29 Novembre 2020, 08.00
Blog - Glocal

Per una fratellanza glocale

di Valerio Corradi

Tra i molti spunti offerti, l’Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” conduce una riflessione sul modo di vivere il globale e il locale prendendo le distanze dalle finte aperture e dalle sterili chiusure al mondo


Negli anni ’90 si è intesa la globalizzazione come occidentalizzazione ovvero come diffusione sempre più accentuata a tutto il mondo della cultura occidentale che avrebbe prodotto la formazione di un sistema-mondo omogeneo, tendenzialmente pacifico e con medesimi regole, obiettivi e valori. Le diversità e le specificità culturali si sarebbero gradualmente annullate di fronte alla perdita d’importanza dei luoghi.

Oggi questa prospettiva è superata perché si osserva che l’accentuarsi del processo di globalizzazione produce un recupero dell’importanza della dimensione locale, in un quadro nel quale lo sguardo globale non viene meno. L’intensificazione dei flussi planetari non ha generato un quadro unitario e coeso ma piuttosto polverizzazione, frammentazione, parcellizzazione che fanno riscoprire, a volte in modo difensivo, oppositivo e violento, le identità locali ridando impulso alle appartenenze territoriali. Il quadro attuale sarebbe allora segnato da connessioni reciproche, di vario segno e orientamento tra mondo globale e realtà locali che la crisi economica prima, e la pandemia da Covid-19 poi, hanno reso estremamente chiare in tutte le loro implicazioni.

Nella sua ultima lettera Enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e sull’amicizia sociale”, Papa Francesco si sofferma proprio sulla tensione tra globale e locale sottolineando come sia necessario avere un giusto rapporto con queste dimensioni della vita contemporanea, soprattutto se si vuole lavorare per la crescita civile e culturale delle proprie comunità, mettendo da parte protagonismi regressivi. Il Santo Padre invita a:

“prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, […]; l’altro, che diventino un museo folkloristico di eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini” (FT 142)

In molte comunità oggi, più che in passato, il globale (e chi lo rappresenta) è visto come minaccia, come portatore di timori e di paure che inducono a chiudersi al mondo e nell’atteggiamento che il Santo Padre definisce “meschinità casalinga” (FT, 12) che porta il locale a diventare recinto, difesa, cella. Per affrontare il nostro tempo è necessario un nuovo modo di guardare al locale che porti a intenderlo come un luogo nel quale essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà. Il locale è la fonte della nostra identità ed è il punto di partenza per guardare e operare a favore di un mondo aperto.

“È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. […] Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili, è il poliedro, dove ognuno è rispettato nel suo valore” (FT 145)



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