Qualche giorno fa il nostro Presidente del Consiglio si è esposto politicamente con un’affermazione forte nei riguardi del Presidente della Turchia Erdogan
Visto il trattamento vergognoso riservato dal leader turco alla Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, durante un incontro ufficiale ad Ankara, Draghi molto coraggiosamente ha replicato definendo Erdogan
un “dittatore” di cui si ha bisogno.
Super Mario ha affermato ciò che tutti in Europa pensano ma non hanno mai osato dire.
Sono anni che l’Europa guarda alla deriva dittatoriale che sta colpendo la Turchia senza prendere una posizione chiara in merito.
Il silenzio europeo è stato assordante non solo perché la Turchia è un paese ai confini del cosiddetto Occidente, ma anche perché è il paese che in passato chiedeva con una certa insistenza di entrare nella comunità europea, per godere dei vantaggi economici che essa offre.
Il problema della Turchia è la sua debolezza democratica, dovuta soprattutto all’influenza di carattere religioso che esercitano da sempre i conservatori.
Negli ultimi anni il paese è peggiorato in molti ambiti e soprattutto in quelli che rappresentano maggiorante la democraticità: sono stati arrestati centinaia di giornalisti e oppositori politici, soprattutto dopo il presunto colpo di stato del 2016, ancora controverso nella dinamica e nei protagonisti coinvolti, ma indubbiamente molto utile a Erdogan per rafforzare la sua posizione al comando.
In questi ultimi mesi sono avvenuti anche altri eventi, meno eclatanti ma non secondari, che denotano un clima di restaurazione religiosa tendente sempre più verso la chiusura.
Il primo è sicuramente la trasformazione della Basilica di Santa Sofia in moschea, dopo che era diventata museo nel 1935 per volere del padre della patria Mustafa Kemal Atatürk.
È questa una mossa dall’impatto fortemente simbolico, voluta da Erdogan non solo per soddisfare il gruppo politico conservatore che lo sostiene al potere, ma forse anche per dare un messaggio preciso all’Occidente sull’orientamento religioso intransigente a cui sarà dato corso nel prossimo futuro in Turchia.
Nello stesso solco deve essere interpretato il secondo evento altamente simbolico avvenuto recentemente: l’uscita del paese dalla Convenzione di Istanbul.
Si tratta di una Convenzione del 2011, voluta dal Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne volta a favorire la protezione delle vittime e a impedire l’impunità dei colpevoli.
Il ritiro dalla Convenzione è un atto grave soprattutto contro le donne, paradosso tragico se si pensa che la Convenzione fu approvata proprio in Turchia e che la Turchia fu la prima firmataria.
In dieci anni c’è stata la demolizione di ogni progresso sociale guadagnato in decenni di sacrifici, e spesso di sofferenze, della società laica turca, quella che sia rifà al padre della patria Atatürk.
Chiaro, dunque, l’orientamento di Erdogan in tema di discriminazione e violenza sulle donne.
Non ci sorprende dunque il trattamento che ha riservato alla “nostra” Ursula Von der Leyen durante l’ultimo incontro.
È sempre così: si comincia con il negare una sedia alla donna, in quanto donna, e si finisce, subito dopo, con il negare completamente il suo ruolo nella società.
Insomma, i segnali che in Turchia ci sia un regime dittatoriale in rapida evoluzione sempre più autoritaria ci sono tutti e mi sorprende che, sull’onda dell’indignazione per il trattamento riservato alla Von der Leyen, nessuno abbia osato esporsi come ha fatto il nostro “drago” Draghi.
Le parole del nostro Primo Ministro, quella specificazione riferita al dittatore “di cui si ha bisogno”, necessitano di un ulteriore approfondimento. Il peso delle relazioni economiche della Turchia con l’Europa, e con l’Italia, ci costringono a tenere conto del paese anatolico, tuttavia la lezione che viene dal passato europeo, quello delle dittature nazi-fasciste, dovrebbe insegnare molto sulla pericolosità di far finta di nulla di fronte a personaggi come Erdogan.
La questione nasce dalla valutazione errata che facciamo quando siamo costretti dagli eventi a confrontare il vantaggio economico rispetto alla difesa della democrazia. Prediligiamo il primo a scapito della seconda.
La democrazia, con i suoi meccanismi e le sue regole è un sistema economicamente meno efficiente rispetto a qualsiasi regime autoritario. Essa prevede l’equilibrio tra i poteri, richiede il rispetto di innumerevoli procedure tese alla tutela delle minoranze e alla salvaguardia del criterio decisionale democratico in tutte le istituzioni, non solo in quelle a livello nazionale ma anche in quelle locali.
Questi principi si manifestano nelle istituzioni attraverso una complessità e una dimensione che hanno come effetto una maggiore lentezza decisionale e quindi in media una minore efficienza “economica” rispetto a quella presente nei paesi i cui vige la dittatura.
Insomma, la democrazia costa e in ogni caso è, in termini di efficienza, economicamente perdente rispetto a qualsiasi regime autoritario.
Per questo motivo in tutti i paesi democratici, quindi anche in Italia, ci sono gruppi che, facendo leva su elementi come le crisi economiche, attaccano la democrazia indicando nelle dittature russe o cinesi il modello di potenza economica alternativo.
Questi gruppi non si curano dell’oppressione delle opposizioni politiche che avvengono in quei paesi, ma suggeriscono accordi economici e di amicizia con loro. Lisciano il pelo al leone, lo adulano, senza controllare se la porta della gabbia sia stata dimenticata aperta.
Forse sognano di lanciare quella belva contro i propri nemici - e in Italia siamo maestri in queste cose per storia millenaria - alimentando in questo modo il proprio inconfessabile desiderio antidemocratico.
La democrazia ha dunque diversi temibili nemici e tra questi i più pericolosi sono senz’altro quelli interni.
Purtroppo per tutti noi
la democrazia è diventata invisibile, perché la viviamo tutti i giorni come normalità.
È facile in questa condizione dimenticarsi di quanto sangue e dolore sono stati necessari per conquistarla.
La democrazia è come una strada, un ponte, un’infrastruttura che usiamo tutti i giorni e di cui, dopo alcuni anni, diamo per scontata l’esistenza. Non ricordiamo più quanto sia costata né mai pensiamo che nel momento in cui si verificasse un terremoto, che rendesse inagibile quella strada e facesse crollare quel ponte, la nostra vita sarebbe bloccata, la nostra libertà verrebbe materialmente fortemente limitata anche nelle sue minime necessità.
Il crollo della democrazia sarebbe un disastro per il nostro vivere, così abituato alla libertà nelle sue diverse manifestazioni.
Quando Erdogan, o uno degli altri innumerevoli dittatori sparsi sulla terra, offendono la nostra democrazia con i più vari atteggiamenti, parole o comportamenti, essi attaccano direttamente ciò che c’è di più prezioso per noi, di più necessario per vivere.
Per questo non possiamo accettare che la presidente della nostra Commissione Europea venga messa in ridicolo dal dittatore turco, non solo perché rappresenta le nostre istituzioni democratiche, ma anche perché, come donna, rappresenta tutta la nostra storia di ricerca appassionata della libertà.
Bene ha fatto Draghi ad apostrofare Erdogan come “dittatore” perché non c’è altro termine per descriverlo.
Tuttavia, doveva completare meglio quella definizione così centrata dicendo che Erdogan è un dittatore di cui, in realtà, non abbiamo alcun bisogno.
Leretico
ID82557 - 19/04/2021 09:28:18 - (genpep) -
sempre stimolo di profonda riflessione gli scritti de Leretico. Complimenti