: “In questi anni di missioni sempre più spesso è stata diffusa l'immagine del soldato con il bambino in braccio, del soldato che porta viveri e abiti ai civili, dell'italiano brava persona. È un'immagine rassicurante, piacevole, giornalisticamente vincente e politicamente corretta che si usa, è inutile negarlo, per poi giustificare i morti ricorrendo a menzogne e mezze verità”.

Raccomanda ai ragazzi di studiare, di conoscere la realtà e i fatti storici. Ricorda loro di una stretta di mano per siglare un patto, tra Gorbaciov e Reagan e di come quel patto alla luce della guerra in Ucraina non sia stato rispettato.  Per certi momenti sembra un’interrogazione di geostoria il suo rapportarsi con i ragazzi, chiede della guerra fredda, dei patti, delle dinamiche. E i nostri ragazzi rispondono, sia quelli che la guerra l'hanno conosciuta solo sui libri e quelli che invece l’hanno vissuta negli occhi dei propri familiari che poi sono andati via da quei territori dove il nostro ospite è stato in missione.

Ha raccontato di sé, delle caramelle e di quei sacchetti di viveri che gli davano in dotazione ogni qual volta doveva uscire all’aperto, nelle strade, tra la gente e che di nascosto regalava ai bimbi afghani, racconta delle bombe, delle persone che ha incontrato. Ha raccontato ai nostri ragazzi che durante la missione in Kosovo, per aver spinto sull’altalena una bambina senza arti inferiori, gli sono stati dati sette giorni di consegna. Parla di pace, dice no alle armi, no alla guerra sempre, proprio perché lui le armi le ha usate.

Ribadisce che quei dodici anni sono stati un'esperienza indimenticabile, ricca di tristezza ma anche di belle parti che hanno segnato il suo cammino... e di come abbia deciso di lasciare l’esercito, il “posto sicuro e fisso” per fare un lavoro diverso, con i bambini per regalare loro sorrisi e gioia nelle feste di compleanno, in quelle di beneficenza o nelle corsie degli ospedali.

Ora Simone si fa chiamare Skiappa, veste in modo meno formale una divisa che sente tutta sua, che gli dà un potere unico e indescrivibile, “ho capito che la sicurezza nella vita non è data da un posto di lavoro, la sicurezza sta in ciò che ti rende felice.  Quando fai ciò che ti piace, hai vinto!”  



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