23 Novembre 2022, 08.00
Paitone
Eventi

«Non sei da sola», i volti della violenza

di Franco Tarsi

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne venerdì sera una serata di riflessione nella sala polivalente della cultura


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Ogni anno, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre, Giornata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione del 17 dicembre 1999), ci ritroviamo a parlare di femminicidi, sperando che il fenomeno mostri finalmente una crepa, una contrazione nel numero delle donne uccise o, ancora meglio, un’inversione della tendenza; ma ogni anno ci ritroviamo a constatare che così non è.

I femminicidi restano in aumento
proprio (sembra una beffa) mentre calano gli omicidi volontari complessivi. Nel 2020 il totale degli omicidi è sceso a 287 (di cui 116 donne); nel 2021 lievissima risalita (+3%), a 295 (118 donne).

Quest’anno, secondo le proiezioni, il numero dei femminicidi si avvia verso le 125 unità, uno ogni tre giorni. Al problema il Comune di Paitone, assessorato ai Servizi sociali, ha dedicato venerdì 25 novembre, nella Sala polivalente della cultura, alle ore 20.45, lo spettacolo “Non sei da sola”, i volti della violenza, raccontati da Paola De Cesari, Fausta Caviglia, Marino Maccarinelli.

Siamo uno dei Paesi più virtuosi in Europa e nel mondo, con un tasso di 0,5 morti ammazzati per 100 mila abitanti e una discesa costante dalle sconvolgenti 1.660 unità del 1990, ma a questa tendenza le donne non partecipano. E così ci ritroviamo a chiederci il perché, senza che le risposte possibili ci diano né soddisfazione né speranze.

Forse più che concentrarci sulle statistiche, che alla fine riducono le persone a numeri, spogliandole della loro umanità, sarebbe meglio esercitarci ad andare oltre le notizie in televisione e a pensare, a figurarci che cosa è accaduto alle vittime.

Sì, ho detto esercitarci, perché rivivendo quegli episodi in una sorta di psicodramma non si può fare a meno di rifuggire dall’orrore di cui sono intrisi. Forse può servire.

Scorrendo le statistiche dettagliate per tipologia dei femminicidi mi sono imbattuto nella descrizione telegrafica di uno di quegli episodi, una lite fra coniugi (o compagni, ma non cambia la sostanza), che è culminato con l’uccisione della moglie con 57 coltellate.

Avete letto bene: 57 coltellate! Vi immaginate la realtà del fatto? Provate a contare fino a 57, ci metterete almeno un minuto; poi pensate che ciascuno di quei numeri è una coltellata, non un colpo di pistola da 20 metri di distanza, ma una pugnalata a contatto di due corpi.

Poi, ancora, immedesimatevi, se ci riuscite (a vostro rischio), in quella poveretta che vedeva l’espressione sulla faccia di quello che era suo marito o il suo compagno e che la stava uccidendo colpo su colpo; un’espressione che non era quella di un uomo, ma di qualcosa che dovrebbe essere sparito da centinaia di migliaia di anni, con la comparsa sulla Terra del genere homo sapiens, ma che invece è sempre lì nascosto dentro di noi ed aspetta solo l’occasione buona per uscire e scatenarsi: sì, è la bestia!

E ad orrore si sommava l’orrore, perché davanti a lei, davanti a quella donna incapace di difendersi da una ferocia che non poteva neanche immaginarsi, c’era fisicamente la stessa persona che la guardava sorridendo dalla fotografia, magari ancora in mostra nel soggiorno, scattata con lei in qualche momento felice, la stessa persona che ora lei non riconosceva più e che la uccideva.

Sarebbe bastato che l’assassino si concentrasse su un pensiero semplicissimo: cosa sto facendo? Ma che cosa sto facendo? Ma non succede mai, perché nessuno è allenato a tenere a bada la propria bestialità nascosta.

Ed è su questo
che bisognerebbe concentrare la nostra attenzione e allenarsi a disinnescare la bestia.

Stalking e dintorni: il peso di un rapporto di coppia malato, però, non si esaurisce nel rischio di un omicidio, che sicuramente è quello dall’esito più grave.

Anche lo stalking ti rovina la vita, e a questo proposito se invece di usare il termine inglese usassimo l’adeguata espressione italiana l’impatto sarebbe più diretto e appariscente: stalking per noi italiani, al di là dell’uso al quale siamo abituati, sembra un’indicazione turistica o folkloristica.

Proviamo ad abituarci
a parlare di persecuzione e di perseguitate ed avremo un senso più vicino alla comprensione immediata.

Lo stalking è una persecuzione costante, spossante fisicamente e psicologicamente, che non sai quando finirà né quali rischi possa comportare.

Lo sanno molto bene le donne picchiate o, peggio, sfregiate con l’acido. Questo è lo scopo più odioso del persecutore, perché vuole la rovina e la sofferenza permanente della sua vittima.

Ed è fortunato,
il carnefice, perché vive in un’epoca che non applica la legge del taglione e che spesso non tutela adeguatamente le vittime potenziali, che pure avevano denunciato la persecuzione e i rischi alle quali erano esposte.

Le forze dell’ordine rispondono spesso di non poter agire perché la legge non glielo consente.

E allora - è la domanda che ci facciamo tutte le volte - che cosa si aspetta a modificare la legge o ad introdurne una più adeguata? Questo è l’incomprensibile interrogativo che spesso accompagna le più sfortunate, che hanno avuto il ‘torto’ di non essere protette e che sono state perseguitate a volte fino alla morte.

Come se - diciamolo pure - sul piano legislativo si avesse il timore di ledere o limitare la libertà di azione di quei ‘poveretti’ dei persecutori.

Senza alcun riguardo per le vittime potenziali.

Ma chi
proteggono le nostre leggi?

Franco Tarsi
consigliere alla Cultura di Paitone



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